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Svizzera-Italia, confronto sul federalismo

Da palazzo Madama arriva il sì alla riforma costituzionale, ma è un sì con molti avversari Keystone

Approvata il 16 novembre in via definitiva dal senato, la riforma della Costituzione italiana ha molti oppositori e rischia di essere affondata dal referendum.

Nicolas Schmitt, esperto dell’Istituto svizzero sul federalismo, parla delle opportunità offerte da una decentralizzazione del potere.

La Svizzera, paese nato dall’unione di diversi Stati e quindi tradizionalmente federalista, guarda con interesse ai tentativi italiani di dare più competenze alle regioni. Il giorno dopo l’approvazione della riforma da parte del senato italiano, i principali quotidiani elvetici riportano la notizia mettendo in luce soprattutto una cosa: la forte opposizione al progetto che si rispecchia nei dubbi dei costituzionalisti e nel referundum annunciato dal centrosinistra.

I quotidiani rilevano una certa contraddizione interna del testo, che da un lato prevede la «devolution» alle regioni del sistema scolastico, sanitario e di polizia e dall’altro «centralizza» più potere nelle mani del primo ministro. La distribuzione di competenze tra lo Stato centrale e le regioni sarebbe inoltre regolata in modo troppo vago e ambivalente.

Per Nicolas Schmitt, collaboratore scientifico dell’Istituto per il federalismo di Friburgo ed autore di uno studio sul regionalismo in Europa, anche se quella approvata dal parlamento potrebbe non essere la strada migliore per arrivare al federalismo, l’Italia ha tutto l’interesse a trovare una forma di decentralizzazione.

swissinfo: La discussione sulla riforma federalista in Italia è stata un cavallo di battaglia della Lega Nord. Si può dire che la Svizzera, paese dalla lunga tradizione federale che confina con l’Italia del Nord abbia avuto un ruolo di modello?

Nicolas Schmitt: No, direi di no. Si tratta di un processo che è nel segno dei tempi e che corrisponde alle moderne esigenze di democrazia ed efficacia dell’apparato pubblico. La Svizzera può essere tra gli Stati federali a cui ci si ispira, ma è un caso a sé, molto particolare proprio perché ha alle spalle una storia fatta di solo federalismo.

Sono piuttosto gli esempi della Germania e degli Stati uniti ad aver spinto l’Italia sulla strada delle riforme. Lo stesso vale per la Francia, dove le misure di decentralizzazione sono state tra le prime iniziative prese da François Mitterand quando è arrivato al potere.

Per quanto riguarda la Lega Nord, la sua idea iniziale era di dividere l’Italia in tre macroregioni – Nord, Centro, Sud – in modo da permettere ai capitali di rimanere al Nord. Evidentemente questa è una visione contestabile del federalismo.

swissinfo: La storia d’Italia ha nell’«unità» raggiunta nel XIX secolo un momento importante. In questo contesto, non è comprensibile che a qualcuno la decentralizzazione sembri un passo indietro?

N.S.: È lo stesso problema che ha la Francia. Visto che in passato sono stati messi in atto degli sforzi notevoli per centralizzare, si è restii a prendere un’altra strada. Basta pensare alle dimostrazioni degli insegnanti francesi che si sono veementemente opposti all’autonomia regionale delle scuole. Si vede nella centralizzazione un elemento protettivo e nella decentralizzazione un pericolo.

In effetti, la decentralizzazione, che è un bene democratico, può creare delle disuguaglianze tra le regioni. In Svizzera le differenze tra i cantoni ci sono sempre state. In origine i cantoni erano Stati indipendenti: il nostro è un caso di federalismo associativo.

I casi di federalismo dissociativo sono più rari. Quando le competenze vengono devolute si «creano» delle differenze ed un processo che va in questa direzione è più difficile da accettare, viene percepito come più ingiusto del semplice fatto di mantenere differenze già esistenti.

swissinfo: Quali interessi possono esserci nel creare delle disuguaglianze tra le diverse regioni di uno stesso Stato?

N.S.: Da un punto di vista democratico, la decentralizzazione ha dei notevoli vantaggi. Quando il potere è più vicino al cittadino, quando è maggiormente distribuito, diventa automaticamente più democratico.

Il federalismo funziona bene. Del resto se si va a vedere quali sono gli Stati federali si noterà che tra di loro ci sono i paesi più democratici, più forti e più ricchi. L’unica eccezione sono gli Emirati arabi uniti, per i quali non si può certo parlare di democrazia.

La decentralizzazione ha il vantaggio di migliorare l’efficacia della gestione del territorio, perché evita le «pesantezze» amministrative. Ecco perché federazioni «addormentate», come Argentina, Brasile, Messico, che per anni sono state governate come Stati centralizzati stanno riscoprendo il federalismo: è efficace.

Certo, accettare il federalismo significa accettare delle disuguaglianze. Ma non bisogna illudersi, le disuguaglianze esistono comunque. Anche nel paese più centralizzato ci sono differenze tra le zone rurali e le zone urbane, tra zone con più risorse e zone con meno risorse.

swissinfo: E all’Italia cosa potrebbe portare una decentralizzazione ben fatta?

N.S.: La decentralizzazione permetterebbe una cosa finora assolutamente assente dal panorama italiano: la creazione di un élite politica regionale. In Italia, i parlamenti regionali esistono, sono eletti democraticamente, ma sono dotati di pochissime competenze. Questo ha fatto sì che l’interesse dei politici fosse sempre orientato a livello nazionale e mai regionale.

La creazione di regioni dotate di vere e proprie competenze può favorire l’emersione di politici regionali di qualità, messi nella condizione di fare esperienze che saranno poi utili a livello nazionale.

Se la posta in gioco è solo nazionale, si avranno ben pochi politici competenti. È il grande dramma dei paesi africani, dove c’è un dittatore o un presidente molto forte, attorniato da qualche ministro: nessuna forma di decentralizzazione, nessuna possibilità di creare delle competenze a livello regionale. Di fatto è impossibile che nasca un «contropotere».

Intervista swissinfo, Doris Lucini

Il senato italiano ha approvato il 16 novembre una sostanziale riforma della Costituzione del 1948. Tutti i principali punti della riforma sono contestati (anche all’interno della maggioranza di governo). Il centrosinistra ha già annunciato il referendum.

Secondo il nuovo testo, lo Stato centrale cede alle regioni le competenze in materia scolastica, sanitaria e di polizia locale. Il capo del governo dovrebbe ottenere più poteri – a scapito in parte del presidente della Repubblica – ed essere eletto direttamente dal popolo.

Inoltre: riduzione del numero di parlamentari,restrizione delle competenze del senato e aumento del numero di membri della Corte costituzionale eletti dal parlamento (7 su 15 invece degli attuali 5).

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