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Rischio di escalation nella crisi fiscale con gli USA

Gli Stati Uniti, e in particolare l’autorità fiscale IRS, chiedono di poter accedere ai dati bancari dei contribuenti sospettati di reati fiscali. Keystone

Il Parlamento svizzero ha rimandato questa settimana la decisione concernente il nuovo contenzioso fiscale con gli Stati Uniti. Intanto però sale la pressione nei confronti di alcune banche elvetiche sospettate di attività fiscali illecite.

La camera alta del Parlamento (Consiglio degli Stati) ha deciso mercoledì di rinviare alla sessione di dicembre la decisione sull’accordo di doppia imposizione con gli Stati Uniti. La maggior parte dei senatori preferisce in effetti attendere che il governo elvetico compia progressi sostanziali verso una soluzione del nuovo contenzioso fiscale con Washington.

Un temporeggiamento che rischia tuttavia di avere conseguenze sulle trattative tra i due paesi. Se non si risolverà la questione sull’accesso ai dati bancari entro novembre, hanno avvertito le autorità statunitensi, saranno intraprese azioni legali nei confronti di almeno dieci banche svizzere.

Tra i punti più contesi da Berna e Washington vi sono le condizioni di trasmissione dei dati bancari di cittadini americani sospettati di aver depositato fondi non dichiarati nelle casseforti elvetiche. La convenzione per evitare la doppia imposizione (CDI) conclusa nel 1996, tutt’ora in vigore, prevede uno scambio di informazioni nel caso di sospetta frode fiscale e delitti analoghi.

Con la nuova CDI gli Stati Uniti potrebbero continuare a inoltrare in Svizzera una domanda collettiva di assistenza amministrativa anche per i casi di evasione. L’accordo negoziato nel 2009 è stato ratificato dalla Svizzera, ma non ancora dagli Stati Uniti.

Modello di comportamento

In un annuncio pubblico che aveva sollevato parecchie critiche, l’ex ministro delle finanze elvetico Hans-Rudolf Merz aveva affermato che prima di fornire assistenza amministrativa era necessario conoscere il nome del sospetto evasore, conformemente agli standard dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

Basandosi su una sentenza della giustizia svizzera, il governo ha in seguito rivisto la sua posizione, affermando che per trasmettere le informazioni non servono nomi e indirizzi: basterà far valere un “modello di comportamento”, che consente di individuare comportamenti sospetti da parte del contribuente o dell’istituto finanziario.

Secondo il Consiglio federale, la nuova CDI potrebbe contribuire a risolvere la vertenza fiscale con gli Stati Uniti. Esclude invece di far ricorso ad altre opzioni per aiutare le banche confrontate a problemi legali.

«Non intendiamo adottare misure urgenti; per questo mancano le basi costituzionali. Ma non rivolgetevi a noi in novembre o in dicembre, quando la situazione avrà raggiunto un punto critico», ha detto mercoledì ai senatori la ministra delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf.

«Se la casa comincia a bruciare il venerdì sera non si aspetta il lunedì per chiamare i pompieri», ha affermato invano il senatore ticinese Dick Marty, secondo cui il rinvio della decisione parlamentare potrebbe incoraggiare gli Stati Uniti ad aumentare la pressione e ad aggiungere alla lista altre banche. Secondo Marty, le autorità americane hanno infatti diversi motivi per essere irritate con alcune banche svizzere.

Accordo specifico

Per il momento, il governo rifiuta di negoziare un nuovo accordo sul “modello UBS” siccome la situazione e le circostanze sono diverse. Due anni fa, la Svizzera aveva accettato di trasmettere le informazioni dettagliate di oltre 4’400 clienti sospettati di aver frodato il fisco americano, con lo scopo di evitare un processo potenzialmente devastante contro UBS.

Claude-Alain Margelisch, direttore dell’Associazione svizzera dei banchieri (ASB), si è detto favorevole a un accordo di assistenza amministrativa che permette la trasmissione dei dati anche se non si conosce l’identità della persona sospettata. Si oppone però alla conclusione di accordi simili con altri paesi, come chiesto dal centro-sinistra, ha precisato in un’intervista pubblicata martedì sulla Basler Zeitung.

«La Svizzera beneficia da diversi anni di un accordo specifico con gli Stati Uniti», ha detto, aggiungendo che l’accordo proposto dal governo è compatibile con la protezione della sfera privata dei clienti delle banche svizzere. «I clienti americani possono scegliere: o dichiarano i loro averi al fisco oppure versano un’imposta alla fonte del 35%».

“Pesca alle informazioni”

I partiti di destra e di centro, maggioritari in Consiglio degli Stati, si oppongono all’idea del Consiglio federale. Il Partito liberale radicale, tradizionalmente vicino al mondo dell’economia, definisce la proposta governativa una «pesca alle informazioni (fishing expeditions) attraverso la porta di servizio».

Questo accordo apre la strada verso un ulteriore indebolimento del segreto bancario, ha denunciato l’Unione democratica di centro (destra conservatrice). I popolari democratici (centro) preferiscono dal canto loro disporre di maggiori informazioni, prima di esprimersi.

Le discussioni tra Berna e Washington sono quindi destinate a protrarsi. Il Parlamento si riunirà di nuovo in dicembre, ovvero quando l’ultimatum posto dagli Stati Uniti sarà scaduto.

Il segreto bancario – la confidenzialità – è uno dei pilastri sui quali la Svizzera ha costruito il suo dominio nel campo della gestione patrimoniale.

Dalla crisi del 2008 il segreto bancario è oggetto di attacchi costanti. Confrontati al debito pubblico, i paesi industrializzati tentano infatti di riempire le loro casse reprimendo in tutti i modi l’evasione fiscale.

Nel 2009 la Svizzera ha dovuto accettare un accresciuto scambio di informazioni bancarie con gli altri paesi, rinegoziando una serie di accordi sulla doppia imposizione. Così facendo è stata cancellata dalla lista grigia dell’OCSE.

Quello stesso anno, UBS ha ammesso di aver aiutato dei contribuenti americani a frodare il fisco del loro paese. Il governo svizzero ha dovuto trasmettere i dati di 4’450 clienti al fisco statunitense.

Nel 2009 e nel 2010 diversi paesi, tra cui Gran Bretagna, Italia, Stati Uniti e Germania, hanno proposto ai loro contribuenti di mettersi in regola attraverso una serie di amnistie fiscali.

Ad incrementare il numero di evasori identificati ha poi contribuito la vendita illegale di informazioni bancarie. Germania e Francia sono stati i principali acquirenti dei controversi CD, ma le informazioni contenute sono state trasmesse anche ad altri paesi.

Gli Stati Uniti stanno attualmente proseguendo nelle loro indagini. Oltre al Credit Suisse, nel mirino delle autorità americane vi sono oltre dieci istituti, tra cui anche banche cantonali.

Traduzione di Luigi Jorio

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