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La base segue gli strateghi dell’UDC

Keystone

L'Unione democratica di centro non lancerà un referendum contro la libera circolazione delle persone. Ma annuncia battaglia agli «affossatori della democrazia».

Braccia in aria, camicia dalle maniche corte: Christoph Blocher, l’uomo più carismatico dell’Unione democratica di centro (UDC, destra nazionalconservatrice) ha bisogno di tutta la sua energia e il suo talento retorico per spiegare quello che a molti pare un dietrofront.

«Mi stava per sfuggire che è una “porcata” e non mi vengono in mente parole più adatte: il parlamento ha avuto la sfacciataggine di decidere questa cosa a porte chiuse. Adesso dobbiamo muoverci in modo intelligente e non lasciarci condurre su terreni scivolosi».

Il motivo di tanta foga? In maggio Christoph Blocher e il suo partito erano intenzionati a lanciare un referendum contro l’estensione dell’accordo di libera circolazione delle persone ai nuovi membri dell’Unione europea, Bulgaria e Romania.

Nel frattempo, però, il parlamento ha deciso di unire in unico decreto il rinnovo dell’accordo con i vecchi membri dell’UE e la sua estensione ai nuovi. La decisione, presa dalla conferenza di conciliazione, che si è riunita a porte chiuse, è arrivata dopo un lungo botta e risposta tra le camere (quella alta era per un unico pacchetto, quella bassa ne voleva due).

Il decreto unico ha gettato l’UDC in un dilemma: combattere l’estensione con un referendum significherebbe anche affossare l’attuale accordo, che non è contestato. È soprattutto l’ala economica del partito che non vuole mettere in pericolo la libera circolazione delle persone, conscia che ingegneri tedeschi e informatici svedesi – per non fare che alcuni esempi – danno slancio all’economia.

Segno di sottomissione

La base del partito, però, proprio non manda giù l’estensione dell’accordo a Romania e Bulgaria. «Vuol dire più stranieri. E chi vive in questi paesi? Roma e Sinti, ovvero nomadi. Leveranno le tende e invaderanno la Svizzera», ha tuonato un delegato.

Altri temono un effetto domino e un’estensione in tempi brevi ai paesi balcanici e alla Turchia. La conseguenza, per molti oratori, sarà «un aumento della criminalità e degli abusi nel campo dell’assistenza sociale».

I Giovani UDC – che dal canto loro hanno già deciso di lanciare il referendum, così come la Lega dei Ticinesi e i Democratici svizzeri – giudicano il pacchetto unico «un’estorsione». Rinunciare al referendum significherebbe dare ragione ai media e agli altri partiti, compiere «un atto di sottomissione nei confronto dei turbo pro UE».

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Strategie

Ma la dirigenza dell’UDC, grande trionfatrice delle ultime elezioni, non vuole rischiare di perdere e ha cercato di convincere la base che rinunciare al referendum è la decisione più intelligente.

«Non ho paura delle sconfitte», ha detto Blocher. «Ma lanciare un referendum significherebbe agire in modo sconsiderato. Non faremmo altro che contribuire a rendere efficace la strategia dei nostri avversari».

Ecco allora che gli strateghi dell’UDC intendono convogliare i loro strali verso un altro obiettivo, «la perfida mossa degli affossatori della democrazia» che ha portato al decreto unico. La questione sarà tematizzata attraverso una campagna d’affissione.

Complotto contro l’UDC

«È in corso una battaglia contro i diritti dei cittadini. Dobbiamo lottare per difenderli», ha argomentato Christoph Blocher. A suo avviso, gli altri partiti non sono altro che dei becchini, ansiosi di seppellire la democrazia. Nel 1999, ha ricordato Blocher, il governo aveva promesso che il popolo avrebbe avuto l’ultima parola su ogni estensione dell’accordo di libera circolazione. «Se tematizzeremo questa ingiustizia, vinceremo le elezioni del 2011».

Anche il presidente del partito Toni Brunnen ha chiesto all’assemblea di seguire la proposta del comitato e di non cedere alla tentazione di un «referendum farsa». Tutti gli altri partiti starebbero cospirando contro l’UDC e, cosa che per Brunnen è anche più grave, «hanno legami così stretti con l’amministrazione, la giustizia e i media che la concorrenza politica, e forse addirittura la separazione dei poteri, non è più garantita».

Alla fine, con 326 voti contrari al referendum e 166 voti a favore, la base ha dato ragione ai vertici del partito, in modo addirittura più deciso di quanto molti si aspettassero.

swissinfo, Andreas Keiser, Briga
(traduzione e adattamento, Doris Lucini)

L’accordo sulla libera circolazione delle persone con i primi 15 membri dell’Unione europea è entrato in vigore il 1° giugno 2002. Nel 2005 è stato esteso ai dieci paesi entrati a far parte dell’UE nel maggio del 2004.

L’accordo scade nel 2009. Nella Confederazione, la proroga soggiace al referendum facoltativo. Ai cittadini deve inoltre essere sottoposta l’estensione dell’accordo ai nuovi membri dell’UE, Romania e Bulgaria.

Il 13 giugno 2008 il parlamento ha approvato in un unico decreto il rinnovo dell’accordo e la sua estensione a Bulgaria e Romania.

La Lega dei Ticinesi e i Democratici Svizzeri hanno annunciato di volere lanciare il referendum contro tale decisione.

L’Unione democratica di centro – contraria all’estensione, ma non all’accordo in sé – ha deciso il 5 luglio nel corso dell’assemblea dei delegati di non ricorrere al referendum (326 voti contro 166).

Al momento di aprire l’assemblea di Briga, il presidente dell’UDC Toni Brunner ha dichiarato che la crisi interna al partito, scatenata dall’elezione di Eveline Widmer-Schlumpf in governo, è ormai «una vicenda chiusa». Nessuno ha infatti inoltrato ricorso contro l’espulsione della sezione retica.

Tuttavia, il canton Grigioni non è rimasto un «buco» nella carta geografica dell’UDC. Venerdì, infatti, il comitato centrale ha approvato l’adesione della nuova sezione grigionese, accolta dai delegati con un’ovazione. La nuova UDC Grigioni, fondata il 19 giugno, conta circa 400 membri. Vi hanno aderito in blocco finora le sezioni locali di Davos, Rhäzuns e Domat/Ems.

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