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Minareti: la lunga onda del 29 novembre

Il progetto di minareto a Langenthal, nel canton Berna, è attualmente al vaglio delle autorità cantonali. Keystone

Le tensioni internazionali seguite alla votazione che ha sancito il divieto di costruire nuovi minareti sembrano placate, ma – secondo gli esperti – l'immagine della Svizzera ne ha comunque risentito.

La decisione del popolo svizzero aveva suscitato aspre critiche da parte di governi, associazioni musulmane in tutto il mondo, Nazioni Unite e Consiglio d’Europa; i movimenti di destra avevano invece salutato la scelta della maggioranza elvetica.

Dopo la prima fase – caratterizzata dalla condanna quasi unanime, perlomeno a livello di esponenti istituzionali – le critiche sono proseguite, anche se con frequenza più sporadica.

A titolo di esempio, il Dipartimento di Stato americano ha citato in suo rapporto il divieto come un caso di discriminazione nei confronti dei musulmani in Europa.

Meno peggio del previsto

Parecchi segnali indicano comunque che la tensione sta calando: Erwin Tanner, esponente della Conferenza episcopale svizzera, ha affermato di ritorno da viaggio dedicato al dialogo interreligioso in Siria e Libano che la questione «appartiene ormai al passato».

Anche la Corte europea dei diritti umani – che dovrà valutare sei ricorsi contro il divieto – ha affermato di aver ricevuto in aprile soltanto due lettere di protesta riguardanti la decisione del popolo svizzero: poca cosa, se paragonate alla cinquantina ogni giorno di fine gennaio.

Anche il timore iniziale di un boicottaggio economico analogo a quello subito dalla Danimarca dopo la vicenda delle caricature di Maometto (2006) si è rivelato infondato: «Le reazioni da parte delle organizzazioni e dei paesi islamici sono state molto critiche nei toni, ma comunque generalmente moderate; inoltre, non vi sono stati appelli ufficiali al boicottaggio», spiega Adrian Sollberger, portavoce del Dipartimento federale degli affari esteri.

Secondo il Dfae, l’immagine internazionale della Confederazione rimane «buona e stabile»: a riprova, viene citato un recente studio dell’Università di San Gallo dal quale risulta che l’esito della votazione ha avuto un impatto assai limitato sui prodotti e i servizi elvetici all’estero.

Una constatazione confermata dalla Segreteria di Stato per l’economia: «Non ci risulta che aziende svizzere attive nei paesi musulmani abbiano avuto problemi per questo motivo», commenta la portavoce Rita Baldegger.

Informazione attiva

Sollberger aggiunge che le reazioni moderate sono legate alla campagna di informazione rivolta agli ambienti religiosi e alla società civile attiva messa in atto – prima della votazione – dalla diplomazia elvetica nei paesi musulmani.

In seguito, vi sono stati ancora intensi contatti tra il governo svizzero e i ministri degli esteri dei paesi interessati così come degli altri Stati europei. Una strategia che – secondo l’ex ambasciatore François Nordmann – ha permesso di ridurre considerevolmente le tensioni.

In questo senso, sottolinea, la candidatura dell’ex ministro degli esteri svizzero Joseph Deiss alla presidenza dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e il ritorno della Confederazione in seno al Consiglio dei diritti umani dell’ONU indicano l’assenza di ostilità nei confronti del paese.

«Essere più modesti»

Nonostante questi segnali positivi, Nordmann evidenzia che «l’immagine internazionale della Svizzera – la quale si era profilata come un modello per quanto concerne il rispetto dei diritti umani – ha comunque subito un contraccolpo. Quanto accaduto ci obbliga a essere più modesti».

Dal canto suo, Hasni Abidi – direttore del Centro studi sul mondo arabo e mediterraneo di Ginevra – concorda nel dire che le tensioni sono diminuite, ma a suo parere ciò è dovuto più al tempo che agli sforzi diplomatici. Inoltre, l’esperto fa presente che nel mondo arabo il cittadino medio non ha compreso il voto svizzero.

«Sono appena rientrato da un viaggio negli Stati del Golfo: ogni volta che si è parlato della Svizzera, le persone hanno detto di non avere capito il senso della decisione dei cittadini elvetici. L’immagine del paese ne ha certamente risentito», osserva l’esperto.

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E adesso?

Yves Lador – esperto di diritti umani attivo a Ginevra – ritiene che l’esito della votazione avrà effetti negativi sul lungo periodo: «È una sorta di infezione, che ci consente di vivere normalmente ma che potrebbe diventare improvvisamente più grave e danneggiarci». Per esempio, spiega, altri paesi potrebbero utilizzare la vicenda per indebolire la Svizzera nel quadro di negoziati bilaterali.

Il voto sui minareti ha influenzato anche il discorso relativo alla presenza islamica negli altri paesi europei: «Leggendo i commenti della stampa araba sulla questione del burqa in Belgio e Francia, viene ricordato il ruolo precursore della Svizzera, con il suo voto sui minareti», afferma Abidi.

Anche nella Confederazione sono nel frattempo state avanzate proposte di divieto del burqa, segnatamente a Ginevra: «Ci stiamo influenzando a vicenda. Un simile divieto avrebbe un grave impatto sul turismo proveniente dal Medio Oriente, ben peggiore di quanto avvenuto con i minareti», conclude Lador.

Simon Bradley, swissinfo.ch
(traduzione e adattamento: Andrea Clementi)

Nella Confederazione vivono circa 350’000 musulmani (stime del 2008); il 10-15% è praticante. Il loro numero è raddoppiato tra il 1990 e il 2000 e circa il 10% dei musulmani possiede la cittadinanza svizzera.

Nel 2000 (ultimo censimento) rappresentavano il 4,3% della popolazione svizzera. Si tratta della principale comunità religiosa del paese dopo i cattolici e i protestanti.

Il 56% dei musulmani che vivono nella Confederazione proviene dai Balcani (soprattutto albanesi e bosniaci), il 20% dalla Turchia, il 4% dal Maghreb, il 3% dal Libano e il 15% dall’Africa nera.

In Svizzera esistono quattro moschee dotate di un minareto (Zurigo, Ginevra, Winterthur e Wangen bei Olten) e circa 180 luoghi di preghiera islamici, situati prevalentemente all’interno di centri culturali.

Il 29 novembre 2009, la maggioranza dell’elettorato elvetico (57,5%) ha accettato l’iniziativa che vieta la costruzione di nuovi minareti in Svizzera.

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