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In piazza per il “futuro possibile”

I sindacati chiamano all'appello in piazza per il 1. maggio, gli iscritti seguiranno il richiamo? Keystone

La debole tradizione sindacale svizzera vive una nuova primavera, ma il primo maggio è, sempre più, un crogiolo di rivendicazioni e culture.

“Il primo maggio è un giorno di festa e di riflessione”, afferma Werner Carobbio, ex-consigliere nazionale socialista ticinese. Questo perché il 2002 è un anno di successi per i sindacati elvetici.

Al tavolo delle trattative e in Parlamento i rappresentanti delle parti sociali hanno raggiunto traguardi importanti. Nel settore dell’edilizia è stato possibile raggiungere il pensionamento flessibile a sessanta anni. Per Rolf Zimmermann, dell’Unione sindacale, si tratta di un successo miliare, “paragonabile all’introduzione della settimana di cinque giorni negli anni sessanta”.

Inoltre molte catene di distribuzione al dettaglio, seguendo l’esempio della ristorazione, hanno accettato gli stipendi minimi di 3’000 franchi. E le Camere federali hanno aperto la previdenza professionale anche ai redditi bassi. Questa è una vittoria soprattutto per le donne, che lavorano spesso a tempo parziale, sono occupate in settori con salari bassi ed erano, fin qui escluse dalla pensione professionale.

“Ma è anche la riscoperta da parte dei sindacati di un nuovo spirito di lotta”, sottolinea Werner Carobbio. “La mobilitazione vale tanto di più, perché gli svizzeri non sono abituati a scioperare e la pace del lavoro, su cui basano i rapporti contrattuali in Svizzera, non favorisce la mobilitazione delle maestranze per i propri diritti”.

Il primo maggio che cambia

Negli ultimi anni le manifestazioni del primo maggio sono profondamente cambiate. L’esempio di Zurigo: da anni il Partito socialista non fa più parte del comitato d’organizzazione. La scelta è dovuta alla continua presenza di agitatori che hanno portato a ripetuti atti di violenza.

Ma se il partito storico della sinistra si distanzia, sono più presenti che mai altri gruppi. Il PKK dei curdi, i movimenti tamil dell’emigrazione, molti gruppi antiglobalizzazione; un’ottantina in tutto. “Anche al sud delle Alpi si nota questa trasformazione – afferma Carobbio – ma bisogna ricordare che sono proprio gli stranieri nel nostro paese a vivere nelle condizioni salariali peggiori. Per loro la piazza rimane un punto importante per esprimere le necessità”.

Nuova voglia di combattere?

Ma negli ultimi anni sono cambiate molte cose anche per gli svizzeri. “Negli anni novanta abbiamo vissuto delle forti pressioni da parte dell’economia, dei veri attacchi allo statuto sociale dei lavoratori, dietro il paravento della globalizzazione. Adesso c’è la reazione forte con il cambiamento di strategia da parte delle organizzazioni di categoria”.

Ma il successo dei sindacati è relativo, precisano gli osservatori del mercato del lavoro. Klaus Armigeon, politologo dell’Università di Berna, ricorda che una rondine non fa primavera: “Dopo una fase di debolezza, i sindacati hanno intascato alcuni successi, ma nel contesto internazionale le organizzazioni dei lavoratori svizzere rimangono comunque mansuete e disposte al compromesso”.

E le cifre sembrano confermare la tesi: in terra elvetica, lo sciopero annuale su mille lavoratori raggiunge in media 0,6 giorni. In Giappone sono due giorni a testa, nella vicina Austria sono già tre. Secondo Armigeon il successo recente è dovuto piuttosto alla disponibilità del padronato a fare delle concessioni in un periodo di ripresa congiunturale, che alla nuova forza delle organizzazioni dei lavoratori.

Appello rinnovato

Werner Carobbio non si fa troppe illusioni: “La tradizione della pace del lavoro ha ancora le radici forti e il primo maggio non tocca i problemi concreti, è un atto simbolico di riflessione per sollevare temi di carattere generale, ma certamente si spera…”

Per rilanciare la vita e l’efficacia del mondo sindacale e quindi del vecchio primo maggio, come festa dei lavoratori ci vogliono nuove ricette: “I sindacati devono ritrovare sé stessi e dare risposte globali a problemi che varcano gli interessi settoriali e specifici. Questo perché liberalizzazione e privatizzazione riguardano tutti i salariati, anche quelli scarsamente sindacalizzati come nella nuova economia”.

E non è un caso che il motto del meeting mondiale anti-global di Porto Alegre, sia stato ripescato per il primo maggio ticinese di quest’anno. Nella località brasiliana si discuteva “un futuro possibile”, ma per Carobbio, il bisogno di cambiamento della società è più che mai necessario. “Io dico – conclude il pensionato che non abbandona il fronte – un nuovo mondo è necessario, nell’interesse della democrazia”.

Daniele Papacella

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