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Una terra, una tribù e un albergo equo

Amos (destra, seconda fila) e una parte del suo staff al Phumulani Lodge swissinfo.ch

Campionessa del mondo del commercio equo, la Svizzera si lancia progressivamente nella promozione del turismo sostenibile. In Africa del Sud, ad esempio.

Costruito e gestito da una comunità per una comunità, il “Phumulani Lodge” è uno dei 17 stabilimenti certificati dal marchio “fair tourism”.

A 250 chilometri a nord-est dell’asse Johannesburg-Pretoria, delle sue periferie chic e delle sue miserabili topaie, in una savana ondulata e costellata da massi rocciosi dalle forme improbabili, si affaccia l’entrata sud del Parco Krüger.

Questa riserva naturale, grande come la metà della Svizzera, è una delle tappe turistiche più importanti del paese.

Si incrociano rinoceronti, leoni, elefanti, bufali e leopardi, ovvero i “big five” la cui immagine decora le banconote. E con loro nella riserva anche tutta la fauna selvatica del continente.

Dalla terra sottratta un grande sogno

Nel 1969 il regime bianco decide di ampliare il parco con l’annessione di 1600 ettari appartenenti alla tribù Mdluli, pregata senza tanti complimenti di alzare le tende.

Il re della tribù vede oltre. Per evitare al suo popolo l’esodo verso le mine d’oro del Trasnvaal, immagina di approfittare del turismo per creare degli impieghi nella regione.

Un progetto che diventa possibile subito dopo la fine dell’apartheid grazie ai fondi elargiti dal nuovo governo. Ma Zepharia Mgoshwa Mdluli non vedrà il suo sogno diventare realtà: muore nel 1998, due anni prima l’apertura dell’albergo, oggi diretto da Amos, uno dei suoi numerosi figli.

La costruzione mobilita un centinaio di persone, tutte Mdluli. “Qui – spiega Amos – 100 persone che lavorano riescono a nutrire 100 famiglie”. Attualmente lavorano 22 impiegati, tutti Mdluli.

Un’impronta ecologica

All’epoca dell’apertura il marchio “Fair Trade in Tourism South Africa” (FTTSA) non esiste ancora, anche se l’albergo rispetta e soddisfa tutte le condizioni. Il riconoscimento avviene nel 2005.

“I salari non sono l’unico criterio – annota Amos – anche se i nostri si situano ampiamente nella media del settore”. Il che significa circa 300 franchi svizzeri al mese. È poco, ma certamente molto di più rispetto all’epoca dell’apartheid.

Il “Phumulani Lodge” si è meritato il marchio FTTSA soprattutto per le sue modalità comunitarie di funzionamento. I dipendenti che hanno potuto pagarsi una scuola alberghiera hanno formato a loro volta i loro colleghi.

Nella misura del possibile l’albergo ricorre ai mercati locali tanto per l’approvvigionamento quanto per la manodopera. Presta inoltre molta attenzione alla preservazione delle risorse vitali dell’ambiente della regione.

E si nota subito, già dall’edificio adibito all’accoglienza degli ospiti: tetto in stoppia, arredamento tradizionale. Per quanto riguarda l’alloggio, l’albergo offre 17 piccoli villini, rotondi come una capanna, distribuiti nella savana intatta.

Affacciati alla terrazza, si ha l’impressione di essere soli al mondo. “In lingua swazi – precisa Amos – “phumulani” significa riposo”.

La gente viene qui soprattutto per esplorare la regione. E il Parco Kruger. E ormai i Mdluli hanno recuperato i loro 1600 ettari. Non si tratta più di contendere il territorio agli animali, ma questo diritto di proprietà dà loro un accesso privilegiato al parco. Un esempio? I safari notturni.

Gli ospiti, essenzialmente europei e indiani, sono consapevoli di essere accolti in un albergo molto speciale? “Certo, sempre di più” osserva Amos soddisfatto, convinto che il marchio FTTSA avrà effetto.

Una lenta presa di coscienza

Il cammino, tuttavia, sembra ancora lungo: 17 alberghi certificati in un paese che accoglie circa 7 milioni di turisti all’anno, è davvero un po’ poco.

“Occorrerebbe raggiungere la massa critica di almeno 100 stabilimenti” spiega Heinz Hirter, direttore di “Imagine Reiseservice” a Berna, la sola agenzia svizzera che promuove sistematicamente il turismo sostenibile.

Un’opinione condivisa da Christine Plüss, segretaria di “Akte” (Comunità di lavoro Turismo e Sviluppo), un’associazione che da più di trent’anni si impegna a sostenere un turismo rispettoso.

“L’Africa del Sud – precisa soddisfatta Christine Plüss – è il solo paese ad avere una politica di promozione del commercio equo. E per ora il marchio FTTSA è unico al mondo. I nostri mezzi sono evidentemente limitati, ma finiremo per agganciare altri operatori turistici alla causa”.

“Akte” è convinta che il turista medio “è molto più sensibile e aperto alle questioni etiche di quanto credano i pubblicitari al servizio delle agenzie”. Lo confermano, del resto, i sondaggi secondo cui la maggioranza degli svizzeri è pronta a pagare di più per vacanze “responsabili”.

Christine Plüss non si stupisce: “Per il commercio equo la Svizzera è già un laboratorio. Le quote di mercato sono le migliori al mondo. E sono convinta che sarà così anche per il turismo”.

swissinfo, Marc-André Miserez a Hazyview, Mpumalanga
(traduzione e adattamento dal francese Françoise Gehring)

In Africa del Sud più del 90% del settore turistico è ancora gestito da bianchi.
Il marchio “Fair Trade in Tourism South Africa” è nato nel 2002. Ed è, finora, l’unico al mondo.
Garantisce un certo numero di principi: rispetto delle persone che lavorano, del territorio, delle risorse naturali, della cultura.

Con 210 milioni di cifra d’affari nel 2004 (+35% rispetto al 2003), gli svizzeri sono i maggiori acquirenti al mondo di prodotti provenienti dal commercio equo solidale.

Una banana su due e un fiore reciso su tre venduti in Svizzera provengono dalle coltivazioni controllate di Max Havelaar.

Per il turismo non esiste ancora nulla di così sistematico, malgrado gli sforzi dell’Akte, un’associazione attiva in Svizzera dal 1977 nella promozione del turismo sostenibile.

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