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Beirut, minacce visibili e latenti

Beirut è nota per la sua vibrante vita notturna. Jens Schwarz/laif

I musulmani hanno celebrato il Capodanno islamico mentre il mondo occidentale cristiano si appresta a festeggiare l'Anno nuovo. Il giornalista svizzero Werner Scheurer, residente a Beirut in Libano, volge uno sguardo sull'anno che si sta per concludere.

Il 2010 è stato tutto sommato un anno pacifico, un fatto per nulla scontato da queste parti. Nella vita di tutti i giorni a Beirut, nulla lascia presagire l’imminenza di una guerra. Al contrario: la città guarda al futuro con ottimismo.

Ovunque si aprono nuovi ristoranti e negozi e i locali più vecchi si vestono di un look più moderno. Tutta la città è in preda a una frenesia edilizia e i nuovi palazzi residenziali spuntati disordinatamente in ogni quartiere superano di diversi piani gli edifici circostanti.

Nel centro città, devastato dalla guerra civile del 1975-1990 e oggi ribattezzato “downtown”, il boom delle costruzioni è particolarmente evidente e ben strutturato. Qui sono stati inaugurati nuovi hotel di lusso e i negozi più eleganti hanno potuto aprire le loro porte giusto in tempo per lo shopping natalizio.

Il quartiere commerciale si chiama Asuaq Beirut – “il mercato di Beirut” – ed è stato costruito laddove all’epoca sorgeva un vibrante mercato orientale, che soltanto i vecchi residenti di Beirut ricordano. Tutt’attorno stanno nascendo i futuri simboli della città, inclusi i progetti di architetti di fama mondiale, appartamenti di lusso, negozi e uffici.

No, tutta questa attività – così come l’aumento del numero di turisti – non lascia affatto presagire lo scoppio di un conflitto. In tutto il mondo, il Libano si sta affermando quale destinazione sempre più in voga. Per le sue città storiche, ma anche per la bellezza dei paesaggi e per la famosa vita notturna di Beirut.

Controversia sul tribunale internazionale

Ciononostante, nessuno crede realmente in questa ottimistica operosità . Accanto ai cantieri rimangono le rovine della guerra e gli edifici fatiscenti, testimoni di un periodo di boom oramai lontano. Ci si è ad ogni modo abituati da tempo alla loro vista.

A preoccupare sono alcuni incidenti che rivelano la presenza di una violenza latente: una sparatoria tra le guardie del corpo di due direttori di banca avvenuta nel mese di marzo in un nightclub o gli scontri tra polizia e bande di trafficanti di droga nella valle della Beka’a.

Ancor più inquietanti sono state le esplosioni occasionali avvenute in arsenali nel sud del Libano e, a inizio agosto, lo scontro letale sulla frontiera innescato dai soldati israeliani, i quali si sono avvicinati eccessivamente alla linea di cessate il fuoco con l’intenzione di tagliare alcuni alberi. Un’altra fonte di preoccupazione è il retroscena politico-religioso che si cela dietro a due sanguinose schermaglie avvenute nei quartieri di Beirut.

Oggigiorno, a diffondere un sentimento di insicurezza – che per alcuni è la certezza che la violenza sta per scoppiare – è la controversia sul Tribunale internazionale, che negli ultimi tempi ha diviso il paese e ha paralizzato il lavoro del governo. Il tribunale speciale è stato istituito dal Consiglio di sicurezza dell’ONU per investigare sull’attentato del febbraio 2005 nel quale morirono l’allora Primo ministro Rafic Hariri e 21 altre persone.

Fare scorta

I primi quattro sospettati sono stati liberati dopo aver passato anni dietro le sbarre senza essere stati condannati. Da settimane, l’intera nazione attende un atto d’accusa, anche se per tutti è chiaro che sarà rivolto anche verso i membri di Hezbollah, il “Partito di Dio”.

