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Carla Del Ponte: «Prima o poi i risultati arrivano»

26 maggio 2011: un giorno importante per Carla Del Ponte Keystone

L’arresto di Ratko Mladic ha suscitato grande soddisfazione in seno alla comunità internazionale. Una soddisfazione dal gusto particolare per l’ex procuratrice del Tribunale penale internazionale, la svizzera Carla Del Ponte.

La magistrata ticinese era stata per otto anni una figura di spicco della giustizia internazionale per quanto concerne l’ex Iugoslavia e il Ruanda. Durante il suo mandato, l’enorme lavoro svolto da lei e dai suoi collaboratori aveva però permesso di arrestare soltanto uno – Slobodan Milosevic – dei tre maggiori ricercati…

 

swissinfo.ch: Quali sono i suoi sentimenti nel giorno dell’arresto di Ratko Mladic?

Carla Del Ponte: Si tratta prima di tutto di un grande giorno per la giustizia internazionale, e in particolare per il Tribunale penale internazionale. Oggi è stato infatti possibile catturare uno dei maggiori responsabili – insieme a Karadzic e Milosevic – dei crimini tremendi commessi nella ex Iugoslavia.

Noi abbiamo lavorato durante più di otto anni per riuscire ad assicurare il loro arresto, un risultato che oggi è finalmente diventato realtà. Mladic, come altre 160 persone prima di lui, dovrà quindi a sua volta presentarsi davanti al Tribunale dell’Aia. Ore ne manca soltanto uno [Goran Hadzic], ma ritengo che presto anche lui subirà la stessa sorte.

swissinfo.ch: La cattura di Mladic costituisce dunque un segnale contro l’impunità?

C. D.P.: Esattamente. L’arresto di Ratko Mladic significa proprio questo. Essere riusciti a catturarlo implica che simili persone non possono mai ritenersi al sicuro: magari non si riesce a prenderli subito, quando lo si vorrebbe, ma prima o poi il lavoro svolto porta i suoi frutti.

L’importante è non arrendersi mai, non smettere mai di lottare per ottenere giustizia di fronte alle vittime dei massacri. Ecco perché ritengo che la notizia di oggi servirà da incentivo anche per gli altri tribunali – internazionali e non – che ovunque si battono per la verità.

Questi crimini non cadono in prescrizione: un giorno o l’altro i loro autori saranno chiamati a risponderne.

swissinfo.ch: Quando, nel corso degli ultimi anni, ha avuto la sensazione che la situazione stesse mutando e che si sarebbe arrivati all’arresto?

C. D.P.: Già nel 2005-2006 ci siamo resi conto che il contesto stava evolvendo, soprattutto dopo il cambiamento politico dalla presidenza di Vojislav Kostunica a quella di Boris Tadic. In questo senso ci sono stati dei segni concreti: la polizia ha infatti arrestato e trasferito all’Aia molte persone che avevano avuto ruoli nel conflitto.

Il vero momento decisivo è però stato l’arresto di Radovan Karadzic nel 2008, ovvero il segno della volontà politica di cooperare pienamente con il Tribunale.

L’arresto di Mladic è stato più complicato, poiché non si riusciva a localizzarlo in tempo per poterlo catturare. Anche durante il mio mandato, in un paio di occasioni la polizia aveva sfiorato l’arresto, arrivando però troppo tardi.

Evidentemente nel ultimi tempi l’attività investigativa è aumentata e – forse anche grazie a un po’ di fortuna – sono riusciti nell’intento.

swissinfo.ch: Gli arresti significano che nella società serba vi era meno protezione per queste persone?

C. D.P.: Le catture indicano in primo luogo che le persone in questione non godevano più di quella importante protezione istituzionale che era invece presente all’inizio.

A proteggere i ricercati erano rimaste delle singole persone, anche perché un personaggio come Mladic – ad esempio – poteva ancora contare su molte conoscenze, segnatamente tra gli ex militari.

Quando saremo a conoscenze delle circostanze precise dell’arresto, magari risulterà però che una di queste conoscenze non era più disposta a proteggerlo. Forse è stata proprio una di loro a permettere la cattura.

swissinfo.ch: Alla luce degli ultimi sviluppi, quale è la maggiore sfida che attende la giustizia internazionale?

C. D.P.: La maggiore sfida è riuscire ad arrestare le persone accusate di crimini e poi processarle. Anche poter svolgere l’inchiesta, elaborare l’atto d’accusa e ottenere il mandato d’arresto sono compiti importanti e complessi, ma solitamente – con l’aiuto della comunità internazionale – si riesce a portarli a termine.

Il difficile viene però dopo, ovvero quando l’accusato risiede ancora nel proprio paese e lì è considerato come un eroe, proprio come nel caso di Mladic. Questa considerazione vale pure per la stretta attualità: anche se si ottenesse un mandato d’arresto per Gheddafi, come richiesto da molti, dubito che la cattura avverrebbe in tempi brevi…

Ma quello che conta, in fin dei conti, è il messaggio principale da far passare oggi: la giustizia fa il suo corso e prima o poi presenta il conto a chi ha commesso reati.

Nata nel  1947 a Bignasco, nel cantone Ticino, ha studiato diritto internazionale a Berna, Ginevra e in Inghilterra.

Nel 1981 è stata nominata giudice istruttore nel cantone Ticino, dal 1994 al 1999 è stata procuratrice generale della Confederazione.

Nel 1999 è stata nominata procuratrice generale del Tribunale penale internazionale per l’ex-Iugoslavia dall’allora segretario generale dell’ONU Kofi Annan.

Alla fine del 2007 ha lasciato il Tribunale per l’ex-Iugoslavia ed è stata nominata ambasciatrice svizzera in Argentina, mandato che si è concluso il 28 febbraio 2011.

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