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Dalle urne è uscito un “no” carico di simboli

Il voto sulle armi ha aperto molti fossati tra la popolazione svizzera, rileva la stampa swissinfo.ch

Il "no" all'iniziativa sulle armi è una vittoria della Svizzera periferica e conservatrice, rileva la stampa elvetica, per la quale gli oppositori sono riusciti a trasportare il dibattito sulla questione dei valori e dell'identità nazionale. Temi che saranno al centro della campagna elettorale 2011.

“Dopo il voto sui minareti e sull’espulsione dei criminali stranieri, il no all’iniziativa sulle armi costituisce la terza vittoria della Svizzera periferica e conservatrice nel giro di poco tempo”, osserva il Tages Anzeiger, secondo il quale, a determinare l’esito della votazione “non è stata la questione della custodia a casa dell’arma di ordinanza, ma il timore di una limitazione da parte dello Stato del diritto di possedere delle armi”.

“Nelle regioni di campagna è stato fatto di tutto per mettere in guardia la popolazione contro la minaccia di una distruzione dei valori svizzeri: in ogni terreno è stato piantato un manifesto contro l’iniziativa. Per grandi frange della popolazione la votazione di questa fine settimana rappresentava innanzitutto una questione di identità nazionale, di difesa della libertà e di autodeterminazione”, aggiunge il giornale zurighese.

Identità nazionale

“Al centro di questa votazione non vi è stata l’arma, custodita o meno in un armadio, ma la stessa identità nazionale”, osserva anche la Basler Zeitung. “Nel corso di una campagna carica di simboli non si è più parlato dell’arma di ordinanza, ma del futuro dello stesso esercito di milizia, dell’autoresponsabilità dei cittadini e delle cittadine”.

“Tenendo conto della dinamica dei dibattiti, il risultato di questa fine settimana non può sorprendere. Il campo rosso-verde, che ha promosso l’iniziativa sulle armi, dovrebbe però riflettere sull’esito di questo scrutinio: nell’anno elettorale 2011 la questione dell’identità nazionale sarà probabilmente determinante”, scrive il quotidiano basilese.

Simboli patetici

“Può sembrare cinico, ma solo un bagno di sangue con un arma di ordinanza durante la campagna avrebbe permesso di vincere ai promotori dell’iniziativa”, sostiene il Bund, per il quale “la forza dei simboli patetici può essere a volte più forte della sobria ragione”.

“In un periodo di insicurezza generale, in cui dei modi di vedere tipicamente svizzeri vengono rimessi in discussione, molte persone preferiscono aggrapparsi ai vecchi valori e alle tradizioni”, osserva il foglio bernese. “Molti si sono così aggrappati al Sonderfall (caso particolare) svizzero delle armi, quale riflesso contro il paternalismo dello Stato, le pressioni esterne e i cambiamenti in generale”.

L’iniziativa è però “perlomeno riuscita ad avere alcuni effetti: ora l’esercito verifica con maggiore attenzione a chi viene affidata l’arma di ordinanza. Le munizioni, che sembravano tanto tabù quando l’arma stessa, non vengono più consegnate ai militi. Sono stati tolti alcuni ostacoli amministrativi per coloro che preferiscono depositare l’arma in un arsenale. L’iniziativa ha insomma costretto i politici a compiere almeno dei piccoli passi”, sottolinea il Bund.

Numerosi fossati

“Nonostante un risultato senza appello, l’iniziativa ha diviso molto la Svizzera e ha aperto numerosi fossati, innanzitutto tra la città e la campagna e poi tra la Svizzera francese e quella tedesca, tra uomini e donne, tra giovani e anziani”, rileva Le Temps.

“Da questa campagna si possono trarre diverse lezioni. In primo luogo che è stato largamente deformato il testo dell’iniziativa: una misura tecnica, che l’esercito avrebbe potuto regolare da solo, è diventata un dibattito nazionale sulle tradizioni, i criminali stranieri, il tiro sportivo, la caccia e l’esistenza stessa dell’esercito”, aggiunge il quotidiano romando.

