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“Ho sempre creduto nella solidarietà”

Gianni Frizzo, il leader dello sciopero delle Officine FFS di Bellinzona swissinfo.ch

Gianni Frizzo è il volto e la voce ufficiale della direzione del comitato di sciopero delle Officine FFS di Bellinzona. Anche se non manca mai di sottolineare la forza del collettivo.

Il portavoce degli operai rappresenta la forza tranquilla. Una formula forse abusata, è vero, ma che gli calza a pennello. Ritratto di un uomo che la storia ha spinto in prima fila.

Giornata di riposo, sabato, alle Officine di Bellinzona, anche se c’è sempre molto fermento. È quasi l’ora di pranzo. E anche Gianni Frizzo si ritaglia un attimo di tempo.

Appena seduto, due giovani si avvicinano a lui, gli consegnano una busta. Si alza subito, li ascolta, li ringrazia, li abbraccia. È quasi sempre così. È difficile che Gianni Frizzo non sia in qualche modo sollecitato. Paziente, calmo, ascolta tutti, si prende anche solo un minuto, ma lo prende per tutti.

“Papà, sono orgoglioso di te”

Portavoce della direzione del comitato di sciopero, lui è la forza tranquilla, lui è la voce collettiva dei compagni e delle compagne di lotta, che hanno riposto in lui tutta la loro fiducia. “Per fortuna c’è Gianni – ci dice un operaio di 57 anni, visibilmente preoccupato – che ci tiene uniti, che ci dà la forza per tenere duro”.

Alto, capelli grigi, occhi blu scuro, voce bassa, Gianni Frizzo sa di essere il leader, ma non ama molto farsi chiamare così. Forte, determinato, regge bene lo stress, anche se quando parla di suo figlio l’emozione lo tradisce un po’, mostrando con una certa riservatezza tutta la sua umanità.

“L’altra sera, verso le undici, mi ha chiamato mio figlio. Mi ha detto – ci confida Gianni Frizzo – grazie papà. Grazie per tutto quello che stai facendo. Non ti puoi nemmeno immaginare che cosa sei riuscito ad innescare con la tua umiltà e dignità. Sono orgoglioso di te”.

Una solidarietà contagiosa

“L’aspetto che mi ha più colpito in questa vicenda – racconta a swissinfo – è infatti la solidarietà della gente. Vedere tutte queste persone unite, indipendentemente dall’appartenenza politica, è un’esperienza di cui non riesco ancora adesso a capacitarmi. Siamo riusciti ad unire tante persone e questo per noi è già un primo successo”.

“Con i colleghi – continua Frizzo – ci siamo detti che questa ondata di solidarietà esprime probabilmente anche una protesta contro le ristrutturazioni che in tutti questi anni sono state compiute sulle spalle di chi lavora”.

Confrontato con una situazione che non ha cercato, Gianni Frizzo si è trovato alla testa della sciopero, spinto dalla storia in prima fila: “Ho solo fatto quanto facevo prima: difendere i nostri diritti e quelli dei più deboli. Improvvisamente mi sono sentito dire di essere un mito e ricoprire il ruolo di leader. Se questo può fare del bene e servire la causa di chi lavora, allora ben venga”.

Il peso della responsabilità

Essere il portavoce significa assumersi delle responsabilità. “È vero – ci dice Gianni – e mi rendo conto che molta gente ha riposto in me fiducia, aspettative e speranze. Ho una grande responsabilità e devo dare risposte concrete, far capire che la ragione sta dalla nostra parte. Ma so di non essere solo, anche quando me ne sto per conto mio con i miei pensieri”.

Gianni si sentiva solo prima di iniziare questa esperienza. “Nei miei colleghi e nelle persone, ho sempre sentito questa energia latente e, dentro di me, speravo che prima o poi si manifestasse. E ora eccoci qui. A vivere momenti di solidarietà e a condividere gioia e dolore. Questa esperienza mi sta insegnando molto: non è vero che le persone sono solo egoiste e individualiste”.

Gianni Frizzo si definisce un uomo franco, schietto, diretto. “Non ho mai sopportato l’arroganza e chi esercita il potere per fare del male alle persone”. Per lui il rispetto dell’altro è una regola di vita. “Rispettare le persone e la loro dignità è un principio irrinunciabile. Combatto le idee, ma mai le persone”.

