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L’UE si democratizza; nubi all’orizzonte per la Svizzera

Bruxelles è l'Europa... anche in miniatura Keystone

Il primo dicembre entra in vigore il Trattato di Lisbona. La nuova architettura istituzionale dell'Unione Europea renderà più complicate le relazioni tra Bruxelles e Berna. La Svizzera dovrà adattare i suoi metodi di lavoro ed abituarsi a trattare con nuovi interlocutori.

Dopo un lungo e tormentato percorso durato otto anni, l’Unione Europea avrà dal primo dicembre la sua prima Costituzione.

Le novità previste dal Trattato sono molte. In particolare l’Unione Europea avrà un presidente permanente, nella persona del belga Herman Van Rompuy, e un alto rappresentante per la politica estera, la britannica Catherine Asthon di Upholland.

Quest’ultima deterrà le competenze attualmente divise tra il capo della diplomazia europea Javier Solana e la commissaria per le relazioni esterne Benita Ferrero-Waldner e dirigerà il nuovo Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE).

Un parlamento più forte

Inoltre il parlamento europeo avrà un potere di codecisione più esteso. In particolare potrà bocciare le decisioni del Consiglio dei ministri e della Commissione in settori come la giustizia, l’immigrazione, i trattati internazionali e il bilancio.

Un’altra riforma importante è legata al sistema di voto: la necessità di raggiungere l’unanimità verrà fortemente ridimensionata, pur rimanendo in alcuni settori chiave come il fisco e la difesa.

“In un certo senso, le innovazioni previste dal Trattato dovrebbero essere accolte positivamente in Svizzera”, osserva Jean Russotto, avvocato svizzero residente a Bruxelles ed attento osservatore delle relazioni tra la Confederazione e l’UE. “Il deficit democratico di cui soffre l’UE dovrebbe in effetti ridursi”.

“Il parlamento europeo diventerà una sorta di Camera bassa, mentre il Consiglio dei ministri una Camera alta. Anche in certi settori dove le competenze del parlamento rimarranno limitate, ad esempio in quello della fiscalità, le consultazioni saranno più approfondite”.

Inoltre, i parlamenti nazionali potranno intervenire maggiormente nel processo decisionale dell’UE – un po’ come i cantoni in Svizzera – e sarà instaurato un diritto “d’iniziativa dei cittadini”, che permetterà a un gruppo di almeno un milione di persone di invitare la Commissione ad agire in determinati ambiti politici.

Diplomazia da rafforzare

La nuova architettura istituzionale dell’UE rischia però di rendere le cose più complicate per la Svizzera. In un’intervista alla NZZ am Sonntag, l’ambasciatore dell’UE a Berna Michael Reiterer non ha nascosto che la Confederazione va incontro a tempi difficili.

“La diplomazia svizzera dovrà essere rafforzata e in particolare dovrà tessere più contatti con il parlamento europeo. Naturalmente sarà più difficile perché gli attori in gioco adesso sono più numerosi”, ha sottolineato Reiterer.

Un’opinione condivisa da Jean Russotto. Limitando la libertà d’azione degli Stati membri dell’Unione, il Trattato di Lisbona obbligherà Berna a trattare con un attore meno accomodante: il parlamento europeo. “Il problema è che non siamo né attrezzati né preparati per lavorare in profondità con gli eurodeputati”.

Inoltre, il parlamento europeo è sempre stato favorevole a un’integrazione europea molto forte, contrariamente agli Stati membri. “Vi sarà probabilmente un consolidamento della regolamentazione europea, in particolare nei settori dell’asilo, dell’immigrazione e della cooperazione giudiziaria. La Svizzera non potrà fare come se nulla fosse, poiché fa parte dello Spazio Schengen ed è associata alla Convenzione di Dublino”, afferma Jean Russotto.

Secondo l’ormai ex presidente del Consiglio nazionale Chiara Simoneschi Cortesi, in visita in ottobre a Bruxelles, “occorre rafforzare il dialogo tra Berna e Bruxelles sul piano parlamentare e in particolare a livello di commissioni”.

