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Rapporto ingombrante sulle prigioni segrete

Anche in Polonia sono state individuate strutture di reclusione segrete Keystone

Uno studio condotto da esperti indipendenti dell’ONU mette in luce i collegamenti tra 66 paesi coinvolti in una vasta rete di detenzioni segrete. Imbarazzo generale al Consiglio dei diritti umani a Ginevra. La presentazione del rapporto slitta a giugno.

Disagio palpabile al Palazzo delle Nazioni a Ginevra. In causa il rapporto choc che documenta il coinvolgimento di 66 paesi in una rete mondiale di detenzioni segrete, legate alla lotta contro il terrorismo.

Pubblicato dall’ONU il 27 gennaio scorso, il documento di 220 pagine sta creando un notevole imbarazzo in seno ai governi. Inizialmente prevista all’inizio di marzo, la presentazione del rapporto slitta alla sessione di giugno.

Frutto delle inchieste incrociate tra Martin Scheinin, esperto indipendente nella lotta contro il terrorismo, Manfred Nowak, esperto in materia di tortura, e altri gruppi di lavoro sulle scomparse forzate e sulla detenzione arbitraria, lo studio non svela nulla che non sia già noto pubblicamente, compreso il nome dei 66 paesi che hanno incarcerato segretamente le persone sospettate di terrorismo a partire dal 2001.

Mette invece in rilievo l’ampiezza dei collegamenti e i rapporti di complicità tra gli Stati di tutti i continenti. “Queste informazioni erano note, ma in modo sconnesso, conferma Antoine Madelin, rappresentante della Federazione internazionale dei diritti umani (FIDH) presso l’Unione europea (UE). “E’ la prima volta – aggiunge – che un documento fornisce un quadro universale su questa questione, con in più il sigillo ufficiale dell’ONU”.

Nel suo rapporto sui voli segreti della CIA, presentato al Consiglio d’Europa nel mese di giugno del 2007, il parlamentare ticinese Dick Marty aveva già svelato la connivenza di 14 paesi europei. “Ma questa volta – spiega al telefono – l’aver evidenziato l’esistenza di una rete mondiale, mostra come i servizi segreti possono elaborare delle pratiche al di fuori di qualsiasi controllo democratico, in parallelo, o persino all’insaputa, dei loro governi”.

Mancanza di trasparenza

Tanto per Dick Marty, quanto per Antoine Madelin, il rapporto punta l’indice sulla necessità imperativa di ottenere maggiore trasparenza dai servizi segreti nella lotta contro il terrorismo. Un problema al quale la comunità internazionale ha rifiutato di rispondere fino ad oggi, affermano i due specialisti.

“Il rapporto – aggiunge il rappresentante del FIDH – mette anche sul tappeto un altro problema irrisolto in Europa: le responsabilità nei voli della CIA. Pochi casi sono stati tradotti in giustizia, allorquando i legami sono acclarati”.

Ragioni che spiegano il disagio generale. Mentre alcuni paesi occidentali, tra cui la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, contestano i passaggi che li riguardano pur accettando il principio dell’operazione, numerosi paesi africani e musulmani vorrebbero che il documento fosse accantonato.

Insabbiare le procedure speciali

Il 31 dicembre 2009 il Pakistan aveva inviato in nome dell’Organizzazione della Conferenza islamica (OCI), una lettera al presidente del Consiglio, Alex Van Meeuwen, chiedendo esplicitamente di non riconoscere il rapporto come documento ufficiale dell’ONU. Dunque che non sia presentato al Consiglio dei diritti umani.

Secondo la lettera, i relatori speciali avrebbero oltrepassato il loro mandato conducendo questa inchiesta di propria iniziativa. I paesi membri dell’OCI rimproverano tra l’altro a Martin Scheinin di non aver preparato un’altra inchiesta che gli era stata chiesta dal Consiglio, ossia quella sulle buone pratiche in materia di lotta contro il terrorismo.

A nome del gruppo dei paesi africani, lo scorso 8 gennaio l’ambasciatore della Nigeria, aveva rilanciato la domanda al presidente Van Meeuwen. Nella sua risposta dell’11 febbraio, previa consultazione d’ordine giuridico, il presidente ha risposto che gli esperti non avevano in nessun caso oltrepassato il loro mandato e che avevano agito in totale accordo con il codice di condotta.

Secondo Peter Splinter, rappresentante di Amnesty International presso l’ONU a Ginevra, le proteste formulate in nome dei paesi dell’OCI e del gruppo africano, hanno il sapore di “tattiche per insabbiare ulteriormente le procedure speciali alla vigilia del processo di revisione del Consiglio previsto entro quest’anno”. Questi paesi, che nel 2007 erano riusciti ad imporre un codice di condotta per i relatori speciali, vorrebbero un controllo ancora più stretto.

Imbarazzante per i paesi musulmani

Per Dick Marty il rapporto è particolarmente imbarazzante per i paesi musulmani: la connivenza nella caccia internazionale di musulmani in nome della lotta contro il terrorismo, appare alla luce del sole. “La quasi totalità delle persone vittime di queste prigioni segrete – spiega il senatore – sono musulmane. Ciò che è tragico, è che impiegando metodi illegali o si colpiscono degli innocenti o si trasformano i criminali in martiri, suscitando la simpatia popolare nei loro riguardi”.

Le ricadute positive del rapporto sono tuttavia palpabili: “Può servire a rafforzare la coerenza dell’ONU nella lotta contro il terrorismo” – ipotizza Antoine Madelin, alludendo al comitato ad-hoc creato dal Consiglio di sicurezza dopo l’11 settembre 2001. “Questo documento può contribuire a definire delle linee direttrici per rafforzare le misure di protezione, mostrando in particolare che le prigioni segrete non contribuiscono minimamente a lotta contro il terrorismo”.

Dal canto suo Dick Marty – che afferma di avere poca fiducia nel Consiglio di sicurezza, dove su questo argomento si tesse “un’alleanza perversa tra americani, cinesi e russi, nella quale ognuno ha interesse a fare passare i propri metodi” – propone che siano i parlamenti a fare piena luce su quanto è accaduto, domandano i conti ai rispettivi governi.

Carole Vann/InfoSud, swissinfo.ch
(traduzione dal francese Françoise Gehring)

La Svizzera ha compiuto un passo nella protezione delle libertà adeguando le sanzioni decise dal Consiglio di sicurezza dell’ONU nei confronti delle persone sospettate di essere collegate con Al-Qaïda.

Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, il Consiglio di sicurezza ha stabilito una lista di “presunti terroristi”, con una serie di sanzioni correlate come, per esempio, il congelamento dei loro beni e il divieto di viaggiare.

In seguito a numerose mescolanze nei nomi sulla lista, persone totalmente estranee ad Al-Qaïda si sono ritrovate bloccate per anni senza potersi difendere e senza alcuna possibilità di ricorso presso un’autorità indipendente. Alle persone semplicemente sospettate – spesso completamente a torto – non si riconoscono i diritti essenziali di cui beneficiano i peggiori criminali.

Giovedì scorso il Consiglio nazionale ha adottato una mozione di Dick Marty, già approvata all’unanimità dal Consiglio degli Stati, in cui si chiede che la Svizzera rinuncia ad applicare la sanzione nei confronti di un individuo che figura sulla lista nera se questa persona non ha potuto fare ricorso ad una autorità indipendente e se non è stato consegnata alla giustizia nel giro di tre anni.

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