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‘No’ alla chiusura dell’ambasciata in Guatemala

Il ministro degli esteri Didier Burkhalter non è riuscito a convincere i consiglieri nazionali (a sinistra la presidente della camera bassa Maya Graf) della necessità di chiudere l'ambasciata svizzera in Guatemala Keystone

Il Consiglio nazionale ha deciso martedì che la Svizzera non dovrà chiudere la sua ambasciata in Guatemala e il consolato generale di Chicago. La camera bassa del parlamento si è così opposta ai piani del governo per ottimizzare la rete delle rappresentanze diplomatiche.

La mozione contro la chiusura dell’ambasciata in Guatemala è stata accettata con 142 voti contro 17, mentre quella per conservare il consolato generale di Chicago nella sua forma attuale con 153 voti contro 22. Il dossier deve ora passare al vaglio del Consiglio degli Stati.

Il ministro degli esteri Didier Burkhalter ha ricordato invano che era stato proprio il parlamento ad auspicare misure di risparmio nella rete delle rappresentanze diplomatiche. Intervenendo in aula, Burkhalter ha sottolineato che misure di ristrutturazione sono assolutamente necessarie per liberare risorse al fine di rispondere ai nuovi bisogni.

Non chiudere l’ambasciata di Guatemala City e rifiutare di trasformare il consolato generale di Chicago in consolato onorario, rischia di rimettere in discussione il consolidamento della rete nei paesi asiatici a forte crescita e negli stati del Golfo e potrebbe persino portare a una riduzione delle prestazioni nei paesi dell’Unione Europea.

Il progetto di chiudere l’ambasciata svizzera in Guatemala e di trasformare il consolato generale di Chicago in consolato onorario, si iscrive nella strategia di ottimizzazione della rete diplomatica del Dipartimento federale degli affari esteri.

La ristrutturazione è iniziata nel 2011 ed ha interessato 26 consolati in Europa, nei Caraibi e in Africa australe, le cui attività sono state raggruppate in otto centri regionali che si occupano di più paesi.

Stoccolma, per Svezia, Danimarca, Finlandia e Norvegia

Vienna, per Austria, Slovacchia, Repubblica ceca, Ungheria, Slovenia e Croazia

Pristina, per Kosovo e Albania

L’Aia, per Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi

Bucarest, per Romania e Bulgaria

Riga, per Lettonia, Lituania ed Estonia

Hispaniola, per Repubblica dominicana e Haiti

Pretoria, per Africa del Sud, Malawi, Zambia e Zimbabwe

Un segnale chiaro

Di tutt’altro avviso il consigliere nazionale socialista ginevrino Carlo Sommaruga. Non essendo membro dell’UE, ha dichiarato, la Svizzera è costretta ad appoggiarsi sulle proprie ambasciate per sottolineare la sua presenza e difendere i suoi interessi all’estero.

Per Sommaruga, «molto soddisfatto» del risultato, si tratta di un «segnale molto chiaro: in paesi come il Guatemala o altri stati con strutture fragili, dove le organizzazioni non governative svolgono da anni un buon lavoro, non è sensato smantellare le rappresentanze diplomatiche», ha dichiarato a swissinfo.ch.

Un’opinione condivisa dalla maggioranza dei consiglieri nazionali, secondo i quali i negoziati in corso per un accordo di libero scambio con l’America centrale, la presenza di numerose organizzazioni di aiuto allo sviluppo sul posto e il deterioramento dei diritti dell’uomo in Guatemala fanno propendere per il mantenimento dell’ambasciata.

Roland Büchel, autore delle due mozioni, ha sottolineato che il Consiglio nazionale ha capito bene qual era la posta in gioco: «Si sarebbe trattato della prima chiusura di un’ambasciata da quando quella di Berlino Est cessò le attività nel 1990».

Intesa ‘bipartisan’

Per il consigliere nazionale dell’Unione democratica di centro, autore delle due mozioni, si sarebbe trattato di un «pessimo messaggio, che giunge proprio nel momento in cui il Guatemala vuole riaprire la sua ambasciata in Svizzera». Per quanto concerne il consolato di Chicago, Büchel – che è anche membro del Consiglio degli svizzeri dell’estero – ha fatto notare a swissinfo.ch che con la sua decisione il Consiglio nazionale mostra «che i servizi per i cittadini e le ditte svizzere presenti nel Midwest non devono essere ulteriormente ridimensionati».

Soddisfazione è naturalmente stata espressa anche da Rudolf Wyder, direttore dell’Organizzazione degli svizzeri all’estero: «È un segnale forte che l’erosione della rete diplomatica e consolare non può continuare».

Per Wyder, «è particolarmente incoraggiante il fatto che sia a destra che a sinistra si sia capito che la presenza della Svizzera scema quando delle rappresentanze vengono chiuse».

Questa identità di vedute fa ben sperare Rudolf Büchel in vista del voto alla Camera alta: «Penso che il Consiglio degli Stati saprà prendere una decisione ragionevole».

(Con la collaborazione di Urs Geiser)

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