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Il Monte San Giorgio e i suoi fossili millenari

Il Monte San Giorgio: un archivio paleontologico aperto al pubblico Gemma d’Urso, swissinfo

Patrimonio mondiale dell'Unesco, il Monte San Giorgio è anche conosciuto come “la montagna dei fossili”. Luogo prediletto dei paleontologi di tutto il mondo, nasconde nelle sue rocce fossili di specie vissute milioni di anni fa. Di recente, si è ricominciato a scavare. Reportage.

La salita verso la cima del Monte San Giorgio (1097 metri) inizia dall’albergo di Serpiano, frazione di Meride nel Mendrisiotto. Ci fa da guida fino in vetta il 29enne Luca Zulliger di Bellinzona, laureatosi all’Università di Friburgo in geologia con specializzazione in paleontologia, alla sua seconda campagna di scavi.

Il sentiero si snoda ripido e sassoso nella fitta vegetazione. Sono soltanto le otto del mattino, ma il sudore non ci risparmia. Il tasso d’umidità è alto e, non fosse per l’assenza di fauna o di serpenti, ci si potrebbe credere ai tropici. Non è un caso quando si sa che più di 200 milioni di anni fa, le rocce sedimentarie dell’attuale Monte San Giorgio si depositarono sul fondo di una laguna subtropicale la cui temperatura oscillava tra i 22 e i 25 gradi.

In alcune lagune isolate nel mare aperto che ricopriva allora la regione, i fondali erano caratterizzati da acque poco ossigenate. Cosicché gli animali morti che vi si adagiavano erano successivamente ricoperti dal fango. Ed è per questa ragione che sul Monte San Giorgio, a tutt’oggi, si ritrovano scheletri fossili completi.

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Squadra multiculturale

La nostra camminata verso l’area degli scavi – lanciati a fine agosto dal Museo cantonale di storia naturale di Lugano – dura circa un’ora e un quarto. Il silenzio è quasi assoluto, solamente interrotto dal rumore dei rami secchi spezzati sotto i nostri passi o da canti di invisibili uccellini. Tra i cespugli di agrifoglio e le palme basse crescono strani crochi giganti di color malva e delicate violette.

Il percorso è accidentato, impervio e richiede attenzione ad ogni minuto. Dopo una salita che sembrava non finire mai, il bosco si dirada e si intravede il cielo. Ci siamo quasi. In cima al sentiero, sbuchiamo su una vasta e bella radura dove sorge una chiesetta e una capanna spartana che, in questi giorni, funge da base alla squadra di paleontologici. Qui si cambiano prima di recarsi sull’area degli scavi, e vi fanno la pausa di mezzogiorno.

Pochi metri più in su, l’area aperta nel 2006 è già in fervida attività. È ricoperta da un telone di plastica che consente di lavorare anche in caso di maltempo. Oltre al conservatore per la geologia e la paleontologia del Museo di storia naturale di Lugano Rudolf Stockar e al suo assistente Luca Zulliger, la squadra è composta da quattro uomini e due donne provenienti dal Ticino, dalla Svizzera tedesca e dalla vicina Italia. L’età media di questo primo gruppo di scavatori è piuttosto alta.

Dove sono i fossili?

Seduti su stuoie di stoffa o di gomma, i paleontologi per diletto maneggiano impassibili, testa in giù e occhiali di ingrandimento sul naso, martelli e scalpellini con i quali spaccano le fini rocce argillose, dove si celano alcune determinate specie dei fossili tanto ambiti.

Sia ben chiaro: non sono visibili all’occhio del profano. Per scorgere le sagome di sauri marini, pesci o piante come alghe calcaree o conifere bisogna avere una gran pratica che, unita ad un’infinita pazienza e ad un lavoro certosino compiuto strato per strato, permette di portare alla luce ritrovamenti che hanno fatto la storia del San Giorgio sin dai primissimi scavi scientifici iniziati nel lontano 1866 dal Museo Civico di storia naturale di Milano nella regione di Besano in territorio italiano.

«Lo scavo sul quale lavoriamo attualmente ci occuperà per altri cinque anni circa», ci spiega Rudolf Stockar, laureato all’Università di Genova. «Dal 2006 ad oggi abbiamo scoperto e repertoriato 400 fossili. Sei zone sono state esplorate, questa è la più estesa».

