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La politica dei trasporti a un bivio

Pendolari alla stazione di Zurigo; ogni giorno 900'000 persone prendono il treno in Svizzera Keystone

In Svizzera spostarsi costa poco e le infrastrutture di trasporto pubbliche e private sono confrontate a un consumo eccessivo. Riforme radicali si impongono, sostengono due economisti in un libro bianco di recente pubblicazione.

In Europa probabilmente vi sono pochi paesi dove i trasporti costano così poco come in Svizzera. Certo, per una singola tratta in treno il prezzo è spesso esorbitante. Optando però per il sistema d’abbonamenti, bastano ad esempio 3’100 franchi (poco più di 2’000 euro) per utilizzare praticamente tutta la rete di trasporti pubblici del paese per un anno intero. Per viaggiare sulle autostrade sono sufficienti invece quaranta franchi. Nulla rispetto ai salassi dei caselli italiani, francesi o spagnoli.

Tutte le regioni, anche quelle più periferiche, possono disporre di una buona infrastruttura. Ad esempio, uno dei tratti autostradali portati a termine negli ultimi anni è quello tra Delémont e Porrentruy, due città giurassiane distanti circa 20 km, con una popolazione di rispettivamente 11’000 e 6’000 abitanti. In treno, in generale ci si può recare da un centro urbano all’altro ogni ora o addirittura ogni mezz’ora.

Tutto ciò però ha un costo: da un lato in termini propriamente monetari, dall’altro perché questa sovrabbondanza genera un consumo di mobilità notevole. Nel 2009, ogni giorno circa 900’000 persone salivano su un treno, 70’000 in più rispetto a cinque anni prima. Se non si cambierà rotta, l’attuale politica dei trasporti rischia di finire contro un muro, sostengono Rico Maggi e Angelo Geninazzi, dell’Istituto di ricerche economiche dell’Università della Svizzera italiana.

Nel loro studio – intitolato “Per una politica dei trasporti sostenibile” e realizzato per il forum di riflessione dell’economia “Avenir Suisse” – i due economisti propongono in particolare una riforma completa del sistema di finanziamento per le infrastrutture di trasporto. Intervista a Rico Maggi.

swissinfo.ch: Il vostro libro si intitola “Per una politica dei trasporti sostenibile”. Ciò significa che l’attuale politica svizzera dei trasporti non lo è?

Rico Maggi: Quando si parla di sostenibilità bisogna tener conto di tre dimensioni, quella economica, quella ecologica e quella sociale. La dimensione economica si può misurare in termini di efficienza, quella ecologica in termini di impatto sull’ambiente e quella sociale in termini di distribuzione.

L’attuale politica dei trasporti è completamente sbilanciata verso quest’ultimo aspetto della sostenibilità, ossia la distribuzione. Ad esempio, attualmente si sta completando una rete autostradale pensata alla fine degli anni ’50, piuttosto che riflettere su dove è necessario migliorare la rete esistente. Si sta ultimando la Transjurane (l’autostrada che attraverserà il Giura e che collegherà Belfort, in Francia, a Bienne, ndr), dove il traffico è assai limitato, mentre su altri tratti c’è un bisogno urgente di una terza corsia.

Da un punto di vista economico, riteniamo che questa politica non sia sostenibile. Lo si vede, del resto, nell’ambito delle discussioni su Ferrovia 2030 o sulla manutenzione delle reti, che non si sa bene come finanziare.

Per quanto concerne l’ecologia, questo sistema ci ha fatti entrare in un circolo vizioso. Aumentando l’offerta di trasporti pubblici, crescono mobilità e domanda di infrastrutture. Con più infrastrutture, una persona ha la possibilità di vivere più lontano dal suo posto di lavoro e ciò genera un maggiore consumo del territorio, e così via.

swissinfo.ch: Come si fa ad uscire da questo circolo vizioso?

R.M.: Rompendo l’attuale logica del finanziamento, in cui i fondi finiscono in una sorta di calderone da cui si attinge per finanziare le infrastrutture.

Trattandosi appunto di un calderone, nessuno vede però quanto paga e tutti quindi sono incitati a continuare a consumare.

Non va poi dimenticato che in un paese federalista come la Svizzera, l’infrastruttura di trasporto è uno strumento politico geniale. Un politico può infatti decidere di costruire la strada in tale o tal’altra regione del suo cantone, finanziandola attraverso questo calderone centrale e non andando quindi ad intaccare direttamente il portamonete di chi lo ha eletto.