“In questo esercizio si è imposta l’Unione democratica di centro, che ne ha approfittato per far passare ad ogni occasione il suo messaggio sulla sicurezza, dagli accenti xenofobi. Far credere alla gente che un fucile d’assalto nel vestibolo sia essenziale per la nostra difesa nazionale è cosa assurda, sia per far fronte a dei furti che a delle minacce strategiche. Questo messaggio ha però avuto l’impatto voluto e lascia ora intravedere il clima che sarà predominante nella campagna per le elezioni federali del 2011”, prevede Le Temps.

Salvare il mito

“L’iniziativa sulle armi ha diviso la Svizzera non solo tra le sue regioni linguistiche, ma anche, come spesso succede, tra città e campagna. Una volta ancora è la Svizzera moderna a perdere una battaglia”, osserva anche la Tribune de Genève. “La forza dell’identità di un paese non si misura in base alla lunghezza del suo cannone. Depositare l’arma in un arsenale avrebbe permesso soltanto di ridurre ogni anno di alcune decine i morti in Svizzera. L’esercito di milizia non sarebbe stato rimesso in discussione”.

“Strana votazione in realtà. La Svizzera conservatrice e l’Unione democratica di centro in prima fila hanno votato questa volta contro una misura che avrebbe apportato maggiore sicurezza, ossia proprio un valore che si trova al centro delle loro preoccupazioni. Tra salvare vite umane e salvaguardare un mito desueto attaccato all’esercito, hanno preferito il mito”, annota il quotidiano ginevrino.

Due Svizzere

“Sul voto ha sicuramente influito anche il peso della tradizione che fa di quello svizzero un ‘popolo armato’ in una Nazione nella quale il tiro è uno degli sport più praticati. La Svizzera, non fosse così, non sarebbe il Paese di Guglielmo Tell e la balestra non verrebbe utilizzata per contrassegnare i prodotti ‘made in Switzerland’. Conservare l’arma in casa continua a essere vissuto come sinonimo di libertà”, scrive La Regione.

“Tali miti ereditati dalla tradizione sembrano oggi vivere una nuova primavera in un contesto di crescente incertezza della posizione della Svizzera nel mondo. È un argomento al quale hanno attinto ampiamente soprattutto nelle ultime fasi della campagna gli oppositori, mescolandolo abilmente con il richiamo alle paure più diffuse all’interno di ampie fasce della popolazione”, prosegue il giornale ticinese.

“Lo si voglia o no, anche se in una misura meno netta rispetto ad altre votazioni, questo risultato conferma l’esistenza di due Svizzere: refrattaria alle novità la prima e più aperta al cambiamento la seconda”, conclude La Regione.

L’iniziativa “Per la protezione dalla violenza perpetrata con le armi” chiedeva, in sintesi:

che chi vuole acquistare, detenere o usare armi da fuoco e munizioni debba fornire la prova di averne la necessità e le capacità;

che sia proibito detenere a scopi privati armi per il tiro a raffica e fucili a pompa;

che sia obbligatorio custodire le armi d’ordinanza militari in locali sicuri dell’esercito;

che le armi d’ordinanza dell’esercito non siano cedute ai militari prosciolti;

che la Confederazione tenga un registro delle armi da fuoco.

L’iniziativa era sostenuta dal Partito socialista, il Partito ecologista, i Verdi liberali, il Partito cristiano sociale, il Partito evangelico e il Partito del lavoro.

Il testo era appoggiato inoltre dai sindacati, dal Gruppo per una Svizzera senza esercito, numerose organizzazioni pacifiste, cristiane, di prevenzione del suicidio e femminili, nonché la Federazione dei medici svizzeri, la Società svizzera di psichiatria e psicoterapia e i Giuristi democratici svizzeri.

Control’iniziativa si sono schierati l’Unione democratica di centro, il Partito liberale radicale, il Partito popolare democratico, il partito borghese democratico, la Lega dei Ticinesi, le organizzazioni di tiro sportivo, di cacciatori e di armaioli, la Società svizzera degli ufficiali.

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