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Zurigo vota sui corsi d’integrazione

Il principio dell'integrazione è fuori discussione, ma i referendisti non vogliono finanziarla Keystone

Da vent'anni i giovani stranieri immigrati ricevono a Zurigo un aiuto sotto forma di corsi d'integrazione

Ora sono messi in pericolo da un referendum, in votazione questo fine settimana.

Ogni anno sono circa un migliaio i giovani immigrati tra i 15 e i 20 anni, che arrivano dall’estero direttamente nel cantone di Zurigo. Vengono da tutto il mondo e la maggior parte di loro rimane in Svizzera. A volte si tratta di figli di matrimoni misti; a volte sono persino figli di svizzeri all’estero che hanno fatto ritorno in patria.

Per aiutarli ad inserirsi nella società ed a trovare un posto di lavoro o d’apprendistato, in diverse località del cantone (Zurigo, Winterthur, Horgen, Wetzikon, Dietikon e Bülach) si tengono, a volte anche da 20 anni, corsi di tedesco che istruiscono anche sugli usi e costumi svizzeri (da come scrivere una domanda d’assunzione, all’importanza della puntualità).

Un obbligo degli immigrati

Il costo di questi corsi è sopportato per metà dal cantone, il 26 per cento è a carico dei comuni ed il 15 per cento lo paga la Confederazione. Il restante 9 per cento (poco più di mille franchi) ricade sulle famiglie dei partecipanti.

In febbraio il parlamento cantonale aveva votato un credito di 6,8 milioni di franchi per i prossimi tre anni. Contro questa decisione, la Lega dei contribuenti – un movimento zurighese vicino all’Unione democratica di centro (Udc) di Christoph Blocher – ha lanciato il referendum su cui ora si vota.

Secondo i promotori del referendum, l’integrazione non è un compito primario della società, ma un obbligo degli immigrati. Costoro dovrebbero quindi sopportare le spese della loro integrazione, così come gli svizzeri all’estero si adoperano per il proprio inserimento nella società locale.

Ma l’utilità dei corsi è fuori discussione per tutti i partiti politici, tranne che per l’Udc e per lo sparuto gruppetto dei Democratici Svizzeri.

Problemi di pace sociale

Molti dei giovani che frequentano i corsi d’integrazione non hanno le basi per frequentare una scuola normale. E non conoscendo la lingua e la società che li ospita, avrebbero quindi enormi difficoltà a trovare un posto d’apprendistato o un lavoro.

«Molti di loro» – dice Doris Steinseifer, dirigente dell’HFS, una scuola di perfezionamento professionale di Winterthur – «subiscono anche un vero shock culturale. Vengono fatti arrivare qui da un genitore, di solito il padre, che è stato a lungo lontano dalla famiglia e che essi stessi conoscono poco». I corsi d’inserimento sono quindi assolutamente indispensabili a molti di questi ragazzi per superare il gap culturale, linguistico e sociale.

Ma se il contributo del cantone a tali corsi venisse meno, il buco finanziario dovrebbe essere colmato dai comuni, che non è detto possano o vogliano farlo. La città di Winterthur, per esempio, ha i conti in profondo rosso e non sarebbe affatto in condizione di quasi triplicare la spesa per i corsi d’integrazione.

«La situazione dei conti di Winterthur è catastrofica» – dice ancora Doris Steinseifer – «e non riesco a immaginare come la città possa subentrare». Allora i giovani stranieri rimarrebbero per strada e «nelle città questo darebbe problemi di pace sociale».

Gretti motivi di risparmio?

In effetti, l’utilità dei corsi d’inserimento è fuori discussione: si sono dimostrati il mezzo d’integrazione più rapido ed efficace proprio perché si rivolgono a giovani motivati, che hanno un permesso di dimora stabile e sono disposti a pagare per inserirsi meglio nella società.

L’integrazione è certamente un obiettivo importante – ribattono i referendisti – ma la questione è chi deve sopportarne i costi. Sarebbe ingiusto che ricadessero sui contribuenti, quando i partecipanti ne pagano appena il 9 per cento. Già oggi, tra scuola, disoccupazione, assistenza e carceri, l’immigrazione ci costa milioni; e non è opportuno che lo stabilirsi da noi venga reso ancor più attraente offrendo agli stranieri corsi di lingua.

Insomma, la gretta motivazione dei referendisti rischia di far presa tra la gente, già abbastanza spaventata dai continui allarmi per le finanze pubbliche insufficienti e per i pesanti esercizi di risparmio imposti. Il comitato per il sì ai corsi d’integrazione è tuttavia composto da rappresentanti di tutti i maggiori partiti, tranne ovviamente l’Udc.

Nello schieramento favorevole non mancano l’intero governo cantonale, gli esecutivi comunali al completo delle città di Zurigo e di Winterthur, l’ex consigliere federale Rudolf Friedrich, rappresentanti dei datori di lavoro e dei sindacati, ed un’ampia maggioranza dei presidenti delle “Schulpflegen” (commissioni scolastiche).

Silvano De Pietro

ogni anno, un migliaio di immigrati tra i 15 e i 20 anni arriva a Zurigo
i corsi d’integrazione sono finanziati per metà dal cantone, il 26% dai comuni, il 15% dalla Confederazione, il 9% dai partecipanti

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