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Coordinare meglio la lotta al terrorismo

Guantanamo, una prigione per presunti terroristi Keystone

Gli organi delle Nazioni unite che si occupano di lotta al terrorismo sono molti. Ma per la Svizzera il modo in cui collaborano lascia a desiderare.

Per migliorare la situazione, Peter Maurer, l’ambasciatore svizzero alle Nazioni unite, ha presentato a New York una serie di proposte. All’iniziativa si sono uniti i rappresentanti della Costa Rica, del Giappone, della Slovacchia e della Turchia. L’obiettivo è rendere più efficiente la messa in atto della strategia globale contro il terrorismo decisa dall’Assemblea generale delle Nazioni unite nel 2006.

«La guerra al terrorismo da sola non basta. È necessario sviluppare delle strategie per andare oltre ed essere attivi anche in modo diverso», spiega a swissinfo Peter Maurer.

La discussione sul terrorismo deve essere aggiustata. La strategia decisa nel 2006 rappresenta un primo passo, ma ora – puntualizza Maurer – è necessario migliorare la sua messa in atto.

Dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, il Consiglio di sicurezza dell’ONU aveva adottato una risoluzione, la 1373, volta a lottare contro il terrorismo. Basata sul capitolo VII della Carta delle Nazioni unite, la risoluzione è vincolante per tutti gli Stati.

Punta ad impedire il finanziamento dei gruppi terroristici ed è pensata in particolar modo per Al Qaida e i talebani. La risoluzione, però, tralascia di definire il concetto di terrorismo.

Approccio globale

Oltre al Consiglio di sicurezza, si è occupata del tema anche l’Assemblea generale. La sua strategia contro il terrorismo è stata approvata nel settembre del 2006.

L’Assemblea generale ha privilegiato un approccio diversificato con l’intento di lottare contro varie forme di terrorismo.

Nel suo testo, sottolinea quanto sia importante prendere in considerazione anche le condizioni in cui il terrorismo nasce e si sviluppa, per esempio conflitti di lunga durata, discriminazioni di natura etnica o religiosa, violazioni dei diritti umani, marginalizzazione socio-economica, cattivo governo.

Per impedire che il clima di terrore si diffonda, è necessario impegnarsi su più fronti. Non vanno prese in considerazione solo misure militari. Inoltre, bisogna tenere conto dei fattori sociali.

Cooperazione insufficiente

Ad inizio settembre, l’Assemblea generale studierà in che modo questa strategia è stata messa in atto. In vista di questo dibattito, la Svizzera e i suoi quattro alleati hanno organizzato una serie di workshop. Gli incontri sono iniziati lo scorso novembre. I risultati, sottoforma di raccomandazioni, sono stati presentati qualche giorno fa a New York.

Secondo i cinque paesi, i diversi organismi dell’ONU che si occupano di lotta al terrorismo collaborano troppo poco. Per questo, auspicano che gli esperti dei vari settori s’incontrino più spesso, così da raggiungere insieme dei progressi.

«Credere che si possa eliminare il terrorismo solo attraverso l’aiuto allo sviluppo è da ingenui», afferma Maurer. «Così come è da ingenui pensare che il problema possa essere risolto solo con la guerra e con le bombe, o torturando dei prigionieri su un’isola».

Per raggiungere l’obiettivo è necessario puntare su un approccio equilibrato, che non trascuri nessuno degli aspetti in gioco. A questo puntano i cinque inizianti che, inoltre, vorrebbero raggiungere la regolamentazione di alcune questioni istituzionali nel quadro delle Nazioni unite.

Concezione ristretta

Una strategia globale è, secondo Maurer, «un indispensabile ampliamento del punto di vista ristretto adottato dal Consiglio di sicurezza nella lotta al terrorismo». Non è un caso se i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza hanno partecipato solo in modo marginale ai colloqui organizzati dalla Svizzera e dai suoi quattro alleati.

Punti importanti per una strategia equilibrata sono lo Stato di diritto, il rispetto dei diritti umani, il coinvolgimento effettivo della società civile e delle organizzazioni non governative.

L’ambasciatore svizzero afferma che l’interesse per i workshop è stato grande. Vi hanno partecipato una quarantina di Stati, anche arabi, e diversi attori provenienti da altri ambiti.

Il fatto poi che paesi così diversi, come la Svizzera, la Costa Rica, il Giappone, la Slovacchia e la Turchia abbiano fatto fronte comune, è un segno che attraverso il dialogo si possono trovare delle soluzioni, o almeno dei principi di soluzione.

Le proposte sviluppate dal quintetto dovrebbero ora confluire in una risoluzione che verrà sottoposta all’Assemblea generale in settembre, al momento del riesame della strategia anti terrorismo.

swissinfo, Rita Emch, New York
traduzione, Doris Lucini

La collaborazione internazionale nella lotta al terrorismo si è intensificata in modo marcato dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 alle torri gemelle di New York.

Il quadro giuridico è fornito da 13 accordi ONU e da diversi protocolli aggiuntivi. Finora, la Svizzera ne ha ratificati e messi in vigore 12.

L’accordo non ancora ratificato è quello del 13 aprile 2005 sulla lotta al terrorismo nucleare.

La camera bassa del parlamento elvetico ha dato la sua approvazione nel marzo del 2008. La camera alta deve ancora esprimersi in merito.

Così come tutti gli altri membri delle Nazioni unite, la Svizzera è tenuta a mettere in atto le risoluzioni del Consiglio di sicurezza concernenti la lotta al terrorismo.

Il capitolo VII della Carta delle Nazioni unite esplica le modalità d’intervento nei confronti dei paesi che minacciano la pace, la violano o compiono atti di aggressione.

Le misure previste vanno dalle sanzioni economiche fino all’intervento militare.

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