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Twitter, l’altra faccia del giornalismo

Da twitter, a facebook passando per flickr e you tube, internet sta imponendo un nuovo modo di far politica. Keystone

Le proteste in Iran hanno riaperto il dibattito sul ruolo di twitter nello sfidare la censura e nell'imporre una ridefinizione del giornalismo. Ma fin dove si spinge il potere di queste reti sociali e quali sono i limiti?

Si chiama twitter, viene dagli Stati Uniti, e permette di condividere in 140 caratteri tipografici l’attualità in tempo reale. Un diario di vita quotidiana che fino a poco tempo fa si limitava a messaggi quasi banali di gente ansiosa di essere sempre connessa al mondo.

Ma quando in aprile i giovani moldavi hanno manifestato per le strade, twitter si è trasformato da una semplice piattaforma di scambio a uno strumento politico. Stesso scenario in Iran dove le centinaia di migliaia di persone scese in piazza per protestare contro i risultati delle presidenziali hanno trovato in twitter un canale di diffusione privilegiato delle loro rivendicazioni.

«Da un lato, twitter ha permesso al mondo di avere delle informazioni di prima mano, anche se difficilmente verificabili», spiega Nicole Simon, autrice di un libro su twitter e consulente europea di “social media”. «Dall’altro ha offerto agli iraniani la possibilità di condividere le loro opinioni con il resto del mondo e di portare l’attenzione su ciò che stava accadendo nel loro paese».

Oscurate le reti televisive, interrotte quelle telefoniche e militarizzati i siti internet, twitter è rimasto l’unico mezzo di comunicazione a sfidare i controlli del governo iraniano, proprio perché per funzionare non ha bisogno di un indirizzo di posta elettronica e i messaggi (tweet) possono essere inviati anche tramite telefonino.

«Un modo diverso di comunicare, continua Nicole Simon, attraverso il quale si possono scavalcare le barriere della censura che in alcuni regimi, come quello iraniano o cinese, cercano di imbrigliare le informazioni. E questo è di per sé un risultato eccezionale».

Siamo tutti giornalisti?

Al ritmo di diversi messaggi al secondo, twitter ha dapprima raccolto la sola voce dei giovani iraniani per poi coinvolgere anche l’Occidente. Frasi di solidarietà e dolore, rabbia e rimprovero piovono con una rapidità tale da renderne impossibile non solo la verifica ma anche il ricordo. Le lingue sono diverse, ma con il denominatore comune della condivisione virtuale di una vita reale.

Per l’informazione è un vero cambiamento di paradigma: «In passato al giornalista bastava star seduto alla sua scrivania e aspettare che le notizie gli arrivassero tramite i canali ufficiali. Ora deve imparare a guardarsi attorno, a spulciare cosa c’è in rete e a filtrare le fonti di dubbia attendibilità», spiega Nicole Simon.

Un’opinione condivisa anche da chi, come Paolo Attivissimo, concilia la passione per il giornalismo con quella per le nuove tecnologie : « Non si può più far finta di nulla e utilizzare la carta stampata o la televisione come unici canali di informazione. I cronisti devono fare i conti con la concorrenza. Il privato cittadino può, se si comporta secondo le regole deontologiche, diventare una fonte affidabile e trasmodarsi lui stesso in reporter».

Un’attendibilità ancora da verificare

La verifica delle fonti resta però il principale problema di queste reti sociali, soprattutto per twitter che garantisce un certo anonimato ai suoi utilizzatori. «Bisogna imparare a prendere con cautela le informazioni che vengono documentate da fonti indipendenti», ammette Paolo Attivissimo. «Molte persone non hanno ancora acquisito l’abitudine di discriminare tra i livelli di qualità dell’informazione che arriva da internet e dai media».

Su twitter niente è sottoposto a verifica ed è compito degli internauti controllare l’attendibilità delle informazioni e la credibilità dei diversi account. Perché se twitter ha permesso di far circolare il fotogramma della morte di Neda, non ha mancato nemmeno di divulgare informazioni poco accurate sugli arresti domiciliari del leader dell’opposizione Hussein Musavi o sulle cifre dei partecipanti alle manifestazioni, come riportato dal sito True/Slant.

