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Permettere ai poveri di sfruttare la globalizzazione

Imboden: "L'Africa è l'unico paese che uscirà a mani vuote dal Ciclo di Doha, qualsiasi sia l'esito" Keystone

L'attuale sistema che regola il commercio globale va rivisto, affinché i paesi in via di sviluppo non rimangano ai margini del benessere. Nicolas Imboden, ex negoziatore nel campo del commercio, illustra a swissinfo l'importanza di un maggiore equilibrio. Intervista.

Nicolas Imboden, ex delegato elvetico agli accordi commerciali, è la vera forza motrice che si muove dietro le quinte del primo appuntamento organizzato dal “Geneva Trade and Development Forum” (Forum di Ginevra per il commercio e lo sviluppo), che gode del sostegno di numerose nazioni, tra cui Svizzera, Germania, Francia, Paesi Bassi, Canada, Danimarca e Svezia.

La conferenza – in programma fino al 20 settembre a Crans-Montana (Vallese) e a cui prendono parte venti ministri dei 40 paesi presenti – si prefigge di trovare nuove vie per aiutare i paesi in via di sviluppo ad integrarsi nell’economia globalizzata. I partecipanti cercheranno nuove strategie con l’aiuto di esperti e dirigenti.

L’incontro di Crans-Montana si svolge in contemporanea al vertice della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo, che a Ginevra deve ridefinire gli sforzi per aiutare i paesi in via di sviluppo a raggiungere gli Obiettivi del Millennio. Sarà inoltre preso in esame lo stato del Ciclo di Doha – tuttora a un punto morto – nel quadro dei negoziati dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC).

swissinfo: Come è nata l’idea di questo forum?

Nicolas Imboden: In parte questa iniziativa è stata ispirata dai negoziati del Ciclo di Doha, che dovrebbero concentrarsi sulle soluzioni per promuovere lo sviluppo, ma che non stanno portando da nessuna parte. In realtà il problema principale non riguarda tanto il Ciclo di Doha come tale, quanto piuttosto il sistema internazionale che regola il commercio, profondamente cambiato, le istituzioni e i meccanismi negoziali, rivelatisi fallimentari.

Le dinamiche delle trattative dell’OMC rispondono ancora ai criteri di un sistema mercantile, secondo la logica: tu mi dai qualcosa, e in cambio ti do qualcosa anche io. Occuparsi di sviluppo significa però un’altra cosa. Significa trovare degli equilibri all’interno del sistema commerciale.

Sappiamo bene che sono stati i paesi industrializzati a creare questo sistema, ma oggi attorno allo stesso tavolo siedono anche i paesi in via di sviluppo. Questi paesi chiedono che le loro esigenze e i loro bisogni siano presi in considerazione. E quando si pretende un confronto allo stesso livello, non si può giocare sui “quid pro quo”.

Faccio un esempio: un paese come il Chad non ha nulla, ma proprio nulla da offrire agli Stati Uniti come moneta di scambio alle concessioni americane. Ecco perché questo sistema deve essere rivisto e adattato alla reale situazione dei paesi.

swissinfo: Come pensa di risolvere gli attuali squilibri?

N.I.: Lo scopo del forum è di verificare come sia possibile sfruttare il commercio in termini di risorsa per lo sviluppo. Ricerche della Banca Mondiale e del “Carnegie Endowment for International Peace” [un’organizzazione privata no-profit, che ha come missione la promozione della pace e la cooperazione fra le nazioni (ndr.)] hanno assodato un fatto: indipendentemente dall’esito del Ciclo di Doha, l’unico continente che uscirà a mani vuote, sarà l’Africa. È piuttosto disarmante constatare che i negoziati tesi a promuovere lo sviluppo, non diano nulla al paese che ne ha più bisogno.

Non è solo colpa di un sistema di scambi commerciali che funziona male, ma anche delle politiche commerciali che in Africa non sono sufficientemente adeguate per trarre beneficio dall’apertura dei mercati, così come dovrebbe essere garantita dal ciclo di Doha.

In questo forum cerchiamo di definire il ruolo delle linee politiche commerciali nel contesto dello sviluppo, in modo tale trasformare il commercio in uno strumento per combattere la povertà. È chiaro che per raggiungere questo obiettivo c’è bisogno della collaborazione dei paesi industrializzati direttamente interessati e del contributo dei privati e delle organizzazioni internazionali.

