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La libera circolazione entra nel vivo a un anno dal voto

Keystone

Un contributo essenziale all'economia nazionale o una minaccia alla stabilità sociale? L'accordo sulla libera circolazione delle persone tra Berna e Bruxelles suscita pareri contrastanti. In vista del probabile voto popolare del 2009 favorevoli e contrari stanno già affilando le proprie armi.

Il mondo politico e l’economia svizzera non vogliono perdere tempo. Dopo la decisione del Parlamento di riunire in un unico decreto la riconduzione dell’accordo sulla libera circolazione delle persone tra Svizzera e Unione europea (Ue) dopo il 2009 e la sua estensione a Romania e Bulgaria, i sostenitori di un prosieguo della via bilaterale hanno dato avvio alle loro campagne.

«La libera circolazione ha contribuito in modo sostanziale alla creazione, in questi ultimi tre anni, di 190’000 posti di lavoro nella Confederazione», ha detto lunedì Gerold Bührer, presidente dell’associazione mantello delle aziende elvetiche economiesuisse, sottolineando che l’accordo tra Berna e Bruxelles ha portato un certo dinamismo alla crescita congiunturale.

«La Svizzera ha bisogno dei lavoratori qualificati dell’Ue», ha ribadito il presidente dell’Unione svizzera degli imprenditori, Rudolf Stämpfli. I timori degli oppositori alla libera circolazione sono infondati, sostiene, rammentando che l’immigrazione è controllata dai bisogni del mercato e che le assicurazioni sociali del paese (soprattutto l’Assicurazione vecchiaia e superstiti AVS) «beneficiano dei contributi versati dagli immigrati».

Un rifiuto al prolungamento dell’accordo con l’Ue sarebbe pertanto «catastrofico» per le piccole e medie imprese della Svizzera, ritiene Edi Engelberger, a capo dell’Unione svizzera delle arti e mestieri.

Sindacati favorevoli, ma….

I sindacati preferiscono muoversi con una certa cautela. I delegati dell’Unione sindacale svizzera (USS), riuniti in assemblea a Berna, hanno deciso all’unanimità di sostenere le relazioni bilaterali con l’Ue, rinunciando a lanciare o ad appoggiare un referendum contro la libera circolazione.

Il bilancio delle misure d’accompagnamento introdotte nel 2004 per proteggere i lavoratori dal dumping salariale e sociale è positivo, rileva l’USS. Ci sono tuttavia delle lacune da colmare – puntualizza Daniel Lampart, capo economista dell’associazione sindacale – in particolare nell’ambito del lavoro temporaneo e a domicilio.

Saranno pertanto combattuti tutti i tentativi di alleggerire le misure accompagnatorie, avverte l’USS, che attenderà ulteriori sviluppi sul tema prima di esprimere eventuali raccomandazioni sul voto che dovrebbe svolgersi, presumibilmente, nella primavera del 2009.

Venerdì scorso, alcune ore dopo la votazione finale in parlamento, alcuni esponenti liberali radicali hanno istituito un comitato in favore del “sì”. Lanciare un referendum per rinunciare ai vantaggi della libera circolazione, ha fatto notare il presidente del Partito liberale radicale Fulvio Pelli, equivale ad un autogol. «Tenuto conto dei tassi di crescita registrati da Romania e Bulgaria – ha aggiunto – anche l’estensione è un’opportunità per la Svizzera».

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Un referendum annunciato

L’interrogativo maggiore rimane la direzione che intende seguire l’Unione democratica di centro (UDC, destra nazional-conservatrice): nonostante la sua manifesta politica anti-europea, non ha ancora ufficializzato il lancio di un referendum. Le opinioni in seno al primo partito del paese sono divergenti, come già emerso in occasione della votazione popolare del 2005 sull’estensione della libera circolazione ai dieci nuovi Stati dell’Ue (accettata dal 56% dei cittadini).

Se da una parte diversi delegati UDC respingono l’estensione a Bulgaria e Romania a causa della «criminalità degli stranieri», d’altro lato una maggioranza dei suoi membri riconosce l’interesse economico della libera circolazione.

Il 17 maggio il comitato centrale del partito aveva indicato che nel caso i due accordi fossero stati rilegati in un unico decreto, l’UDC si sarebbe trovata «costretta» a lanciare un referendum contro il pacchetto globale. Alla luce dei nuovi sviluppi, i dirigenti si riservano la possibilità di rivalutare ancora una volta il dossier e rimandano ogni decisione all’assemblea dei delegati del 5 luglio.

