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L’Ue respinge i privilegi fiscali cantonali

Nonostante qualche difficoltà, Svizzera e Unione europea proseguono sulla via bilaterale Keystone

Il Segretario di Stato Michael Ambühl non ha potuto smorzare i toni della disputa con l'Unione europea, in merito alla questione dei paradisi fiscali elvetici.

La Commissione europea esercita una pressione crescente sulla Svizzera, perché si mobiliti per frenare la sottrazione di risorse fiscali agli Stati membri.

Rimangono distanti le posizioni di Svizzera e Unione europea (Ue) in merito ai privilegi fiscali accordati da diversi cantoni alle holding estere.

È quanto ha dichiarato il Segretario di stato Michael Ambühl, che giovedì ha incontrato il capo della Direzione generale delle relazioni estere della Commissione europea, Eneko Landaburu.

Paradisi fiscali

Liberi di seguire la loro politica fiscale, secondo le leggi svizzere, alcuni cantoni hanno adottato da anni aliquote preferenziali per imprese straniere che desiderano stabilirsi sul loro territorio. Tra i più attraenti, i cantoni di Svitto, Zugo e, recentemente, Obvaldo.

«La Commissione ha manifestato la propria preoccupazione», ha detto Ambühl, sebbene altre fonti, vicine alle trattative, siano state meno diplomatiche.

L’Ue, hanno riferito, non tollera simili pratiche da parte della Svizzera perchè sottraggono risorse fiscali agli Stati membri. Particolarmente toccati sarebbero Germania e Francia.

Problema politico o giuridico?

Alla Radio svizzera di lingua francese, Landaburo ha definito questa sorta di evasione fiscale «un problema politico».

Ambühl ha dal canto suo reiterato la posizione elvetica, in base alla quale i privilegi fiscali cantonali non violano, come sostenuto da Bruxelles, l’accordo di libero scambio sottoscritto nel 1972.

«Si tratta di una questione giuridica e non di un problema politico», ha osservato il Segretario di stato, precisando che Berna farà pervenire all’Ue una spiegazione dettagliata a metà di febbraio.

Accordo quadro

Quanto alla possibile conclusione di un «accordo quadro», che raccoglierebbe l’insieme delle intese bilaterali negoziate da Svizzera e Ue, Michael Ambühl non ha fornito dettagli: le parti sono concordi nell’affermare che un simile accordo ha senso «solo se porta valore aggiunto».

Il Segretario di stato ha peraltro definito «premature» le riflessioni secondo le quali la Svizzera, attraverso l’accordo quadro, mirerebbe a sciogliere la cosiddetta «clausola ghigliottina».

Tale clausola, inserita nel primo pacchetto di accordi bilaterali (in vigore dal giugno 2002), prevede l’abrogazione automatica dell’insieme dell’intesa nel caso venisse denunciato anche un solo capitolo negoziato.

Fondo di coesione

Intanto, il processo di ratifica degli Accordi bilaterali II (approvati a livello politico nel maggio 2004, sulla scia dei Bilaterali I) e dell’estensione della libera circolazione delle persone ai 10 nuovi Stati dell’Ue, rimane in fase di stallo.

Il ritardo è da mettere in relazione con i disaccordi interni dell’Ue sulla ripartizione del fondo (1 miliardo di franchi su 5 anni) che la Svizzera mette a disposizione per sostenere lo sviluppo dei nuovi membri.

swissinfo e agenzie

L’Accordo di libero scambio tra la Svizzera e la Comunità europea è uno dei pilastri delle relazioni economiche tra Berna e Bruxelles.
Adottato il 3 dicembre 1972, è un sottoprodotto politico del passaggio della Gran Bretagna e della Danimarca dall’Associazione europea di libero scambio ad un’unione doganale più ampia, l’allora Comunità economica europea.
Il campo di applicazione dell’accordo si estende soltanto ai prodotti industriali.

La disputa tra Svizzera e Unione europea concerne le politiche fiscali in vigore in alcuni cantoni elvetici: secondo Bruxelles, violano l’accordo di libero scambio concluso dalle due parti nel 1972.

La questione era stata sollevata dalla Commissione europea, che nel settembre 2005 aveva spedito una lettera alla Svizzera chiedendo chiarimenti in merito ai vantaggi fiscali proposti dai cantoni di Zugo e Svitto.

Berna ha risposto che la concorrenza fiscale che vige tra i 26 cantoni è benefica ed attrae gli investitori stranieri.

L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico stima questa differenza tra i regimi fiscali dei cantoni “non nociva”.

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