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Più mobilità per l’integrazione

Gli extracomunitari residenti in Svizzera non possono lasciare il paese senza un visto conquistato in ore di coda davanti ai consolati Keystone

L'integrazione degli stranieri passa anche per la mobilità. Molti stranieri in Svizzera sono vittima dell'Europa di Schengen.

La mobilità degli stranieri in Svizzera che non provengono dai paesi dell’Europa unita è fortemente limitata. Alcuni esempi: una classe di una scuola svizzera con un allievo kosovaro non può fare un’escursione in Francia, senza un visto speciale; una famiglia turca non può andare a trovare i congiunti in Germania, senza pianificare mesi prima il tragitto e pazientare giorni interi davanti al consolato tedesco; una famiglia serba che vuole tornare in patria per le vacanze necessita di un visto di transito attraverso l’Austria o l’Italia.

Una situazione codificata dall’Unione europea, in difesa dall’emigrazione clandestina, che colpisce anche gli stranieri che vivono legalmente in Svizzera. E spesso, procurarsi il necessario lasciapassare è un’avventura: lo denuncia il Forum per l’integrazione di migranti (FIM).

Sono circa 500’000 le persone in Svizzera che non possono entrare semplicemente nel territorio dell’Unione europea. “Parliamo di persone che hanno un lavoro e un regolare permesso di soggiorno in Svizzera”, precisa Guglielmo Grossi del FIM. Dunque serbi, albanesi, turchi, ma anche nordafricani e asiatici, poco meno della metà degli immigrati in Svizzera.

Difficoltà consolari

La critica del FIM non è indirizzata alla Svizzera, ma ai paesi di transito. Per un cittadino turco o serbo, tornare in patria per le vacanze vuol dire imbarcarsi in un’odissea burocratica estenuante.

Il Consolato d’Italia di Berna, per esempio, riceve i richiedenti solo su appuntamento. Gli orari per annunciarsi sono limitati a tre ore settimanali. Chi non riesce a chiamare fra le nove e le dieci di mercoledì, giovedì o venerdì non ha accesso ai servizi.

Grossi denuncia questa situazione: “Gli orari attuali impongono ai dipendenti di abbandonare i loro compiti per ore, creando malumore fra i datori di lavoro. Preparare le vacanze diventa un incubo per le famiglie. Non c’è rispetto della dignità umana”.

Per Grossi è chiaro: “Noi vogliamo che un passaporto presentato con un permesso di soggiorno in Svizzera ponga fine a questa procedura offensiva e discriminatoria”.

Soluzioni diplomatiche

Anche la politica ha riconosciuto il problema, ma la soluzione non è prossima. Per José Bessard, dell’Ufficio dell’integrazione del Dipartimento degli Affari esteri, non è possibile rivedere gli accordi bilaterali in vigore.

Qualsiasi modifica imporrebbe una nuova ratifica da parte dei quindici paesi dell’Unione. “Una procedura impensabile, ma il tema farà parte del secondo round, quando si riparlerà di Schengen e degli accordi per il transito delle persone”.

Grossi capisce le difficoltà: “È comprensibile che la diplomazia elvetica si concentri su altri dossier, in vista di un secondo accordo con l’Europa unita, ma il nostro traguardo – l’integrazione degli stranieri in Europa – passa anche per la dignità e la libertà di movimento. La nostra azione di questi giorni intende sottolineare anche questo”.

Daniele Papacella

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