Arrestato Ratko Mladic

L’ex generale serbo Ratko Mladic, passato alla storia come il «boia di Srebrenica», è stato catturato in Serbia. Con il suo arresto – tre anni dopo quello di Radovan Karadzic – il lavoro avviato da Carla del Ponte è finalmente coronato dal successo.
L’annuncio ufficiale è stato dato giovedì dal presidente serbo Boris Tadic: Ratko Mladic (1942), ex capo militare dei serbi di Bosnia e latitante dal 1996, ricercato per genocidio e crimini contro l’umanità, è nelle mani nella polizia serba.
I dettagli dell’operazione non sono stati comunicati; secondo diverse fonti serbe, tuttavia, l’uomo – che si faceva chiamare Milorad Komadic – sarebbe stato individuato nella Voivodina (Serbia settentrionale), dove lavorava in una fattoria.
«L’operazione che ha portato all’arresto di Mladic rende la Serbia più sicura e più credibile. […] Ora bisogna continuare a cercare i suoi complici, quelli che l’hanno aiutato a nascondersi per tutti questi anni, anche tra membri del governo», ha affermato Tadic. Quest’ultimo ha poi ribadito l’intenzione di arrestare anche l’altro grande ricercato, l’ex capo politico dei serbi di Croazia Goran Hadzic.
Secondo Tadic, la cattura di Mladic indica la chiara volontà della Serbia di «rispettare le leggi nazionali e internazionali», e dovrebbe costituire un importante lasciapassare per consentire al paese di aderire all’Unione europea. «Oggi si è chiuso un difficile periodo della nostra storia ed è stata eliminata l’ombra che gravava sulla Serbia e sul suo popolo», ha concluso.
Contro Ratko Mladic, così come contro Radovan Karadzic e Goran Hadzic, il Tribunale penale internazionale (Tpi) aveva formalizzato, nel luglio e nel novembre 1995, due atti di accusa per genocidio e crimini contro l’umanità. Nel 1996, il Tpi ha emesso contro i due un mandato di cattura internazionale.
La previsione di Carla del Ponte
Nell’agosto del 2008, la svizzera Carla del Ponte – ex procuratrice del Tpi – aveva commentato l’arresto di Karadzic affermando che pure Mladic sarebbe prima o poi stato catturato, poiché da parte serba vi era una chiara volontà politica in tal senso.
«Dopo la mia partenza dal Tpi nel dicembre 2007 ero frustrata per non aver potuto ottenere gli arresti. Oggi sono molto contenta: i fatti mostrano che la nostra strategia era giusta», aveva dichiarato allora. A tal proposito, giovedì Boris Tadic ha pure annunciato l’estradizione in tempi brevi di Mladic all’Aia.
Secondo l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza europea, Catherine Ashton, l’arresto di Mladic costituisce «un importante passo in avanti per la Serbia e per la giustizia internazionale».
Dal canto suo, il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen ha sottolineato che l’arresto del latitante «offre la possibilità di fare
giustizia», ricordando che Mladic ha svolto un ruolo cruciale in alcuni dei più terribili episodi di Balcani e della storia europea.
Oltre alle molteplici reazioni ufficiali, l’Associazione delle madri delle vittime di Srebrenica ha espresso il proprio «sollievo» per l’arresto del principale artefice della carneficina. Anche il Comitato internazionale della Croce Rossa – per bocca del suo presidente Jakob Kellenberger – ha evidenziato che la lotta contro l’impunità si sta facendo vieppiù serrata.
I tempi cambiano
Secondo Pierre Hazan, giornalista, ricercatore nel settore dei diritti umani e conoscitore dei Balcani, «in Serbia i ricordi del conflitto stanno lentamente sbiadendo. Il paese ha molti problemi economici, vuole far parte dell’Unione europea e ha bisogno di buoni contatti con il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, in cui gli Stati occidentali hanno un ruolo chiave».
Per questo motivo, continua, «ritengo che l’arresto di Mladic è stata una buona manovra da parte del governo di Belgrado».
In merito alla reazione dell’opinione pubblica, Hazan evidenzia come «oggigiorno un numero maggiore di persone rispetto a dieci anni fa riconosce le atrocità commesse a Srebrenica. Ovviamente tali cambiamenti richiedono tempo, ma ho l’impressione che le giovani generazioni vogliano soprattutto lasciarsi il passato alle spalle e occuparsi dei problemi attuali, segnatamente quelli legati all’occupazione».