Hezbollah respinge ogni accusa e ha lanciato una vasta campagna diffamatoria che mette in dubbio l’indipendenza del tribunale. Facendo ricorso a minacce, chiede ai suoi oppositori politici – con i quali siede nel governo di coalizione – di distanziarsi dal tribunale.

Nel maggio 2008, i miliziani di Hezbollah hanno già dato prova di poter paralizzare la città, e quindi l’intero paese, nell’arco di una notte. Hanno occupato interi quartieri, assediato le istituzioni governative, messo a tacere i media degli oppositori politici e bloccato l’aeroporto. È pertanto possibile che riescano a ripetere tali azioni in una notte.

Di fronte a questa prospettiva, gli espatriati svizzeri si ricordano del consiglio della loro patria durante la Guerra fredda: “Kluger Rat,Notvorrat!” (“Scorta domestica, un buon consiglio!”). Ogni famiglia era chiamata ad avere una scorta di generi alimentari in casa, per poter affrontare le scarsità dovute a crisi di ogni genere.

Ed effettivamente, a Beirut può capitare che il negozio all’angolo rimanga chiuso per alcuni giorni o che non disponga di tutto il necessario in magazzino. Quindi: fare scorte domestiche. Grazie ad Internet è facile trovare gli ottimi suggerimenti del governo svizzero su come costituire le proprie riserve, dai generi alimentari di base alle batterie per la radio alla carta igienica.

Buoni consigli dalla Svizzera

A confortare è il fatto che le informazioni non provengono dal Dipartimento della difesa, bensì dall’Ufficio federale per l’approvvigionamento economico, integrato nel Dipartimento dell’economia. Nella Svizzera del 2010, la necessità di fare scorte d’emergenza non è infatti dettata da guerre o conflitti, ma dalle pandemie e dalle catastrofi naturali.

E così, ci si rende improvvisamente conto che il Libano non è esposto soltanto a pericoli di natura politica. Il paese si trova in effetti all’estremità settentrionale della valle del Giordano, il prolungamento della frattura geologica della Great Rift Valley africana. Una caratteristica che spiega il passato sismico della regione: nel 1759, un terremoto particolarmente violento ha devastato Beirut causando migliaia di vittime. Nella valle della Beka’a sono crollate le gigantesche colonne del tempio romano di Baalbek. Ecco quindi un ulteriore motivo per fare delle scorte.

Dalla Svizzera non giungono però soltanto buoni consigli. La Confederazione partecipa pure a una campagna del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo per sensibilizzare i libanesi al rischio di terremoti e di altre catastrofi naturali. Sostiene poi la formazione di personale medico e di ingegneri edili.

Dopotutto, le provviste di emergenza durano solamente pochi giorni.

Il giornalista 55enne vive a Beirut dal 2009.

È corrispondente del settimanale Schweizer Wochenzeitung WOZ.

Negli anni ’90 ha vissuto per cinque anni al Cairo.

1989: gli accordi di Taëf concludono la guerra civile che infiamma il Libano dal 1975.

2000: l’esercito israeliano si ritira dal sud del Libano occupato dal 1978.

2004: la risoluzione 1559 del Consiglio di sicurezza dell’ONU esige il ritiro delle forze siriane dal Libano e la fine delle attività militari di Hezbollah.

2005: in un attentato viene assassinato l’ex premier Rafic Hariri. L’ONU ordina un’inchiesta.

2006: una guerra durata un mese oppone Israele e il Libano; il conflitto causa oltre 1’000 vittime civili.

Maggio 2007: nel campo palestinese di Nahr Al-Bared scoppiano scontri tra l’esercito libanese e il gruppo Fatah Al-Islam.

Maggio 2008: conflitto a Beirut tra i filogovernativi antisiriani e i miliziani di Hezbollah.

Giugno 2009: la coalizione filo-occidentale “14 marzo” vince le elezioni parlamentari.

Traduzione dal tedesco di Luigi Jorio

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