L’esperienza dello sciopero

Parola tabù nella cultura svizzera, che per anni ha costruito il suo benessere economico sulla pace sociale, lo sciopero ha assunto con le Officine una dimensione che va oltre la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici.

“Finora si è sempre visto lo sciopero – spiega Gianni Frizzo – come qualcosa che dovesse fare male a qualcuno. Era una parola impronunciabile. Oggi molte persone si sono accorte che lo sciopero non è nient’altro che un mezzo per difendere la propria dignità, i propri diritti, in modo civile, determinato ma pacato”.

Alle Officine l’astensione dal lavoro si è in effetti trasformata in un luogo di cultura, di dibattito, di confronti e di incontri scanditi da un programma di iniziative in grado di coinvolgere la popolazione. “Per me questo sciopero è una lezione di vita”.

A Berna per dire “Giù le mani dai nostri papà”

Con il motto “Giù le mani dai nostri papà”, mercoledì la carovana delle Officine si sposta a Berna mentre il Consiglio nazionale affronta, in un dibattito urgente, la questione delle FFS Cargo. Con quale aspettative Gianni Frizzo salirà sul treno? “Vogliamo portare a Berna il coro di solidarietà, vogliamo esportare in altri cantoni il calore di questa lotta, che Berna non sente. Vogliamo portare la nostra forza e la nostra unione”.

E che cosa chiedere al mondo politico? “Vorrei che i politici si rendessero conto che non esistono solo i bilanci, non esiste solo il fattore economico come concetto tecnico. Dietro il lavoro, dietro l’economia, ci sono donne e uomini di valore. E di valore non solo economico. I politici – aggiunge – non devono dimenticare che il mondo gira grazie a uomini e donne e alla loro perseveranza”.

“Vorrei infine che i politici si rendessero conto – conclude Gianni Frizzo – che quanto deciso dalla direzione delle FFS Cargo non è solo una catastrofe dal punto di vista sociale e umano. È un cattivo affare dal profilo economico”.

swissinfo, Françoise Gehring, Bellinzona

Lunedì mattina l’assemblea dei lavoratori e delle lavoratrici delle Officine, ha respinto la proposta delle FFS dando seguito alle raccomandazioni del comitato: “Nulla di nuovo nei contenuti, garanzie insufficienti”.

L’assemblea ha approvato all’unanimità un risoluzione che lascia aperto il dialogo, ma che chiede una serie di garanzie, tra cui: il ritiro dei provvedimenti, il mantenimento degli attuali livelli occupazionali, l’impegno a non intraprendere misure di ritorsione contro gli scioperanti.

Le ferrovie hanno ribadito lunedì la proposta di sospensione, fino al 9 maggio, delle misure di ristrutturazione in cambio della cessazione dello sciopero. Dal canto loro, i rappresentanti sindacali hanno però affermato di voler riprendere l’attività soltanto quando le FFS avranno annullato i tagli occupazionali previsti.

La pace del lavoro nasce in Svizzera nel 1937 per cercare una convergenza tra le rivendicazioni dei lavoratori e gli industriali. Occorre però fare un passo indietro per comprenderene le origini.

Il Comitato di Olten, comprendente delegati del partito socialista e dell’unione sindacale svizzera, chiama i lavoratori allo sciopero generale nel novembre del 1918. Queste agitazioni danno avvio ad una serie di rivendicazioni fondamentali.

Negli anni successivi, in una situazione economica difficile e in un clima di alta tensione sociale, i rappresentanti degli operai e del padronato preferiscono il negoziato alla prova di forza.

Nel 1937 si conclude una pace del lavoro nella metallurgia e nell’orologeria; con questa convenzione il sindacato rinuncia allo sciopero e il padronato alla serrata, evitando lo scontro per affidarsi alle trattative.

Nello stesso periodo si generalizza l’adozione di contratti collettivi di lavoro che definiscono le condizioni alle quali devono conformarsi le parti sociali. Questi rapporti pacifici, sono ora messi a dura prova a causa di un contesto economico mutato e nuovi rapporti di forza.

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