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Pedalando attraverso la Svizzera

Nonostante la crisi del settore, gli svizzeri adorano andare in bicicletta Keystone Archive

Mercoledì si apre a Zurigo un'esposizione internazionale dedicata alle ultime novità sul mercato di moto e biciclette.

In Svizzera, oltre alla rete stradale e a quella ferroviaria, anche quella ciclistica è ben sviluppata. Nove nuovi percorsi, della lunghezza di 3’300 km, collegano le varie regioni del Paese, a livello nazionale, aggiungendosi agli altri 3’000 km di piste ciclabili regionali.

“Cara bicicletta”

Gli svizzeri vanno volentieri in bicicletta. Nel 2000 la rete ciclistica è stata usata per ben 3,4 milioni di volte. La metà dei ciclisti erano svizzeri. Per quanto riguarda i cicloturisti stranieri, la maggior parte proveniva dalla Germania.

L’esposizione internazionale “Due ruote”, a Zurigo, è un’occasione per sottolineare il successo della bicicletta. Su una superficie di 1,5 ettari, 213 espositori presentano le ultime novità sul mercato delle moto e delle biciclette.

Crisi nella produzione

Nonostante la popolarità che la bicicletta gode presso il grande pubblico, per i costruttori di questo veicolo la situazione è abbastanza drammatica. “Non esistono quasi più costruttori svizzeri. Le bici vengono importate sempre di più dall’Asia, da altri Paesi europei o dall’America”, dichiara Roland Fuchs, portavoce dell’esposizione, a swissinfo.

Fra le vittime più note di questa tendenza negativa: la marca Cilo, un nome che ha una lunga tradizione. Un tempo infatti la Cilo produceva per i “grandi” del ciclismo elvetico come Ferdi Kübler e Hugo Koblet. Alla fine dell’anno scorso la Cilo ha dovuto chiudere i battenti e sospendere la produzione. “Entro marzo si vorrebbe fondare una nuova ditta, incaricata di portare nuovamente sul mercato biciclette Cilo”, rivela a swissinfo l’ex responsabile della Cilo, Claude Jan.

Le cose non vanno meglio alla prestigiosa ditta Villiger, un tempo portabandiera del settore in Svizzera. La produzione verrà trasferita in Germania. Alla sede di Lucerna ci si occuperà solo di importazione e rivendita.

Il perché della crisi

In Svizzera i costruttori di biciclette non hanno reagito tempestivamente all’ascesa delle mountainbike, alla fine degli anni ottanta, al momento di trasformare e adattare quello che era un semplice mezzo di trasporto in uno “strumento” sportivo. Ci hanno pensato invece ditte come la Scott, la Trek o la Cannondale, che in un batter d’occhio hanno conquistato il mercato elvetico.

Gli svizzeri hanno continuato a produrre biciclette del tipo classico, mentre la concorrenza riversava sul mercato modelli più moderni e alla moda. Contemporaneamente l’industria elvetica si è resa conto di non poter far fronte alla globalizzazione e alla produzione a basso costo dell’area asiatica. “Oggi non vale più la pena di produrre biciclette in Svizzera. I costi sono troppo alti”, sottolinea Roland Fuchs.

Fine del “swiss made”?

Con la crisi del settore anche il marchio “swiss made” ha subito un contraccolpo. Le ditte costruttrici di biciclette ancora rimaste in Svizzera, come la Aarios, la BMC o la Cresta, fanno comunque di tutto per tenere alta la reputazione. Queste piccole imprese cercano di compensare gli alti costi di produzione con una qualità impeccabile.

“I nostri prodotti sono più cari di quelli della concorrenza, ma noi adattiamo i nostri modelli alle esigenze del cliente”, spiega Arnold Ramel, titolare della Aarios SA, con una quindicina di dipendenti. “Non scendiamo mai sotto ad un certo livello di qualità”, sottolinea Arnold Ramel. “Offriamo ancora il vero “swiss made”. Per questo esistiamo ancora.”

Felix Münger

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