Se passassimo a un sistema combinato, con un finanziamento a carico in parte degli utenti e in parte del normale budget pubblico, questo meccanismo di incitamento al consumo verrebbe a cadere.

swissinfo.ch: Nel 2007 il governo si è detto favorevole all’avvio di progetti pilota di “road pricing” nelle città e nelle agglomerazioni. Anche se il parlamento ha poi sospeso tutto, non pensa che ci si stia muovendo nella direzione da voi auspicata?

R.M.: È vero, ci sono dei segnali in questo senso. Più che un “road pricing” riteniamo sia necessario però soprattutto un “mobility pricing”, applicato non solo al traffico stradale ma anche ai trasporti pubblici. Le Ferrovie federali svizzere vogliono del resto muoversi in questa direzione.

swissinfo.ch: Nel vostro libro puntate il dito contro lo scollamento che si è creato tra sede lavorativa e luogo di residenza. Voler avvicinare il più possibile queste due sedi non rischia però di danneggiare la tanto decantata flessibilità del mercato del lavoro svizzero?

R.M.: È un argomento molto complesso. Più che puntare il dito contro questo scollamento, noi sottolineiamo soprattutto il fatto che esso è sussidiato dalla politica e che semmai si dovrebbe andare nella direzione opposta.

Bisognerebbe far sì che essere pendolare sia più costoso di quanto lo è adesso e rendere più denso il tessuto urbano.

swissinfo.ch: Ma mettendo l’accento soprattutto sulle città, le regioni discoste non verranno ancora di più marginalizzate?

R.M.: È chiaro che sarà necessario avviare una discussione sulle regioni periferiche e sul servizio pubblico. A mio avviso, garantire il servizio pubblico significa offrire un servizio di base per tutti. Ma offrire a dei manager delle carrozze di prima classe tra Berna e Ginevra è servizio pubblico?

Sono convinto che se iniziamo a risparmiare dei soldi per questi lussi, avremo un grande margine di manovra per ridefinire ciò che deve essere annoverato o meno nel servizio pubblico.

swissinfo.ch: Uno dei vostri cavalli di battaglia è anche il progetto Ferrovia 2030, che definite una “vacca sacra”. Per quale ragione?

R.M.: Il progetto Ferrovia 2030 prevede di rafforzare ancora di più l’idea dell’orario cadenzato, facendo sì che i trasporti pubblici diventino un po’ come l’automobile, dove è possibile salire in ogni momento per andare ovunque. Anche in questo caso, però, non si prendono in considerazione i costi. Oggi è praticamente impossibile dire a una località ‘forse non è necessario che da voi parta un treno ogni mezz’ora per questa o quest’altra destinazione’. Si rischia di non poter più mettere piede in questa città.

Daniele Mariani, swissinfo.ch

In Svizzera le infrastrutture dei trasporti pubblici e stradali sono finanziate essenzialmente attraverso l’imposta sugli oli minerali, il contrassegno autostradale, la tassa sul traffico pesante commisurata alle prestazioni, quella forfettaria sul traffico pesante e l’imposta sul valore aggiunto.

I proventi di queste imposte vanno a finire principalmente in due fondi: il Fondo infrastrutturale per il traffico d’agglomerato e la rete di strade nazionali e il Fondo per il finanziamento dei progetti.

Il primo, come indica il nome, serve per finanziare tutti i progetti relativi al traffico d’agglomerazione e per modernizzare e completare la rete di strade nazionali. Il fondo ha a disposizione circa 20 miliardi per i prossimi 20 anni.

Il secondo è impiegato invece per finanziare i grandi progetti ferroviari, in particolare la Nuova ferrovia transalpina. Il fondo ammonta a oltre 30 miliardi di franchi, somma che sarà investita completamente entro il 2030.

Nel 2008, le collettività pubbliche hanno speso 7,7 miliardi di franchi per la rete di strade nazionali, cantonali e comunali in Svizzera. Gli investimenti sono stati di 4,4 miliardi, mentre le spese di esercizio 3,3 miliardi. Nel 1995, i costi ammontavano a 6,2 miliardi (3,9 d’investimenti e 2,3 di spese).

I costi per le ferrovie sono invece stati pari a 9,2 miliardi, di cui 6,8 coperti dalle entrate del traffico viaggiatori e merci. I contributi delle collettività pubbliche sono ammontati a 2,8 miliardi. Nel 1995 i costi erano stati di 8,4 miliardi, le entrate del traffico viaggiatori e merci 6,2 e i contributi federali e cantonali un miliardo.

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