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Un corso di tedesco per un permesso di soggiorno

Insegnamento integrato di turco e tedesco alla scuola Dreirosen di Basilea Keystone

I due cantoni di Basilea hanno presentato un nuovo progetto di legge sull'integrazione, che obbliga gli stranieri a seguire, a proprie spese, un corso di tedesco, seguito da un esame.

Questa prima svizzera, che potrebbe fungere da modello, è stata accolta in modo piuttosto favorevole. Ma con divergenze sulla forma.

La legge, che sarà comune ai due cantoni, si basa sul principio di «incoraggiare ed esigere, dare e ricevere», ha dichiarato mercoledì Jörg Schild, direttore del dipartimento di polizia di Basilea Città, presentando il progetto alla stampa. E se il progetto venisse approvato, per la prima volta tale principio sarebbe sancito da una legge, ha precisato, aggiungendo che però, nella pratica, i due semicantoni lo applicano già.

Oggigiorno, ha d’altro canto spiegato Sabine Pegoraro, consigliera di stato di Basilea Campagna, l’immigrazione è cambiata: non vengono più in Svizzera soltanto i lavoratori, ma anche le loro famiglie. E quindi bisogna adattare anche la politica d’integrazione.

«I corsi saranno utili soprattutto per le donne», sostiene la consigliera di stato, «perché devono seguire i figli che vanno a scuola e devono anche poter comunicare con gli insegnanti».

Per quanto concerne i costi, relativamente bassi, saranno sostenuti dagli stessi immigrati. «Ma in casi estremi», afferma Sabine Pegoraro, «siamo pronti a intervenire, come facciamo già oggi».

Evitare l’emarginazione

La nuova legge basilese, che sarà compatibile con la futura legge a livello federale, prevede di utilizzare il potenziale individuale degli immigrati, cercando di integrarli il più presto possibile. «Con l’obbiettivo di evitare l’emarginazione e di creare una società parallela», ha spiegato Christoph Eymann, consigliere di stato di Basilea Città. Perché, ha detto, la padronanza del tedesco è un fattore essenziale per un’integrazione riuscita.

Un parere condiviso anche dall’etnologo Beat Meiner, segretario generale dell’Organizzazione svizzera d’aiuto ai rifugiati (OSAR), per il quale «è più che auspicabile imparare la lingua del posto in cui si vive, dato che la lingua è il principale mezzo di comunicazione. E se non si conosce la lingua, si è praticamente esclusi da tutto».

«Senza contare», continua Meiner, «che le carenze linguistiche si ripercuotono poi sulle generazioni seguenti: i figli di immigrati che non si sono integrati, saranno svantaggiati a scuola, perché non potranno contare né sulla partecipazione né sull’aiuto dei genitori».

L’etnologo, osservatore presso la Commissione federale degli stranieri, ammette anche l’utilità di introdurre un obbligo, per esercitare una certa pressione sugli stranieri affinché si sforzino di imparare la lunga del posto.

«Ma bisogna stare attenti a coloro che non sono (ancora) in grado di adattarsi. Per cui bisogna adottare modelli individuali, che tengano conto del grado di formazione e della situazione personale di ciascuno.»

Secondo Meiner, per favorire l’integrazione ci vuole un misto di motivazione, appoggio e pressione. «Proprio come facciamo con i nostri figli, obbligati ad alzarsi presto anche d’inverno per recarsi a scuola…»

Perché, senza pressione esterna, conclude l’etnologo, solo una minoranza potrà riuscire.

Reazioni differenziate

Il progetto di legge, ora sottoposto alla procedura di consultazione in entrambi i cantoni prima di giungere in parlamento entro la fine dell’anno, riguarda soprattutto gli immigrati delle classi sociali meno favorite. Che se non supereranno i corsi, dovranno lasciare il cantone. Mentre i cittadini dell’Ue ne saranno esclusi, in virtù dell’accordo bilaterale sulla libera circolazione delle persone.

E pure esclusi saranno gli stranieri che già dispongono di un permesso di soggiorno. Ma la nuova legge chiamerà in causa i datori di lavoro, che dovranno accordare agli immigrati il tempo necessario per seguire i corsi.

Intanto, le prime reazioni a livello politico mostrano un quadro molto differenziato. A sinistra, si mette in guardia contro il rischio di discriminazioni, visto che l’obbligo di seguire i corsi toccherà soprattutto i meno fortunati.

Nel campo dell’UDC, invece, si denota un’opposizione al fatto che lo stato debba pagare i corsi, mentre gli ambienti del centro-destra sembrano abbastanza favorevoli alle misure previste.

Ma c’è anche chi si chiede, come Thomas Facchinetti, delegato agli stranieri del canton Neuchâtel, «se si arriverà anche a chiedere a qualche nuovo manager straniero delle ditte chimiche basilesi di imparare il tedesco».

E per quanto concerne l’obbligo, Facchinetti è del parere che sia meglio incoraggiare piuttosto che minacciare. «A Neuchâtel», spiega, «proponiamo misure d’accoglienza che comprendono corsi di lingua, di conoscenze civiche e di storia. E pensiamo che sia meglio continuare su questa via».

«Non contesto l’utilità dell’obbligo in casi particolari, laddove qualcuno si rifiuti di partecipare», aggiunge, «ma il quadro legale svizzero permette già di applicarlo. Ed è sufficiente».

Ruolo di pioniere

Decisamente positiva è invece la reazione dell’Ufficio federale dell’immigrazione, dell’integrazione e dell’emigrazione (IMES), che riconosce un ruolo di pioniere ai due cantoni basilesi.

Secondo Mario Tuor, portavoce dell’IMES, finora nessun cantone ha regolato l’integrazione in modo altrettanto dettagliato come i due Basilea. Anzi, la maggior parte dei cantoni, invece di assumere l’iniziativa sembra aspettare la nuova legge federale.

Mentre le esperienze che i due cantoni basilesi avranno fatto nel frattempo, sottolinea Tuor, potranno venire ad arricchire i futuri dibattiti su tale legge.

swissinfo

La procedura di consultazione del progetto di legge sull’integrazione, presentato da Basilea Città e Basilea Campagna, durerà tre mesi.
In dieci paragrafi, il progetto vuole evitare la nascita di «società parallele».
La legge non riguarda i cittadini Ue, bensì migranti provenienti da paesi extracomunitari.
Secondo il progetto di legge, per ottenere il permesso di soggiorno gli immigrati dovranno, a proprie spese, frequentare un corso di tedesco, pena l’espulsione dal cantone.

Il progetto di legge dei due cantoni di Basilea concerne anche gli svizzeri cresciuti all’estero e che non parlano il tedesco.

Tuttavia, contrariamente agli stranieri, costoro potranno seguire i corsi senza esservi obbligati, specifica Gabrielle Keller, vicedirettrice dell’Associazione degli Svizzeri all’estero (ASE).

«E l’ASE apprezza l’offerta», aggiunge, «perché riconosce che spesso gli svizzeri all’estero, pur mantenendo un forte legame con la Patria, dopo alcune generazioni non ne padroneggiano più la lingua».

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