Una vita in guerra
L’esistenza di Mladic è segnata dal contatto continuo con la violenza: a due anni il padre viene ucciso dagli ustascia croati, alleati dei nazifascisti. Secondo quanto scritto su di lui, l’episodio determinerà un odio mai sopito verso i croati e i musulmani.
Quando esplode la guerra con la Croazia nel 1991, Mladic con il grado di colonnello assume il comando delle unità dell’esercito federale iugoslavo a Knin, che diventerà di lì a poco la capitale dei secessionisti serbi di Croazia. Mladic dirige in seguito l’esercito dell’autoproclamata Repubblica Serba di Bosnia.
In sei mesi di guerra, Mladic conquista il 70% del territorio della Bosnia, avendo a disposizione la potenza militare dell’Armata popolare iugoslava contro bosniaci e croati disarmati e inesperti. I suoi uomini attuano una brutale pulizia etnica (due milioni e mezzo di persone cacciate dalle loro terre e dalle loro case) in nome della Grande Serbia. Migliaia di prigionieri vengono picchiati, torturati, affamati e uccisi. Lo “stupro etnico” viene praticato come arma di guerra.
Protezioni importanti
Nel novembre del 1996, ricercato dal Tpi, Mladic viene destituito dal comando dell’esercito serbo-bosniaco ma continua a vivere tra Bosnia e Serbia, protetto dai suoi ex subordinati bosniaci e da quelle truppe di cui ha sempre fatto parte.
Protezioni che proseguiranno anche dopo la caduta del presidente Slobodan Milosevic, nell’ottobre 2000, e gli garantiranno tranquillità durante tutto il 2001. Dal 2002, pur costretto a maggiore prudenza, può comunque contare ancora a lungo su una rete di appoggio clandestina di militari, ex militari e civili nazionalisti.
Una situazione mutata negli ultimi anni, quando le pressioni sulla Serbia – intenzionata ad aderire all’Unione europea – hanno determinato le condizioni per assicurarlo alla giustizia internazionale.
La Svizzera esprime la sua soddisfazione per l’arresto di Ratko Mladic ordinato del presidente della repubblica di Serbia Boris Tadic. Il trasferimento al Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia di quest’uomo in fuga da diversi anni, costituisce una svolta nella ricerca di giustizia per le vittime dei crimini di guerra commessi nell’ex Jugoslavia.
La Svizzera lancia altresì un appello affinché questo arresto costituisca anche l’occasione per rafforzare l’opera di riconciliazione avviata dai paesi della regione.
La guerra in Bosnia ed Erzegovina si svolse dal 1992 al 1995 e portò alla morte di 100’000 persone.
Dopo la dissoluzione della Repubblica federale di Iugoslavia, una parte importante della popolazione serba si adoperò a favore di un’adesione alla Serbia, i croati per un’adesione alla Croazia e i bosniaci per la creazione di un proprio Stato.
La tensione crebbe quando, nel marzo 1992, fu proclamata l’indipendenza della Repubblica di Bosnia-Erzegovina e la secessione della Repubblica serba di Bosnia-Erzegovina.
La cosiddetta pulizia etnica sfociò nel conflitto armato tra i tre maggiori gruppi etnici.
I serbi di Bosnia, difesi militarmente dalla repubblica serva di Slobodan Milosevic, controllavano quasi il 70% del territorio della Bosnia-Erzegovina.
Nonostante gli sforzi di mediazione e la presenza delle truppe ONU, per lungo tempo il conflitto non poté essere arginato.
Dopo che il campo serbo fu costretto alla difensiva, la mediazione tra le parti in conflitto portò all’accordo di Dayton, nell’Ohio, che pose fine alla guerra.
Il trattato di pace trasformò la Bosnia-Erzegovina in una repubblica federale, assegnandone il 51% del territorio alla Federazione di Bosnia ed Erzegovina e il restante 49% alla Repubblica Serba.
La Bosnia ed Erzegovina fu posta sotto controllo internazionale, militare e civile, tuttora in vigore.

In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.
Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.