Fenomeno specifico del XXI secolo, per Paolo Attivissimo queste reti sociali oscillano dunque tra la promozione di un giornalismo cittadino e la trasformazione in «grande bar della chiacchiera».

«È facile piazzarsi davanti al computer, dire la propria opinione, magari al riparo dell’anonimato, e gettare fango su chi ti pare perché sai che tanto non accadrà nulla. Sono due facce della stessa medaglia: secondo il contesto può trattarsi di una discussione tra pantofolai o di un imput sociale e politico».

Per una maggiore libertà di informazione

Se l’evoluzione tecnologica è riuscita a spiazzare la censura e a raccogliere consensi tra la comunità internazionale, non significa però che da sola possa portare al rovesciamento di un regime politico. «È semplicemente un canale che facilita la rivoluzione dal basso, sottolinea Attivissimo, ma per cambiare il sistema è necessario che queste parole dalla rete si trasformino in fatti». Il rischio è infatti che l’interesse del popolo di internet verso la protesta iraniana vada spegnendosi, mentre sul campo i giovani continuano a morire.

«Al di là del singolo strumento di twitter, questi eventi stanno dando una lezione a qualunque regime aspiri a controllare il flusso di informazioni che ricevono i suoi cittadini», continua il Attivissimo. «E questo vale non solo per i regimi totalitari, ma anche per i governi considerati democratici come l’Inghilterra, che censura alcune informazioni dall’estero per proteggere presunti segreti di Stato. O le stesse foto “piccanti” di Berlusconi che vengono bloccate in Italia e poi rimesse in circolazione attraverso El Pais».

La lezione di fondo è chiara, conclude Paolo Attivissimo: «Sono finiti i tempi in cui si poteva controllare l’informazione ed è ora che i governi se ne rendano conto. Perché anche se questo non porterà a una rivoluzione politica, è indubbio che sarà sempre più difficile nascondere o negare le proprie malefatte quando tutto finisce online in tempo reale».

Stefania Summermatter, swissinfo.ch

Per la prima volta nella storia della rete, i blog italiani hanno indetto per il 14 luglio una giornata di silenzio, al fianco dei giornalisti di quotidiani e televisioni.

La protesta, nata su iniziativa di Alessandro Gilioli, Enzo Di Frenna e Guido Scorza, si scaglia contro il decreto Alfano, sulle intercettazioni.

La legge prevede l’obbligo di rettifica per i gestori di tutti i siti informatici; un provvedimento pensato 60 anni fa per la stampa.

Stando ai manifestanti, se questo decreto fosse imposto a tutti i blog (anche quelli amatoriali) e con le pesanti sanzioni pecuniarie previste, metterebbe di fatto un «silenziatore alle conversazioni online e alla libera espressione in Internet».

Per questo, invece dei consueti post, martedì i blog italiani hanno pubblicato solo il logo della protesta con un link al manifesto per il Diritto della rete.

Alle 19.00 è inoltre prevista una manifestazione in Piazza Navona a Roma.

Fondato nel marzo del 2006 da Jack Dorsey e Evan Williams, twitter ha raggiunto nell’aprile del 2008 il milione di utenti. Un anno più tardi, erano 17 milioni ad usufruire di questa piattaforma.

Nel novembre 2008 i due giovani statunitensi hanno rifiutato l’offerta di facebook che voleva comprare twitter per 500 milioni di dollari.

La società contava 29 impiegati a fine febbraio 2009.

Il servizio gratuito permette di inviare messaggi fino a un massimo di 140 caratteri.

La prima tappa consiste nel crearsi un contro sul sito twitter.com e di scegliere un pseudonimo, visibile a tutti gli altri utilizzatori.

È possibile rintracciare delle persone da “seguire” attraverso lo pseudonimo o effettuando una ricerca tematica.

Twitter sta pensando di creare un sistema di identificazione sicura degli utilizzatori, per combattere possibili brogli.

Numerosi siti (Twhirl, Twibble) permettono di seguire i “tweets”. Delle applicazioni per i telefonini sono inoltre disponibili.

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