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Attesi in tribunale gli ostaggi svizzeri in Libia

Il sole splende su Tripoli, ma a breve potrebbero esserci altre nubi all'orizzonte. Egmont Strigl

I due cittadini svizzeri trattenuti a Tripoli da oltre 18 mesi dovranno comparire davanti al giudice ai primi di gennaio. Solo allora si saprà se la Libia si limita ad applicare le leggi in vigore nel paese oppure se porta avanti una strategia delle ritorsioni.

La seconda udienza contro Max Göldi e Rachid Hamdani è stata rinviata ai primi di gennaio. Trattenuti a Tripoli da oltre un anno e mezzo, i due ostaggi svizzeri devono rispondere dell’accusa di «esercizio di attività economiche illegali». In questo clima di incertezza, un’unica cosa sembra ormai certa: nell’affrontare questo spinoso caso, le autorità libiche hanno apertamente ignorato le proprie leggi.

«Le regole alla base di un processo equo sono internazionalmente riconosciute», spiega Daniel Graf, portavoce di Amnesty International Svizzera. «La Libia ha ribadito a più riprese che questo caso non ha nulla a che vedere con la politica. Finora tuttavia, diversi segnali portano più verso un processo politico che verso un processo corretto e imparziale. Nei prossimi giorni si potrà capire meglio quale direzione questa causa prenderà».

Nessun atto di accusa

Max Göldi, direttore della filiale libica del gruppo ABB, e Rachid Hamdani, un responsabile di una PMI del canton Vaud, sono stati arrestati nel luglio del 2008 a Tripoli dopo il fermo avvenuto a Ginevra del figlio del leader libico Muammar Gheddafi, Hannibal, e della moglie. I due coniugi erano accusati di maltrattamenti contro domestici.

A novembre i due uomini d’affari sono stati condannati in contumacia a 16 mesi di prigione, da scontare, e al pagamento di una multa di 2’000 dinari (circa 1’600 franchi svizzeri) per violazione delle procedure relative ai visti.

Amnesty International e Human Rights Watch hanno definito il processo iniquo perché i due ostaggi non hanno avuto la possibilità di difendersi. Sulla carta, la legge libica garantisce ai due uomini d’affari il diritto di conoscere i capi di accusa, di parlare liberamente con i loro legali e di essere giudicati da un tribunale indipendente. Tali condizioni, sottolineano però le organizzazioni umanitarie, non sono state soddisfatte.

Più tempo per la difesa

I due ostaggi svizzeri hanno presentato ricorso contro la sentenza della corte libica. Previsto il 22 dicembre, il processo d’appello è stato rinviato a gennaio perché Göldi e Hamdani non si sono presentati in tribunale.

Secondo Diana Eltahawy, specialista in materia di diritti umani per Amnesty International nell’Africa del Nord, il rinvio del processo d’appello è una «buona notizia» per i cittadini svizzeri. In questo modo, i loro legali disporranno di un tempo supplementare per preparare la difesa e i due paesi potranno cercare un accordo.

Nel frattempo, la Libia ha accusato la Svizzera di essere responsabile dell’acuirsi delle tensioni tra i due paesi. Sul sito internet del Ministero degli esteri è stato pubblicato un elenco di 27 punti controversi sorti in seguito all’arresto di Hannibal Gheddafi e della moglie.

Il figlio del leader libico ha citato in giudizio il cantone di Ginevra, il quotidiano La Tribune de Genève e uno dei suoi giornalisti per la pubblicazione di due foto scattate dalla polizia la sera dell’arresto. Hannibal Gheddafi ritiene infatti che la sua privacy sia stata violata e chiede quindi un lauto indennizzo.

Pericolo di rapimento

Che cosa significa tutto ciò per la sorte dei due svizzeri? Per Diana Eltahawy non è facile confrontare i sistemi giuridici di due paesi così diversi. Come ogni altro Stato, anche la Libia ha il suo sistema giuridico, con i suoi vantaggi e svantaggi. Questo paese nordafricano, che ha sottoscritto diversi accordi internazionali in materia di diritti civili e politici, si considera una democrazia diretta al pari della Svizzera.

La Libia è uno dei pochi Stati della regione che non ha rafforzato le proprie leggi antiterrorismo in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001. Ha però varato delle leggi molto severe – che vanno fino alla pena di morte – per coloro che si esprimono contro il governo.

«Il caso dei due cittadini svizzeri trattenuti in Libia è atipico, perché di fatto non può essere dissociato dalla crisi politica in atto tra i due paesi», precisa Diana Eltahawy.

La legge libica prevede che Göldi e Hamdani non siano obbligati a recarsi in tribunale per rispondere dell’accusa di attività economiche illegali. Devono però comparire davanti ai giudici nel processo d’appello per violazione delle procedure relative ai visti, secondo Eltahawy. Altrimenti la pena inflitta loro sarà definitiva.

«Il pericolo, naturalmente, è che siano rapiti appena messo piede fuori dall’ambasciata», conclude Daniel Graf, portavoce di Amnesty International Svizzera. «È una decisione molto difficile da prendere. Anche se il primo processo fosse stato equo, la sentenza non lo è di certo».

Tim Neville, swissinfo.ch
(Traduzione e adattamento dall’inglese, Stefania Summermatter)

15-17 luglio 2008: Hannibal Gheddafi e la moglie Aline, incinta di nove mesi, sono fermati dalla polizia in un albergo a Ginevra. Vengono incriminati per lesioni semplici, minacce e coazione. Sono rimessi in libertà dietro pagamento di una cauzione di 500’000 franchi.

19 luglio: due cittadini svizzeri in Libia sono arrestati con l’accusa di aver violato le disposizioni sull’immigrazione e sul soggiorno. Altre misure di ritorsione colpiscono diverse aziende elvetiche, che devono chiudere le loro attività in Libia.

26 luglio: la Libia esige dalla Svizzera scuse ufficiali e l’archiviazione del procedimento penale. La Confederazione respinge le richieste.

20 agosto: Hans-Rudolf Merz si reca a Tripoli e si scusa per l’arresto “ingiustificato e inutile” di Hannibal Gheddafi e della sua famiglia da parte della polizia ginevrina. In cambio riceve la promessa che i due cittadini elvetici trattenuti in Libia potranno ritornare in patria in tempi brevi. Merz e il primo ministro libico firmano un accordo che sancisce l’istituzione di un tribunale arbitrale e mira a normalizzare le relazioni bilaterali.

18 settembre: gli ostaggi vengono prelevati dalle autorità libiche e portati in un luogo segreto.

Metà ottobre: Una delegazione svizzera si reca a Tripoli per incontrare le autorità libiche e ristabilire i contatti con i due cittadini trattenuti da oltre un anno, senza però successo.

4 novembre: Il governo sospende l’accordo firmato a Tripoli tra Svizzera e Libia il 20 agosto. Mantiene inoltre una politica restrittiva in materia di visti.

Fine novembre: i due uomini d’affari sono condannati a 16 mesi di prigione, da scontare, e al pagamento di una multa di 2’000 dinari (circa 1’600 franchi svizzeri) per violazione delle procedure relative ai visti.

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