Cresciuto in Italia e tornato in patria 20 anni fa, il geologo-paleontologo svizzero che guida le campagne da quando sono state ripristinate e poste sotto la guida del cantone (Dipartimento del territorio) ci dice: «Solo alcuni livelli della montagna contengono dei fossili e va precisato, per sfatare un mito, che l’escursionista che sale sul Monte San Giorgio attratto dalla nomea di patrimonio mondiale dell’Unesco non deve aspettarsi di vedere fossili a occhio nudo!».

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Passione per i fossili

Durante le tre settimane della campagna annuale di scavi che si concluderà il 16 settembre, le squadre di volontari lavorano a rotazione. Il gruppo che incontriamo noi sarà presto sostituito da studenti provenienti dalle università di Basilea e Zurigo.

«Ritroviamo ogni anno dei fedeli “abitudinari”», spiega Rudolf Stockar. Tra quelli che sono appassionati di paleontologia vi è un medico svizzero tedesco in pensione e due italiani che scavano sul lato svizzero rispettivamente da 30 e 13 anni. «Prima cercavo i fossili a Besano, in territorio italiano», dice il più giovane che giunge appositamente da Milano, «da quando gli scavi sono stati sospesi, vengo ogni anno in Ticino».

Ogni giorno porta ad una nuova scoperta e, quando un “ricercatore” identifica lo scheletro di un fossile, lo fa vedere a Rudolf Stockar che ne fa una prima valutazione. Si tratta quindi di procedere alla sua ricomposizione, facendo combaciare i pezzi uno ad uno come in un impegnativo puzzle. Successivamente entra in scena Luca Zulliger che si incarica di classificare ed imballare le testimonianze venute alla luce. «I ritrovamenti sono esposti al Museo cantonale di storia naturale di Lugano e al piccolo museo dei fossili di Meride», precisa Rudolf Stockar.

Museo troppo piccolo

Il museo di Meride ormai non basta a contenere i pezzi raccolti e non è all’altezza di un monte classificato patrimonio mondiale dell’umanità. Cosicché il cantone ne ha progettato il potenziamento nonché l’apertura di un centro informativo destinato al pubblico.

Il progetto è stato affidato all’architetto di fama mondiale Mario Botta che, nativo di Mendrisio, ai piedi del San Giorgio è davvero di casa. «La nuova struttura dovrebbe aprire l’anno prossimo», dice il conservatore per la geologia e la paleontologia del Museo cantonale di storia naturale. Non sarà davvero un lusso: l’unico sentiero didattico che orientava i visitatori lungo i pendii ripidi della montagna verso la vetta, con tanto di tavole informative, è stato smantellato….

Era previsto un altro sentiero, ma per il momento non se n’è fatto nulla.

Sito nel sud del cantone Ticino, culmina a 1097 metri sopra il livello del mare. Circondato da due lembi del Ceresio (lago di Lugano), è iscritto nel Patrimonio mondiale dell’Unesco dal 2003. Gli eccezionali ritrovamenti paleontologici distribuiti su cinque livelli fossiliferi distinti, risalenti a 230-245 milioni di anni fa, sono stati decisivi nella scelta del Comitato di selezione.

Sin dal 19esimo secolo quando ebbero inizio i primi scavi, sono venuti alla luce più di 10mila fossili tra cui 30 specie diverse di rettili, 80 di pesci, 100 di invertebrati e numerosi fossili microscopici. Alcuni sono esemplari rarissimi o addirittura unici. Tra i ritrovamenti recenti figura uno dei primi insetti fossili a livello mondiale di origine triassica, una zanzara lunga 17 mm.

La “montagna dei fossili” conta diverse unità rocciose suddivise in due gruppi distinti, ossia lo zoccolo o basamento cristallino e il ricoprimento sedimentario. Verso la vetta del monte appaiono formazioni rocciose più recenti tra cui le rocce triassiche, gli scisti bituminosi, il calcare di Meride, il marna nerastro del Pizzella oppure il Dolomia principale.

In passato, gli strati di scisti bituminosi ricchi in sostanze fossili sono stati sfruttati per l’estrazione di combustibile (1774-1790) e di gas (1830) per l’illuminazione della città di Milano.

A partire dal 1902, su territorio italiano e dal 1909 su territorio svizzero dove fu fondata la società anonima “Miniere Scisti bituminosi di Meride e Besano”, dalle rocce bituminose fu estratto un olio dalle sorprendenti proprietà terapeutiche e curative, il Saurolo.

  

La concorrenza sempre più agguerrita di prodotti esteri fu però fatale per lo stabilimento di Meride il quale, all’indomani della Seconda guerra mondiale, dovette chiudere i battenti.

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