Stiamo insomma cercando di trovare nuove sinergie tra questi diversi attori nell’intento di sperimentare vie alternative che possano abilitare i paesi a trarre vantaggi dall’economia globale.

swissinfo: Ma concretamente, che cosa significa?

N.I.: Abbiamo creato undici gruppi di lavoro che negli scorsi anni hanno attentamente esaminato undici settori in cui il commercio può avere la funzione di arma contro la povertà. Sono contemplati la proprietà intellettuale, le questioni occupazionali, l’agenda politica e il ruolo dei servizi.

Per ognuno degli undici campi di riflessione, sono state formulate delle proposte concrete. Si tratta ora di definire per l’anno prossimo una pianificazione strategica, come una sorta di “road map”, per tradurre le idee in azioni.

swissinfo: Qual è la caratteristica del Forum di Ginevra rispetto al Forum di Davos e dell’OMC?

N.I.: La differenza fondamentale tra questo forum e l’OMC, è che quest’ultima è una piattaforma dove i paesi negoziano, difendono i propri interessi e si scambiano concessioni. Noi non vogliamo questo. Noi desideriamo capire come si possono risolvere i problemi e agire di conseguenza.

A Crans-Montana le dinamiche sono totalmente diverse: cerchiamo di vedere come ogni paese può contribuire a trovare soluzioni e risolvere i problemi. Quanto al Forum di Davos, è per tradizione un luogo di confronto sull’economia globale tra i grandi e i potenti del Pianeta. Il Forum di Ginevra si occupa dei problemi dei poveri, dei piccoli paesi, di chi non ha nulla. Con una prospettiva radicalmente diversa: offrire a chi non ha avuto nulla dai mercati globali, la possibilità di avere una voce e di contare.

Intervista swissinfo, Mohamed Cherif
(traduzione e adattamento dall’inglese Françoise Gehring)

I negoziati avviati nel 2001 nella capitale del Qatar Doha in seno all’Organizzazione per il commercio mondiale (OMC), intendono raggiungere un accordo sulla riduzione delle tariffe e degli impedimenti al commercio internazionale di prodotti agricoli, industriali e servizi.

151 stati membri dell’OMC negoziano da sei anni e mezzo una maggiore liberalizzazione degli scambi commerciali. Gli obiettivi dichiarati del Ciclo di Doha sono la migliore integrazione nel commercio mondiale dei paesi in via di sviluppo e il maggiore dinamismo degli scambi tra paesi del sud.

Nel settore agricolo, gli stati devono ancora accordarsi su punti chiave, come: riduzioni tariffarie, diminuzione dei sostegni interni, trattamento dei cosiddetti prodotti sensibili che beneficeranno di esenzioni rispetto alla regola generale di abbassamento dei diritti di dogana.

Le trattative, finora fallite, hanno subito una brusca frenata nel corso dell’ultimo incontro, il 29 luglio 2008. La proposta avanzata dai mediatori avrebbe previsto che i paesi più ricchi si impegnassero a ridurre i propri sussidi agricoli (rendendo così competitivi i prodotti agricoli stranieri) in cambio dell’impegno dei paesi in via di sviluppo ad aprire il proprio mercato interno; i paesi più poveri avevano ottenuto l’esenzione da quest’ultimo obbligo.

La causa prossima del fallimento delle mediazioni è stata l’incapacità di trovare un accordo tra Stati Uniti, India and Cina sulle regole necessarie a proteggere.

Nicolas Imboden (1946) è dottore in Giurisprudenza e titolare di un diploma su questioni legate allo sviluppo, conseguito a Ginevra presso l’allora “African Development Institute”. È cofondatore e membro del centro “Ideas”, dedicato alla promozione dello sviluppo e della cooperazione.

È stato delegato svizzero per i negoziati commerciali del Ciclo dell’Uruguay, sotto il cappello del GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) poi sostituito con l’OMC.

È membro del Consiglio di fondazione dell’ “Institut Universitaire d’Etudes de Développement” di Ginevra e dell’ “International Institute for Sustainable Development (IISD) in Canada.

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