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Le sparizioni forzate traumatizzano una società intera

Manifestazione a Colombo nel 2007 in memoria dei tamil rapiti in Sri Lanka. (REUTERS/Buddhika Weerasinghe)

Finora solo 19 paesi hanno ratificato la Convenzione dell’ONU contro le sparizioni forzate. Gerald Staberock, della Commissione internazionale dei giuristi, fa il punto sull’ampiezza e sulla gravità di questa tecnica di repressione, tuttora praticata nel mondo.

Come numerosi altri paesi, anche la Svizzera non ha ancora ratificato la “Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone contro le sparizioni forzate”, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 20 dicembre 2006.

Ragion per cui il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) ha esortato gli Stati a farlo al più presto; affinché il trattato possa finalmente entrare in vigore occorrono 20 ratifiche. L’appello è stato recentemente lanciato in occasione della giornata internazionale delle persone scomparse, tenutasi lo scorso 30 agosto.

Intanto un’altra voce si è fatta sentire, quella di Gerald Staberock, direttore del programma di Sicurezza globale presso la Commissione internazionale dei giuristi, un’organizzazione non governativa basata a Ginevra.

swissinfo.ch: A quando risale la pratica delle sparizioni forzate?

Gerald Staberock: Questa pratica, che è riconosciuta internazionalmente come una delle violazioni più gravi dei diritti umani, è stata usata molto dalle dittature latinoamericane a partire dagli anni Sessanta,come in Argentina.

Un po’ovunque nel mondo, Stati e gruppi armati hanno continuato a farvi ricorso durante gli ultimi anni. È il caso della Russia nel contesto bellico con la Cecenia,dove i responsabili di questi crimini godono ancora della totale impunità. Numerose sparizioni forzate sono state praticate anche in diversi paesi africani, in modo particolare nella Repubblica democratica del Congo e in Algeria negli anni Novanta. Oggi ancora i servizi segreti pakistani sono accusati di fare capo a questa forma di repressione.

Quello delle sparizioni forzate continua, dunque, ad essere un grave problema a causa dell’impunità quasi totale per i responsabili dei crimini.

swissinfo.ch: Ci sono paesi in cui questo problema è particolarmente acuto?

G.S.: Sono numerosi i paesi colpiti, come lo Sri Lanka dove le sparizioni forzate sono state praticate durante le guerra che ha opposto forze governative e Tigri Tamil. E, secondo i nostri rapporti, continuano ancora adesso.

I paesi occidentali non sono risparmiati, a causa delle sparizioni forzate nel contesto della lotta contro il terrorismo dopo l’11 settembre: in nome delle sicurezza nazionale molti governi hanno proceduto a numerose estorsioni. E questo per giustificare l’uso di tutti i mezzi di repressione contro certi gruppi, compresi i rapimenti e le detenzioni segrete. Anche in questo caso l’impunità era sovrana.

Sebbene l’amministrazione Obama abbia riformato una parte della politica attuata dal precedente inquilino della Casa Bianca, non esiste un effettivo ricorso per le vittime di queste «extraordinary renditions/rapimenti, detenzioni segrete e torture», persino nei casi più documentati, come quello del cittadino tedesco Khalid El-Masri, rapito in Macedonia dalla CIA. Anche se gli USA hanno riconosciuto che si è trattato di un rapimento sbagliato, non c’è stata né un’inchiesta indipendente, né forme di riparazione per questa vittima innocente.

Ricordiamo che numerose paesi europei sono coinvolti, dal momento che hanno preso parte a questa politica di «extraordinary renditions». Inchieste indipendenti sono state svolte in Italia e in Germania, ma i governi hanno rinunciato a domandare l’estradizione degli agenti americani implicati in questi rapimenti.

Se i paesi europei riconoscono la gravità delle sparizioni forzate, potremmo aspettarci dai governi che facciano il possibile per tradurre i responsabili davanti alla giustizia.

swissinfo.ch: La Convenzione Internazionale contro le sparizioni forzate, permette di lottare efficacemente contro questa pratica?

