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Ostaggi svizzeri in Libia tornati in ambasciata

Dopo quasi due mesi di detenzione, gli ostaggi tornano in ambasciata. eda.admin.ch

I due cittadini svizzeri trattenuti in Libia da oltre un anno sono stati consegnati dalle autorità libiche all'ambasciata elvetica a Tripoli. Lo ha comunicato il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE). Gli ostaggi, trasferiti in un luogo sconosciuto a metà settembre, «stanno bene considerate le circostanze».

Le autorità libiche non hanno dato spiegazioni sulla decisione di riportare in ambasciata i due uomini d’affari, di cui si erano perse le tracce. « Al momento non è possibile fornire maggiori dettagli», ha spiegato in un comunicato il DFAE, precisando che i due uomini sono «in buona salute, considerate le circostanze».

I due ostaggi non sono stati maltrattati, stanno bene e sono sollevati, ha precisato Micheline Calmy-Rey in una conferenza stampa a Berna. «Sul piano umanitario è una buona notizia», ha dichiarato la ministra degli esteri svizzera, che non ha però voluto spiegare quali saranno le strategie future della diplomazia svizzera.

Dal canto suo, il presidente della Confederazione e ministro delle finanze Hans-Rudolf Merz si è detto «sollevato», ma non ha voluto aggiungere commenti visto che il dossier è di responsabilità del DFAE, ha indicato il suo portavoce Roland Meier.

Due mesi di silenzio

Col pretesto di un controllo medico, il 18 settembre gli ostaggi erano stati convocati dalle autorità libiche che li avevano portati in un posto segreto. Una misura definita «inaccettabile» dal DFAE, che da quel momento non aveva più avuto alcun contatto con i suoi cittadini. Gheddafi aveva spiegato che la misura era stata presa per timore che la Svizzera procedesse a un’operazione di liberazione.

Sulla vicenda si era espresso anche il segretariato internazionale di Amnesty International che in una lettera al presidente Gheddafi aveva chiesto informazioni sul luogo di detenzione dei due cittadini svizzeri. L’ONG ha accolto con soddisfazione la liberazione degli ostaggi, definta un «prograsso immenso nel rispetto dei loro diritti fondamentali», ma ha sottolineato che si tratta «soltanto di un primo passo». Amnesty chiede infatti che i due uomini possano rientrare in patria visto che «non sono stati incriminati dalle autorità libiche».

Accordo sospeso

Mercoledì, il Governo svizzero aveva annunciato la sospensione dell’accordo firmato tra Svizzera e Libia il 20 agosto, visto il rifiuto di Tripoli di lasciare rientrare i due ostaggi e di far conoscere il loro luogo di detenzione. Per questa ragione, la Confederazione aveva annunciato di voler mantenere la sua politica restrittiva per quanto riguarda la concessione di visti a cittadini libici.

Secondo Hasni Abidi, direttore del Centro di studi e ricerche sul mondo arabo e mediterraneo a Ginevra, il ritorno dei due cittadini in ambasciata è una conseguenza diretta del cambiamento di tono e di strategia del Consiglio federale, ma non significa «la fine del calvario». Le autorità libiche si «sono rese conto che trattenere i due uomini in un luogo segreto era non solo un errore, ma anche controproducente». La prima misura «coraggiosa» del governo svizzero, conclude Hasni Abidi, ha portato Tripoli a reagire, ma non bisogna dimenticare che il governo libico è «imprevedibile».

Le relazioni tra i due paesi sono tese dal luglio del 2008, in seguito all’arresto a Ginevra di uno dei figli di Gheddafi, Hannibal, e di sua moglie, denunciati per maltrattamenti da due domestici. Da allora due uomini d’affari svizzeri sono trattenuti in Libia. Il presidente della Confederazione si è recato a Tripoli nell’agosto di quest’anno e si è scusato per le modalità dell’arresto. Era rientrato in patria convinto che i due uomini d’affari sarebbero stati liberi di lasciare la Libia in tempi brevi. I due svizzeri, però, sono ancora trattenuti nella capitale del paese africano.

swissinfo.ch e agenzie

15- 17 luglio 2008: Hannibal Gheddafi e la moglie Aline, incinta di nove mesi, sono fermati dalla polizia in un albergo a Ginevra. Vengono incriminati per lesioni semplici, minacce e coazione. Sono rimessi in libertà dietro pagamento di una cauzione di 500’000 franchi.

19 luglio: due cittadini svizzeri in Libia sono arrestati con l’accusa di aver violato le disposizioni sull’immigrazione e sul soggiorno. Altre misure di ritorsione colpiscono diverse aziende elvetiche, che devono chiudere le loro attività in Libia.

26 luglio: la Libia esige dalla Svizzera scuse ufficiali e l’archiviazione del procedimento penale. La Confederazione respinge le richieste.

29 luglio: i due svizzeri fermati in Libia sono liberati dietro cauzione (circa 18’000 franchi in tutto), ma non possono lasciare il paese.

2 settembre: i due domestici della coppia Gheddafi ritirano le accuse dopo aver ricevuto un indennizzo. Il caso è archiviato.

20 agosto: Hans-Rudolf Merz si reca a Tripoli e si scusa per l’arresto “ingiustificato e inutile” di Hannibal Gheddafi e della sua famiglia da parte della polizia ginevrina. In cambio riceve la promessa che i due cittadini elvetici trattenuti in Libia potranno ritornare in patria in tempi brevi. Merz e il primo ministro libico firmano un accordo che sancisce l’istituzione di un tribunale arbitrale e mira a normalizzare le relazioni bilaterali.

18 settembre: gli ostaggi vengono prelevati dalle autorità libiche e portati in un luogo segreto.


Metà ottobre: Una delegazione svizzera si reca a Tripoli per incontrare le autorità libiche e ristabilire i contatti con i due cittadini trattenuti da oltre un anno, senza però successo.

4 novembre: Il Consiglio federale sospende l’accordo firmato a Tripoli tra Svizzera e Libia il 20 agosto. Mantiene inoltre una politica restrittiva in materia di visti.

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