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Formazione dei medici: il gatto si morde la coda?

I medici, un bene prezioso Keystone

Per colmare il proprio fabbisogno, la Svizzera è costretta a importare un numero sempre maggiore di medici dall'estero. Un sistema che consente di risparmiare sui costi, ma che suscita perplessità.

«La contraddizione è lì da vedere e viene segnalata da tempo e da molti. Formiamo in Svizzera circa seicento nuovi medici all’anno e altri quattrocento li importiamo dall’estero, ma nel contempo impediamo [in ragione del numero chiuso] a più di duemila giovani svizzeri che vorrebbero studiare medicina, e che hanno conseguito la maturità, di cominciare questo percorso. Si potrà dire che ciò è conveniente, perché si risparmia sui costi di formazione; ma è sicuramente poco sostenibile, già dal profilo etico. Sia verso gli altri paesi, sia verso le giovani generazioni residenti nella Confederazione».

In un’intervista recentemente pubblicata dal Giornale del popolo, il segretario di Stato per l’educazione e la ricerca Mauro Dell’Ambrogio ha messo il dito nella piaga. A suo parere, al momento attuale è difficile immaginare di abrogare semplicemente il numero chiuso, «ma rivedere quote, distribuzioni e standard attuali sì».

Servono più dottori

Interpellato da swissinfo.ch, Ignazio Cassis – medico, consigliere nazionale e vice-presidente della Federazione dei medici svizzeri – evidenzia a sua volta un dato di fatto: «Il saldo migratorio dei medici parla chiaro: ne importiamo moltissimi, ne esportiamo pochi. Ormai la quota di professionisti stranieri nel settore ospedaliero si situa attorno al 40%, con picchi fino al 60% in alcuni cantoni. Il numero di medici continua peraltro a crescere: dai 29’000 nel 2007 ai 30’200 di oggi, ovvero un aumento del 4,1% in tre anni».

Per quanto concerne le ragioni di tale aumento, Cassis indica diversi fattori: «È diminuito l’orario di lavoro settimanale in ospedale, mentre è aumentato il numero di donne medico che lavorano a tempo parziale, così come la densità di medici per certe cure sofisticate».

La conclusione del consigliere nazionale è la medesima del Segretario di Stato: «Non formiamo abbastanza medici. Ce ne servirebbe il doppio, almeno per alcuni anni». Per farlo, Cassis indica due vie: «o il numero di laureati aumenta, oppure bisogna delegare alcune competenze mediche a personale non medico (infermieri, psicologi, assistenti di studio medico), lasciando che i medici si concentrino sui compiti più complessi».

Mantenere la qualità

Istruire un maggior numero di medici, magari allentando le condizioni d’accesso alla facoltà, non rischia di incidere negativamente sulla qualità della formazione e quindi sulla salute dei pazienti?

A questa obiezione, Dell’Ambrogio replica domandandosi: «che senso ha cercare sempre e solo la più alta qualità su scala nazionale, se poi il reclutamento dei medici avviene per quasi la metà all’estero?».

A suo parere – tenuto conto del fatto che occorrono sempre più medici in funzioni non prettamente di cura (per esempio nella ricerca scientifica, nell’amministrazione, nel controllo assicurativo) – si può essere meno severi nella formazione di base in medicina, mantenendo invece «rigorosi percorsi formativi e selettivi per conseguire – e per conservare – l’abilitazione ad esercitare determinate funzioni, segnatamente come specialista».

Una proposta in merito alla quale Cassis esprime tuttavia un certo scetticismo: «È vero che occorrono sempre più medici che non esercitano clinicamente, ma questi professionisti devono comunque essere legittimati agli occhi dei loro pari. Non possono dunque seguire una formazione accelerata: sarebbero screditati. Inoltre, il percorso per diventare medico è in buona parte standardizzato a livello dei paesi dell’Unione europea».

Abbattere i costi

Secondo il consigliere nazionale, «bisogna trovare un modo per abbattere i costi di formazione, così che le università abbiano abbastanza soldi per formare più studenti»; pure Dell’Ambrogio evidenzia la necessità di ridurre il costo degli studi per ogni medico, dato che il rapporto tra spese – 1,2 miliardi l’anno per le facoltà di medicina – e copertura del fabbisogno di cure è ormai insostenibile.

Concretamente, una via percorribile – stando a Dell’Ambrogio – potrebbe essere quella di modificare l’oligopolio dei cantoni con un ospedale universitario (i quali assorbono buona parte dei finanziamenti) creando nuovi poli, per esempio in Ticino. Una soluzione ritenuta interessante anche da Cassis, che aggiunge: «Credo sia poi inevitabile aumentare le tasse d’iscrizione per gli studenti, attualmente molto modeste».

«In definitiva, come in ogni situazione di disequilibrio finanziario, bisogna aumentare le entrate e comprimere le uscite: in questo modo si creeranno nuovi posti nelle facoltà di medicina, ovviamente badando sempre a mantenere una buona qualità e senza peccare di perfezionismo elvetico», conclude il consigliere nazionale.

Andrea Clementi, swissinfo.ch

Stando a un censimento della Federazione dei medici svizzeri, sui 29’653 medici attivi in Svizzera nel 2008, 6’627 erano titolari di un diploma straniero (22% del totale). La maggioranza di questi ultimi (3’683) ha studiato in Germania.

Nel settore delle cure stazionarie ospedaliere, il 30% dei medici è straniero; questa percentuale è invece del 15% nel settore ambulatoriale, studi privati compresi (dati del 2008).

Nel marzo del 2009, la Conferenza universitaria svizzera ha annunciato di aver registrato 3’394 iscrizioni agli studi di medicina umana per l’anno in questione: i posti disponibili al primo anno erano 1’034.

Le facoltà di medicina di Basilea, Berna, Friburgo e Zurigo applicano il numero chiuso (esame d’ammissione), mentre in quelle Ginevra, Losanna e Neuchâtel la selezione avviene nel corso dei primi due anni.

Nel 2007 la Svizzera contava 321 ospedali, di cui 191 cliniche specializzate, per un totale di 41’910 letti. Nel 1998 erano 399 per 45’959 letti. Il culmine è stato raggiunto nel 1982, con 462 cliniche.

Queste cliniche impiegavano 130’990 persone (97’146 nel 1998).

I costi d’esercizio sono stati di 18,3 miliardi di franchi, con una media di 10’300 franchi per ogni caso clinico. Nel 1998 le spese ammontavano a 12,4 miliardi, per una media di 9’200 franchi.

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