G.S.: Avere una convenzione internazionale è un primo passo molto importante. E’ il riconoscimento di un problema di dimensione universale, di una pratica che non è in alcun modo giustificabile e costituisce una negazione totale dello Stato di diritto, della giustizia e della persona. Ciò che conta ora è fare pressione sui paesi affinché ratifichino il testo (ad oggi, 83 Stati hanno firmato la convenzione e 19 l’hanno ratificata, ndr).

Occorre anche adoperarsi per l’effettiva attuazione di questo trattato. E non solo in quei paesi che non ricorrono, o non ricorrono più, alle sparizioni forzate. Stabilire un sistema legale che proibisce questa grave violazione dei diritti umani rappresenta anche una rete di sicurezza per il futuro.

swissinfo.ch: Nei paesi che hanno conosciuto un significativo ricorso alle sparizioni forzate, ci sono grandi differenze nel modo di lottare contro questo flagello da parte dei governi?

G.S.: Tra i più colpiti, i paesi dell’America Latina si sono decisamente schierati dietro la Convenzione delle Nazioni Unite. Tornati alla democrazia, questi paesi hanno constatato – nel dolore – la portata di questa forma di repressione, che ha colpito non solo le vittime e le loro famiglie, ma anche la società nel suo complesso, dal momento che si trattava di intimidire interi gruppi della popolazione.

Le sparizioni forzate traumatizzano un intero paese. Per uscirne è assolutamente necessario avviare un processo di verità e di revisione indipendente. Ed è proprio qui che risiedono le carenze più evidenti.

swissinfo.ch: In Algeria, le famiglie delle persone scomparse sono oggetto, come oggi, di molestie e intimidazioni da parte della polizia. Si tratta di una situazione eccezionale?

G.S.: Ogni caso è unico, pur avendo punti in comune con altri. In Algeria, come in altri paesi, le famiglie, ma anche avvocati e difensori dei diritti umani che cercano di fare ricorso alla giustizia o di condurre campagne di sensibilizzazione, sono essi stessi minacciati.

In Algeria il grosso problema deriva da un decreto presidenziale per la riconciliazione nazionale. Si tratta di un decreto che criminalizza l’evocazione degli anni di guerra civile, soprattutto se si solleva il problema delle sparizioni forzate ad opera delle forze dell’ordine. Ciò si traduce, ad esempio, con la repressione contro le famiglie degli scomparsi che stanno cercando di manifestare.

Eppure non può esserci una vera riconciliazione nazionale, se viene fatta sulla pelle delle vittime tacendo la verità.

Frédéric Burnand, swissinfo.ch
(traduzione di Françoise Gehring)

La Convenzione dell’ONU chiede a ogni Stato parte, ogni qualvolta una persona sospettata di aver eseguito una sparizione forzata in qualsiasi parte del mondo si trovi sotto la sua giurisdizione territoriale:

• di sottoporre il caso alle proprie autorità giudiziarie per l’avvio di un procedimento, a meno che lo Stato parte estradi il sospettato verso un altro Stato o lo consegni a un tribunale penale internazionale;

• di assicurare che il proprio sistema legale preveda il diritto alla riparazione per le vittime di una sparizione forzata;

• di istituire garanzie rigorose a tutela delle persone private della libertà, compreso il divieto assoluto di detenzione segreta;

• di istituire un comitato di esperti col compito di controllare l’applicazione della Convenzione e di intraprendere azioni su casi individuali.

Le sparizioni forzate, a cui i governi ricorrono per reprimere il dissenso, eliminare gli oppositori, perseguitare gruppi etnici, religiosi e politici, sono un crimine che si nutre del silenzio, che pone le vittime al di là della protezione della legge, celando il loro destino e nascondendo l’identità dei responsabili.

Oggi nel mondo si contano migliaia di sparizioni.

Dal 1981, il 30 agosto viene celebrata la Giornata internazionale degli scomparsi, un’iniziativa della Federazione sudamericana delle associazioni delle famiglie di detenuti e persone scomparse.

L’obiettivo è di attirare l’attenzione internazionale sulla sorte delle persone che sono scomparse senza lasciare traccia.

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