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Referendum

Questo contenuto è stato pubblicato al Il referendum (facoltativo) permette ai cittadini di chiedere che sia il popolo a pronunciarsi su una legge accettata dal Parlamento. Se i promotori del referendum riescono a raccogliere 50’000 firme in 100 giorni viene organizzata una votazione. Nel caso in cui il Parlamento modifica la Costituzione è previsto invece un referendum obbligatorio. Il referendum facoltativo…

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Referendum con o senza l’UDC

Nell’attesa, la Lega dei Ticinesi (destra populista) ha già affermato che lancerà un referendum contro i Bilaterali «con o senza UDC», si legge sul suo giornale propagandistico Il Mattino della domenica.

La Lega, che nell’ultimo anno ha registrato a sud delle Alpi una netta crescita sia a livello cantonale che comunale, intende schierarsi contro degli accordi che «hanno reso il Ticino più povero e meno sicuro», scrive il presidente Giuliano Bignasca, deplorando «l’invasione di frontalieri a basso costo» e la «libera circolazione dei criminali dell’Est».

Il partito ticinese conta innanzitutto sul sostegno dei Democratici Svizzeri e dell’Azione per una Svizzera neutrale e indipendente, gruppo di destra nazionalista molto influente che raduna soprattutto gli esponenti più radicali dell’UDC. Il suo presidente, il deputato Hans Fehr, ha già offerto il suo appoggio al referendum, ritenendo che la piazza economica svizzera non è comunque in pericolo.

A differenza di quanto sostiene il governo, indica Fehr, l’Unione europea non disdirà gli accordi con la Svizzera: la cosiddetta clausola “ghigliottina” (che renderebbe caduco l’intero pacchetto di Bilaterali in vigore dal 2002 in caso di no popolare ad un solo accordo) è tirata in ballo solo «per far paura».

Per il benessere del paese

Mentre sostenitori e contrari stanno affilando le proprie armi, la ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey ha fatto sapere che il governo non svilupperà alcun scenario nell’ottica di un rifiuto popolare.

La consigliera federale conta in particolare sulla capacità degli aventi diritto di voto di riconoscere l’importanza che hanno gli accordi bilaterali e la libera circolazione delle persone per il benessere della Svizzera.

swissinfo e agenzie

La Svizzera prosegue la sua politica europea sulla via bilaterale. Dall’Accordo di libero scambio del 1972, la rete di intese è stata progressivamente ampliata.

Gli Accordi bilaterali I (conclusi nel 1999) vertono principalmente sulla reciproca apertura dei mercati in sette settori specifici: la libera circolazione delle persone, gli ostacoli tecnici al commercio, l’agricoltura, i trasporti aerei, i trasporti terrestri, gli appalti pubblici e la partecipazione della Svizzera ai programmi di ricerca dell’Ue.

Gli Accordi bilaterali II (2004) contemplano nuovi interessi economici ed ampliano la cooperazione ad altri settori: la sicurezza interna (Schengen/Dublino), l’ambiente, l’educazione e la formazione, i prodotti agricoli trasformati, la fiscalità del risparmio, le pensioni, la lotta contro la frode, la statistica e la cinematografia.

Nel suo ultimo rapporto sulla libera circolazione delle persone tra Berna e Bruxelles (aprile 2008), la Segreteria di stato dell’economia (Seco) trae un bilancio piuttosto positivo dell’accordo in vigore dal 2002: l’immigrazione si è svolta in modo controllato e non sono stati rilevati effetti negativi sui salari.

Il bilancio positivo va però sfumato a seconda delle regioni. Nei cantoni che occupano un forte effettivo di frontalieri, come in Ticino o nella regione del Lemano, la manodopera meno qualificata ha approfittato della libera circolazione a scapito dei cittadini indigeni, indica la Seco.

Le differenze salariali sono in effetti più pronunciate tra l’Italia e il Ticino o tra la Francia e la Svizzera romanda, rispetto a quelle tra la Germania e la Svizzera tedesca.

È comunque prematuro, sottolinea la Seco, affermare se l’elevato tasso di disoccupazione in queste regioni (Ticino: 3,9%; Ginevra: 5,8%; media nazionale: 2,6%) sia dovuto alla libera circolazione o ad aspetti strutturali.

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