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La Svizzera italiana riscopre “l’albero del pane”

Patate, polenta ma soprattutto castagne: ecco come si "tirava avanti" nella Svizzera a sud delle Alpi. Dopo la seconda guerra mondiale sono arrivati gli anni dell’abbondanza e la castagna è stata dimenticata.

Oggi il turismo riscopre un frutto che in passato ha salvato tanta gente dalla fame.

Non se ne poteva fare a meno

Il castagno è un albero di primaria importanza nella Storia del Cantone. Nella prima metà del 1900 le castagne erano, per le regioni a cavallo tra il sud della Svizzera e il nord Italia, una risorsa insostituibile.

Gli anziani ricordano che, durante la Seconda Guerra Mondiale, il cibo scarseggiava anche in Ticino; gli alimenti erano razionati. Le castagne furono allora l’alimento base della popolazione.

“C’era molta miseria”, raccontano a swissinfo due anziane ticinesi. “I giovani oggi non possono immaginare. Si coltivavano le patate, si mangiava polenta – se c’era la farina. Ma sono le castagne ad aver salvato molta gente”.

L’importanza della castagna era nota anche prima: il Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana cita ad esempio alcune annotazioni del ‘700 dove si legge che “le selve più utili sono formate da castagni, che spesso sostituiscono all’italiano, negli anni di carestia, il pane”.

Il discorso era un pò come quello del maiale: non si butta via niente. Si legge ancora, infatti che “il contadino mangia castagne fresche o secche, delle foglie fa strame per le bestie, il legno lo usa per fabbricare le sue migliori botti da vino”.

La storia è proseguita fino alla fine degli anni ’60, quando il castagno di tutta la regione, nord Italia compreso, forniva a molti Paesi il tannino, materia conciante usata nella lavorazione delle pelli: si esportava in Germania, Olanda, Polonia.

Poi, nel 1964, la concorrenza di materie concianti sintetiche indusse l’industria a interrompere l’attività. Il castagno venne dimenticato per 4 decenni.

Sull’onda dei ricordi

La castagna era preziosa. “Ero una bambina. Ricordo che mia madre impastava il pane una volta alla settimana”, spiega Caterina, 95 anni, malcantonese, proveniente cioè da una regione particolarmente ricca di queste piante.

“Le chiedevo di preparami il cusciöö, una michetta alla quale si aggiungevano alcune castagne. E mia madre rispondeva che non poteva farlo ogni volta…”

Domenica, 84 anni, racconta che durante una cerimonia in Val di Blenio – siamo all’inizio del ‘900 – era stato offerto al vescovo di Lugano, e probabilmente con qualche sacrificio, un piatto di castagne con panna.

L’ecclesiastico era stato invitato a non sprecare neanche un frutto, perché ciò che restava sarebbe andato ai maiali. “La castagna era preziosa: meglio a lui che ai maiali, no?”

Un’economia da reinventare

Ora la produzione ticinese di castagne è di circa 20 tonnellate all’anno. Con un problema: si tratta di troppe, diverse qualità perché non è mai stata seguita una strategia di vendita.

Non sono mai state verificate le reali possibilità di smercio sul mercato ticinese e svizzero: ci sono pochissimi Marroni, ad esempio, le castagne più ricercate e più costose. La Svizzera le ha sempre importate dall’Italia.

Difficilmente la castagna potrà riappropriarsi di un ruolo di primo piano; il suo futuro resta tuttavia interessante. Ai nostri giorni il rilancio dell’economia del castagno è stato sostenuto anche dal Segretariato di Stato dell’economia, che, finanziando progetti, aiuta le aree rurali e di montagna a rinnovarsi e rivivere.

In Ticino il progetto Regio Plus ha consentito alla castagna e ai suoi derivati di diffondersi maggiormente nella zona, permettendo al frutto di tornare al centro dell’attenzione di molte persone, si legge nel rapporto finale della Regione Malcantone.

Un’opportunità dal turismo

Oltre a contenere gli incendi e a trattenere acqua e terriccio durante i temporali violenti, le selve di castagni pulite e relativi sottoboschi curati sono un piacere per gli occhi; invitano a passeggiare diventando un toccasana per i polmoni.

La castagna quindi come ciliegina sulla torta del turismo autunnale a sud delle Alpi? È possibile, visto anche il successo che sta riscuotendo il sentiero del castagno nell’Alto Malcantone: i circa 8mila passaggi a stagione hanno spinto un imprenditore locale a investire quasi 3 milioni di franchi per aprire un albergo a Mugena, chiamato “Il castagno”.

Ospita anche la posta e una banca; è costruito in legno di castagno della regione e riscaldato da una centrale a legna.

Restando in zona, ad Arosio il ristorante San Michele propone diverse specialità di castagna. Tuttavia, nonostante il rilancio, i ticinesi sembrano aver perso l’abitudine di andare “per castagne”. In questo periodo non è raro trovare strade di montagna imbiancate: non dalla neve ma dalla farina di castagne, non raccolte, tritate dalle ruote delle macchine.

“Ora da noi”, riflette Domenica, “resta l’usanza di cuocere le castagne per la ricorrenza dei morti. Io le metto su un piatto, sul tavolo di cucina, la notte del primo novembre, così i nostri morti trovano da mangiare. Le castagne, il cibo di una volta”.

swissinfo, Maddalena Guareschi, Lugano

Alimento-base della popolazione della regione insubrica, la castagna è stata dimenticata negli ultimi 40 anni. I castagneti fornivano sostentamento a persone e animali e alimentavano l’economia della regione.

La Svizzera italiana rilancia il frutto, valorizzando la castagna quale prodotto del bosco, integrandola nella propaganda turistica.

La nicchia del turismo infatti pare essere l’unica in grado di restituire un futuro alla castagna, dal momento che non è mai stata seguita una strategia di mercato. Non prodotto da esportare, quindi, ma valore aggiunto per l’industria del turismo ticinese.

Il castagno ha sostenuto il Ticino fino al 1900
Il suo legno era esportato in Europa per il tannino
Con gli anni dell’abbondanza il frutto è stato accantonato
In Ticino se ne producono 20 tonnellate all’anno

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