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Rimpatri forzati verso l’Africa imminenti

Legato per essere rimpatriato: ricostruzione dell'associazione Augenauf. Keystone

Sospesi dopo la morte di un nigeriano di 29 anni nel mese di marzo all'aeroporto di Zurigo, i rimpatri forzati dei migranti a cui il diritto d’asilo è stato negato, riprenderanno nel corso del mese di luglio. La presenza di medici a bordo fa discutere.

“Trasportati come pacchetti”: è così che le organizzazioni di difesa dei diritti umani qualificano i rimpatri forzati dei migranti che, respinti in base alla legge svizzera in materia d’asilo, non vogliono partire volontariamente o non hanno capito che è stato chiesto loro di cooperare.

Nel corso di queste espulsioni via voli speciali, le persone sono legate in modo tale da non potere né alzarsi né stendere le braccia davanti a loro. «Ci sono stati morti in Inghilterra, in Francia e in tutti quei paesi dove si procede a questo tipo di rimpatrio», spiega Lilo König, co-fondatrice dell’organizzazione “augenauf” a Zurigo.

E proprio lo scorso 17 marzo, la Svizzera ha registrato il “suo” terzo decesso in queste circostanze. Alex K., un nigeriano di 29 anni, è stato vittima di un arresto cardiaco all’aeroporto di Kloten.

Conclusioni dell’autopsia

Grave malattia cardiaca preesistente «praticamente non diagnosticabile», sciopero della fame di circa un mese, uno stato di estrema agitazione: questi tre elementi sono responsabili dell’arresto cardiaco. E’ quanto risulta dall’autopsia e dalle analisi, le cui conclusioni sono state appena pubblicate. Ma il rapporto stesso, che resta confidenziale, lascia ancora aperti numerosi interrogativi.

«Quanto definito come stato di agitazione è molto vago», spiega il dottor Thomas Schnyder, membro dell’Associazione dei medici indipendenti (VUÄ) che milita per un «sistema sanitario giusto e sociale». «Sappiamo che situazioni di estremo stress esogeno possono metter in pericolo la vita, anche nei giovani atleti».

Secondo il medico, non c’è bisogno di soffrire di una malattia cardiaca per essere esposto ad un pericolo. «L’immobilità forzata, compreso un casco per la testa, per oltre 10 ore, l’impossibilità di urinare in modo autonomo e di mangiare in modo altrettanto autonomo, non sono solo pratiche disumane e indegne, ma costituiscono anche importanti fattori di stress» aggiunge Thomas Schnyder.

VUÄ e augenauf chiedono pertanto l’abbandono di tali rimpatri forzati. I medici indipendenti si spingono oltre: secondo loro i medici dovrebbero rifiutarsi di salire a bordo di questi voli.

Medici a bordo

Ma questo è ciò che prevede l’Ufficio federale della migrazione (UFM), che organizza i rinvii con la Conferenza dei direttori cantonali di giustizia e polizia. A partire dal mese di luglio, quando riprenderanno le espulsioni (verso l’ Africa), un medico e un paramedico saranno a bordo. Dovranno controllare le cartelle cliniche delle persone destinate all’espulsione.

«Attualmente stiamo formando un gruppo di medici», ha affermato Urs von Arb, capo della divisione rimpatri dell’UFM. «Ce ne sono alcuni che rifiutano, anche per questioni logistiche».

Federazione dei medici scettica

La questione della presenza di medici a bordo, preoccupa anche Jacques de Haller, presidente della Federazione dei medici svizzeri. Secondo lui ogni medico deve decidere in base alla propria coscienza. «Ma è illusorio credere che richiedenti l’asilo respinti facciano tranquillamente ritorno nel loro paese di origine perché c’è un medico a bordo dell’aereo».

I medici non corrono il rischio di essere strumentalizzati? «Le direttive medico-etiche sono importanti», risponde il presidente. «Nella decisione di espulsione, non solo il referto di un medico non deve fare parte del dispositivo, ma il medico deve poter ritirarsi in ogni momento».

Jacques de Haller afferma inoltre che «devono essere chiamati in causa solo i medici formati per rispondere a situazioni del genere come, per esempio, i medici delle prigioni. Queste situazioni esercitano una grande pressione psicologica sul medico».

«Perché aspettare?»

Amnesty International chiede, dal canto suo, la revisione di tutte le pratiche di rinvio forzato. «Il problema è che i migranti respinti in base al diritto d’asilo, sono a volte inseriti nella categoria dei voli speciali forzati senza saperlo», afferma Manon Schick, portavoce dell’organizzazione.

«Alcuni dicono di voler recuperare dei soldi sui conti postali, quanto basta per essere considerati recalcitranti da parte delle autorità. A parte rare eccezioni, i direttori dei penitenziari non dicono loro che saranno prelevati dalla cella da diversi funzionari di polizia e che saranno legati per essere trasportati di forza a bordo di un aereo» continua la portavoce.

«E’ per noi incomprensibile il comportamento della Confederazione che non ha ancora previsto la partecipazione di osservatori indipendenti, ciò che dovrà comunque prevedere nel 2011» sottolinea con toni critici Manon Schick. «La presenza dei medici è un passo nella giusta direzione, ma non spetta a loro giudicare la situazione generale e prendere nota di qualsiasi insulto e di eventuali reazioni, ecc.».

L’UFM fa sapere, per bocca di Urs von Arb, di preparare il cambiamento: “Siamo in discussione con potenziali partner per garantire il monitoraggio indipendente da gennaio 2011».

Ariane Gigon, Zurigo, swissinfo.ch
(traduzione dal francese Françoise Gehring)

L’Accademia svizzera delle scienze mediche (ASSM) ha adottato, nel 2002, degli orientamenti per le questioni medico-etiche riguardanti la “pratica della medicina su detenuti”.
Ecco, per esempio, che cosa prevede l’articolo 6.4:

“Se il medico è convinto che i mezzi posti in opera per eseguire la misura (quali imbavagliamento, legatura stretta e prolungata, posizione detta della rondine: piedi e mani ammanettati posteriormente in posizione di opistotono, ecc.) costituiscono un pericolo immediato e grave per il paziente, deve informare immediatamente l’autorità competente che, qualora i provvedimenti previsti non dovessero essere sospesi, non intende assumere la responsabilità medica del caso. Pertanto, può astenersi dall’offrire la propria collaborazione”.

Il 17 marzo 2010, un nigeriano di 29 anni, Alex K., è morto all’aeroporto di Zurigo-Kloten durante la sua espulsione. E’ stato colto da un malore mentre era legato.
Si tratta del terzo decesso in Svizzera, durante un procedimento di espulsione forzata.

Secondo l’autopsia, condotta dall’istituto di medicina legale dell’Università di Zurigo, l’uomo soffriva di un problema cardiaco di cui non si era a conoscenza e molto difficile da diagnosticare. La sua condizione era inoltre aggravata dallo sciopero della fame che stava conducendo e dallo stato di agitazione in cui si trovava.

Il pubblico ministero del canton Zurigo ha sottolineato che i risultati dell’autopsia sono stati consegnati agli avvocati dei parenti della vittima, i quali hanno deciso di continuare le azioni legali.
La famiglia ha ricevuto un risarcimento di 50 mila franchi come gesto umanitario, da parte dell’Ufficio federale della migrazione.

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