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I migranti pagano più caro la crisi economica

Keystone

L'Unione sindacale svizzera lancia un grido d'allarme: la crisi economica sta gravando in modo particolare su una categoria già sfavorita, ossia i lavoratori stranieri meno qualificati. Quali soluzioni? Migliorare la formazione, combattere gli abusi e facilitare il riconoscimento dei diplomi.

Nel mese di giugno, in Svizzera vi erano circa 140’000 persone a beneficio dell’assicurazione disoccupazione, ossia un tasso del 3,6%. Una situazione che colpisce in ampia misura i salariati di origine straniera, i quali garantiscono oltre un quarto del tempo di lavoro effettuato nella Confederazione.

Infatti, ha evidenziato giovedì a Berna Vania Alleva, vice-presidente dell’Unione sindacale svizzera (USS), «il tasso di disoccupazione tra i migranti ammonta al 6,6%». Questa cifra, ha aggiunto, «è dovuta al fatto che i settori maggiormente dipendenti dalla congiuntura sono allo stesso tempo quelli che impiegano una grande quantità di lavoratori stranieri». È il caso, ad esempio, dell’edilizia e della ristorazione.

A ciò si aggiunge un ulteriore fattore: «I migranti hanno generalmente un livello di formazione meno elevato rispetto agli svizzeri, basti pensare che il 31% degli stranieri attivi professionalmente non possiede un diploma o un certificato d’apprendistato, mentre questa percentuale è del 13% presso gli elvetici», rileva Alleva. Di conseguenza, il rischio di perdere l’impiego è superiore.

Fattore discriminazione

I lavoratori stranieri sono comunque sfavoriti anche durante i periodi caratterizzati da una congiuntura positiva, ha sottolineato l’USS, citando studi recenti a questo proposito.

«Quando ci si chiama Besim oppure Öslem è ben più difficile ottenere un posto d’apprendistato, anche disponendo delle qualifiche necessarie». La constatazione espressa da Doris Bianchi, segretaria centrale dell’Unione sindacale svizzera, assume un significato particolare nel contesto economico attuale.

Infatti, ha aggiunto, i migranti cominciano a essere sfavoriti sin dalla ricerca del primo impiego. Tale condizione si protrae anche nel prosieguo della carriera professionale: a parità di formazione i lavoratori stranieri risultano essere spesso pagati meno rispetto agli indigeni, e sovente sono i primi a essere licenziati quando il contesto economico si deteriora.

Secondo Doris Bianchi, infatti, «la manodopera immigrata è tuttora considerata come un ammortizzatore congiunturale che perde per primo il proprio impiego, non soltanto durante i periodi di crisi ma anche in occasione delle ristrutturazioni».

Correttivi necessari

Vania Alleva ha poi indicato ulteriori motivi alla base della situazione sfavorevole dei lavoratori stranieri in Svizzera: l’assenza di un’adeguata politica di formazione continua, misure d’integrazione e centri di consulenza insufficienti così come il riconoscimento problematico dei certificati e dei diplomi esteri.

Per quanto concerne le misure concrete, l’USS caldeggia quindi maggiori investimenti da parte della Confederazione nel settore della formazione e della formazione continua, accompagnata da programmi di aiuti congiunturali a lungo termine.

A titolo di esempio, tra le misure che si sono già dimostrate efficaci all’estero, figura l’invio di candidature anonime. L’USS s’impegnerà inoltre per facilitare il riconoscimento dei diplomi rilasciati da paesi esterni all’Unione europea.

Secondo l’organizzazione – inoltre – è fondamentale che governo, parlamento e padronato assumano le proprie responsabilità e lavorino assieme in questa direzione, per evitare lo sviluppo della xenofobia in un clima già segnato «da una preoccupante tendenza protezionista e nazionalista», a immagine del “sindacato degli impiegati ginevrini”. Quest’ultimo ha infatti espresso propositi ostili ai lavoratori frontalieri.

Legislazione da modificare

In Svizzera, rileva Doris Bianchi, la differenza del 14% tra i salari dei lavoratori elvetici e quella dei colleghi stranieri non può essere spiegata solo in termini di diverse competenze professionali e linguistiche, ma è influenzata da fattori quali il luogo d’origine e il tipo di permesso di soggiorno.

A suo parere, «la situazione giuridica attuale impedisce troppo sovente ai lavoratori immigrati di fare valere i loro diritti. Infatti, le discriminazioni legate all’origine sono proibite unicamente in modo implicito. Le regole sfavorevoli per quanto concerne l’onere della prova e i costi procedurali hanno inoltre un ruolo dissuasivo».

Guglielmo Bozzolini, presidente della Commissione delle migrazioni dell’USS, conclude: «Nella legislazione svizzera mancano strumenti chiari che consentano di effettuare controlli regolari da parte di istituzioni terze. Non è sufficiente intervenire nei casi più eclatanti: vi sono infatti situazioni di discriminazione diffusa che risultano ancora più gravi dal punto di vista sociale».

Andrea Clementi, swissinfo.ch

Secondo i dati di aprile 2009, il 72% dei giovani svizzeri avrà di un posto d’apprendistato entro l’estate, mentre tra i giovani immigrati tale percentuale si situa al 44%.

I salariati stranieri che non provengono dall’Europa ricevono stipendi inferiori del 17%-29% rispetto ai loro colleghi svizzeri. A livello generale, la differenza retributiva tra elvetici e stranieri si situa al 14%.

L’80% dei lavoratori immigrati stabiliti in Svizzera (con un permesso di domicilio) non esercita una funzione dirigenziale.

Nel corso del primo trimestre del 2009, il numero di permessi di soggiorno di lunga durata in Svizzera è diminuito del 40% rispetto all’anno precedente. I permessi di soggiorno di corta durata sono calati del 10%.

Il 13,2% della popolazione straniera residente in Svizzera fa parte dei cosiddetti working poor (complessivamente circa 150’000 persone); gli stranieri provenienti da Stati non europei sono circa il 20% dei working poor; gli svizzeri considerati poveri sono il 5,7% della popolazione.

Secondo i criteri dell’Ufficio federale di statistica, i lavoratori considerati poveri («working poor») sono persone appartenenti alla fascia d’età compresa tra i 20-59 anni che, pur svolgendo un’attività lucrativa a tempo pieno, vivono al di sotto della soglia della povertà.

In Svizzera, la soglia statistica della povertà è calcolata a un reddito di 2’200 franchi al mese per le persone che vivono da sole e 3’800 franchi per le famiglie monoparentali con due figli con meno di 16 anni. Per le coppie con due figli, essa si situa a 4’000 franchi.

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