“Quello che mi ha colpito è che a Bruxelles si ragiona in modo molto più pragmatico e aperto che non in Svizzera – prosegue. Si dice apertamente che l’UE è un processo di integrazione, di sviluppo e di pace. Il processo è dinamico e non statico. Da noi, invece, la maggioranza dei cittadini e dei politici ha una concezione statica dei rapporti con l’UE”.

Fronte più unito

La Confederazione dovrà inoltre abituarsi a trattare anche con due attori nuovi, ossia il presidente permanente e il rappresentante per la politica estera.

“La Svizzera non potrà ignorare il presidente del Consiglio europeo, anche se la sua entrata in funzione non dovrebbe avere grandi ripercussioni sui poteri delle altre istituzioni – afferma Russotto. Ciò creerà un contatto obbligatorio in più, oltre a quelli con la presidenza di turno dei consigli ministeriali, col parlamento e con la Commissione”. Tre istituzioni i cui metodi di lavoro saranno senza dubbio modificati, in un senso poco favorevole alla Svizzera.

Il rappresentante per la politica estera, che dirigerà un servizio diplomatico ibrido, composto da funzionari europei e diplomatici nazionali, dovrà cercare in permanenza un equilibrio tra gli interessi dei 27 Stati membri, degli eurodeputati e della Commissione, di cui sarà il vicepresidente.

Il processo di decisione dell’Unione diventerà perciò verosimilmente più lento e complesso – ma è il prezzo da pagare per far sì che l’UE diventi più democratica, ha sottolineato da parte sua Michael Reiterer.

Il timore è che numerosi dossier importanti per Berna rimangano in sospeso a lungo. Inoltre la cooperazione istituzionale nell’ambito della politica estera sarà inevitabilmente rafforzata e la Svizzera sarà perciò confrontata “a un fronte più unito rispetto a prima”, osserva Jean Russotto. La strategia “divide et impera”, che “finora ha permesso alla Svizzera di difendere con efficacia i suoi interessi”, in futuro rischia perciò di essere più difficile da mettere in atto.

Tanguy Verhoosel, Bruxelles, swissinfo.ch
(traduzione ed adattamento di Daniele Mariani)

Dopo il ‘no’ del popolo elvetico nel 1992 all’adesione allo Spazio economico europeo, per regolamentare i rapporti con l’Unione Europea la Svizzera ha optato per un modello di cooperazione bilaterale.

Nel 1999 la Svizzera e l’UE, formata allora da 15 paesi, hanno concluso un primo pacchetto di accordi bilaterali, che hanno permesso innanzitutto di garantire una reciproca apertura dei mercati.

Gli Accordi bilaterali I, entrati in vigore nel 2002, concernono i seguenti settori: libera circolazione delle persone, appalti pubblici, ostacoli tecnici al commercio, agricoltura, ricerca, trasporti terrestri e trasporto aereo.

Nel 2004 Berna e Bruxelles hanno concordato un secondo pacchetto di accordi bilaterali, destinati a rafforzare la cooperazione in altri settori.

Gli Accordi bilaterali II, entrati in vigore tra il 2005 e il 2008, riguardano l’adesione della Svizzera ai trattati di Schengen e Dublino, la fiscalità del risparmio, i prodotti agricoli trasformati, i media, l’ambiente, la statistica, la lotta contro la frode, le pensioni, nonché l’educazione e la formazione professionale.

Dopo l’approvazione da parte del popolo svizzero del protocollo aggiuntivo sulla libera circolazione delle persone, gli accordi bilaterali sono stati estesi nel 2006 anche ai 10 paesi che hanno aderito all’UE nel maggio 2004.

L’8 febbraio 2009 il popolo elvetico ha approvato il rinnovo dell’accordo di libera circolazione delle persone con l’Ue e la sua estensione a Bulgaria e Romania.

Questa via bilaterale sta però diventando sempre più ardua, ha affermato recentemente Micheline Calmy-Rey. Secondo la ministra degli esteri elvetica, i 27 paesi dell’UE “cominciano ad averne abbastanza della Svizzera, che chiede sempre soluzioni particolari per ogni tema”.

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