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Consiglio dei diritti umani: la Svizzera vuole tornare

La sala del Consiglio dei diritti umani a Ginevra, decorata dall'artista spagnolo Miquel Barceló. Keystone

L'assemblea generale dell'ONU riattribuirà giovedì 14 dei 47 seggi in seno al Consiglio dei diritti umani. Dopo un anno di pausa – e alcune polemiche – la Confederazione ha deciso di ricandidarsi.

L’impegno a favore dei diritti umani costituisce un pilastro fondamentale della politica estera svizzera. In quest’ottica, la Confederazione ha ribadito di voler continuare a fornire il proprio sostegno al Consiglio dei diritti umani, il quale sarà sottoposto a una valutazione, dapprima a Ginevra e in seguito a New York.

In questa importante fase il Dipartimento federale degli affari esteri intende contribuire al consolidamento dell’efficacia e della credibilità di strumenti quali la valutazione dei paesi e la redazione dei rapporti speciali. Proprio per questo motivo, la Svizzera ha deciso di ricandidarsi per il Consiglio.

Previsti meno voti

In marzo, il Consiglio dei diritti umani ha approvato una risoluzione contro la diffamazione delle religioni: il testo ha tra l’altro criticato il divieto di edificare minareti. Pur non essendo stata esplicitamente menzionata, la Svizzera era chiaramente il destinatario del rimprovero.

Già in precedenza, dopo la votazione che ha sancito il divieto di edificare nuovi minareti, la Confederazione è stata oggetto di aspre critiche, provenienti per esempio dal Consiglio d’Europa, da diversi governi europei e dagli Stati Uniti.

Ciononostante, il ritorno della Svizzera nel Consiglio dei diritti umani non dovrebbe essere in pericolo, anche se verosimilmente il numero di voti raccolti sarà inferiore a quello in occasione della prima candidatura, nel 2006.

La Spagna è in lizza per il secondo seggio libero nel gruppo dei paesi occidentali, mentre per quanto concerne l’Africa, sono candidate l’Angola, la Libia, l’Uganda e la Mauritania. In Asia, i postulanti sono Malaysia, Maldive, Qatar e Thailandia; in Europa orientale Polonia e Moldavia; in America latina, Ecuador e Guatemala.

Proteste contro la Libia

Diverse organizzazioni non governative hanno protestato contro le candidature della Libia, dell’Angola, del Qatar, della Mauritania e della Malaysia, chiedendo agli Stati membri di non appoggiare questi paesi.

L’eventualità che la Libia – considerato un paese che viola sistematica i diritti umani – possa essere ammessa in seno al Consiglio dei diritti umani costituirebbe – secondo UN Watch e Freedom House – «un messaggio preoccupante».

Fino ad alcune settimane or sono, anche l’Iran aveva manifestato interesse in vista di una possibile candidatura, ciò che aveva suscitato critiche ancora maggiori. In seguito alle veementi proteste, segnatamente quelle statunitensi (e al verosimile rischio di boicottaggio dell’organo in caso di effettiva elezione), Teheran ha desistito.

Tra gli altri aspetti problematici sollevati delle Ong, la presenza di sole quattordici candidature per altrettanti seggi. In tal modo, è stato fatto notare, l’Assemblea generale non dispone di una vera e propria scelta.

Aspettative disattese

Creato nel 2006, il Consiglio dei diritti umani è stato istituito – con il contributo della Svizzera – per sostituire l’ormai discreditata Commissione dei diritti umani. Ciononostante, anche il nuovo organo non ha mancato di suscitare parecchie perplessità.

In particolare, gli osservatori hanno sottolineato che il Consiglio è spesso risultato limitato dalla polarizzazione nord-sud, che ne ha condizionato l’attività. Molte risoluzioni sono infatti state motivate da considerazioni di tipo politico, e non da riflessioni legate ai diritti umani.

Gli Stati occidentali hanno fatto presente che il Consiglio – nel quale i paesi musulmani sono preponderanti – ha profuso molte energie per condannare Israele, senza però occuparsi con la medesima severità degli eccessi nel campo palestinese. Inoltre, l’organo non ha preso posizione in modo severo su altre violazioni dei diritti umani, per esempio in Darfur o nello Sri Lanka.

Il contributo elvetico

Il Dipartimento federale degli affari esteri considera comunque il Consiglio «il principale organo delle Nazioni Unite per la promozione e la tutela dei diritti umani a livello multilaterale», come dichiarato dal portavoce Johann Aeschlimann. La Svizzera resta infatti convinta di poter fornire il proprio contributo a uno strumento «che rispecchia le tensioni e le divisioni del mondo attuale, caratterizzato da antagonismi tra gruppi di paesi».

Proprio in considerazione di questa situazione, la Svizzera è pronta a impegnarsi «per favorire il dialogo e superare le logiche di divisione, restando fedeli ai propri principi. In qualità di membro del Consiglio, la Confederazione potrà fare sentire meglio la propria voce, anche in considerazione del fatto che una parte dei lavori di svolgerà a Ginevra», conclude Aeschlimann.

Rita Emch, New York, swissinfo.ch,
(traduzione e adattamento: Andrea Clementi)

Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha avviato i propri lavori nel giugno 2006 a Ginevra. Esso conta 47 membri (eletti dall’Assemblea per una mandato di tre anni) e sostituisce la Commissione dei diritti dell’uomo, a cui era stata rimproverata un’eccessiva selettività e polarizzazione.

Originariamente l’idea di un Consiglio dei diritti dell’uomo era stata lanciata proprio dalla Svizzera, che ha svolto un ruolo attivo nella sua istituzione.

Ogni anno il Consiglio tiene almeno 3 sessioni per una durata complessiva di almeno 10 settimane. Su richiesta di un terzo dei suoi membri è inoltre possibile convocare sessioni straordinarie.

Il Consiglio dispone di un meccanismo in grado di esaminare la situazione dei diritti umani in tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite nonché il rispetto degli impegni in materia di diritti umani.

la Svizzera ha presentato nuovamente la sua candidatura a un seggio per il periodo 2010-2013.

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