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Senza consenso: radiografia dei matrimoni forzati

Foto matrimonio
AP Photo/David Guttenfelder

La Svizzera avrà presto una legge ad hoc contro i matrimoni forzati. Una problematica dai contorni ancora opachi, che porta con sé strascichi di violenza e isolamento. E che interroga soprattutto il processo di integrazione delle minoranze straniere.

Il matrimonio «non è, non è mai stato e non può essere un affare privato», scriveva l’antropologo francese Claude Lévi-Strauss. Per secoli, l’endogamia è stata la pratica dominante in quasi tutte le comunità e la gente si sposava dunque all’interno dello stesso gruppo sociale.

Fino a pochi decenni fa, anche in Europa i giovani potevano essere forzati a sposarsi per ragioni economiche, culturali o politiche. Oggi nei paesi occidentali le unioni coatte sono proibite dalla legge, ma ciò non significa che siano completamente scomparse.

Nel 2005 il Consiglio d’Europa ha approvato una risoluzione contro i matrimoni forzati, e da allora diversi stati – Gran Bretagna in primis – hanno preso misure specifiche per lottare contro il fenomeno.

Messo sotto pressione dal parlamento e dalle associazioni umanitarie, anche il Consiglio federale (governo svizzero) ha presentato una proposta di legge nel febbraio del 2011. Tuttora al vaglio delle Camere federali, il testo prevede che i matrimoni contratti con la forza vengano perseguiti d’ufficio. Le vittime non dovranno dunque più sporgere denuncia e i responsabili di questo atto criminale potranno essere condannati a una pena massima di cinque anni di reclusione. Oggi i matrimoni forzati sono sanzionati come atti di coazione e passibili di una condanna di tre anni.

Dati mancanti

Sul fenomeno dei matrimoni forzati in Svizzera, non esistono al momento statistiche precise e la maggior parte degli studi scientifici è tuttora a uno stadio embrionale. Nel 2006, la fondazione Surgir stimava a 17’000 il numero di casi, ma la metodologia utilizzata è stata messa in questione da più parti. Da allora i ricercatori restano prudenti.

Al centro di consulenza zwangsheirat.ch (letteralmente “matrimoni forzati.ch”) arrivano in media da uno a quattro appelli a settimana per presunti casi di matrimoni forzati. Nove durante le vacanze estive. Si tratta per lo più di giovani tra i 13 e i 25 anni, migranti di prima o seconda generazione.

Queste cifre, secondo Anu Sivaganesan, rappresentano soltanto la punta dell’iceberg. «Le persone che si rivolgono a noi sono quelle che hanno deciso di ribellarsi al diktat delle proprie famiglie. Ma quante restano nell’ombra?», si chiede la 24enne, attiva nell’ONG dal 2005 e iscritta alla facoltà di diritto dell’università di Zurigo.

Per le vittime di un matrimonio forzato, la ricerca della libertà si scontra spesso con un forte senso di lealtà e appartenenza alla famiglia, con la paura di rappresaglie fisiche ed economiche, o con il rischio concreto – per i cittadini stranieri – di un rinvio al loro paese d’origine, quando il permesso di soggiorno è legato a quello del coniuge.

«Nonostante siano soprattutto le donne a chiedere aiuto – e la loro situazione economica e sociale sia spesso più fragile – i matrimoni forzati non risparmiano di certo gli uomini, prosegue Anu Sivaganesan, cittadina svizzera d’origine srilankese. Nella comunità albanese, ad esempio, il 30% delle consulenze sono dirette a giovani uomini che spesso sono nati e cresciuti in Svizzera e faticano ad accettare questo tipo di imposizione».

Ma cosa spinge i genitori a sposare i propri figli con la forza? Per Anu Sivaganesan, «i matrimoni forzati hanno a che vedere con una visione patriarcale della società e con determinate tradizioni culturali. Negare questo aspetto sarebbe controproducente, perché fintanto che questo tema resta  un tabù – e negato per timore di un’strumentalizzazione politica, allora rischia di essere strumentalizzato da ambienti che vogliono limitare l’immigrazione».

L’elemento religioso invece non è predominante: «tra le vittime che si rivolgono a zwangsheirat.ch ci sono infatti cristiani ed ebraici, aleviti curdi o turchi, induisti tamil, musulmani albanesi o kosovari».

Integrazione nel mirino

Per l’antropologa Anne Lavanchy, che ha condotto uno studio sul tema nel canton Vaud e mette in dubbio l’ampiezza del fenomeno, «i matrimoni forzati non possono essere messi in relazione con una cultura o una religione determinata. Non rappresentano una norma sociale in nessun paese».

In gioco vi sarebbe dunque il processo di integrazione, denuncia la professoressa di Neuchâtel. Confrontate con una situazione di isolamento sociale ed economico, alcune famiglie di migranti tendono infatti a riprodurre delle tradizioni obsolete o a spingere all’eccesso dei costumi ancestrali per mantenere un vincolo con il loro paese d’origine.

«Il dibattito sui matrimoni forzati mette in luce le conseguenze sociali e sanitarie dovute all’isolamento di alcune famiglie e il rischio di un aggravamento dei problemi famigliari come la violenza», prosegue Anne Lavanchy.

«Spesso le popolazioni migranti si ritrovano in situazioni di precarietà, con permessi da rinnovare, difficoltà a trovare un impiego e declassamento sociale. Bisognerebbe riflettere su questi meccanismi, sul fatto di legare sistematicamente alcune problematiche sociali a delle popolazioni migranti, accentuando il sentimento di emarginazione».

«Barbarizzato o banalizzato»

Il dibattito sui matrimoni forzati in Svizzera è stato lanciato da Trix Heberlein, ex rappresentante al Consiglio degli Stati (Camera alta) per il Partito liberale radicale, che nel 2006 aveva depositato la prima mozione in parlamento. Da allora diversi cantoni – su impulso dell’Ufficio federale della migrazione – hanno avviato dei programmi di prevenzione e aiuto alle vittime. Nel canton Ginevra, ad esempio, vengono organizzati dei corsi di sensibilizzazione destinati da un lato ai professionisti della salute e dell’educazione, e dall’altro alle stesse comunità di migranti.

Per combattere il fenomeno bisogna però prima di tutto poterlo comprendere, sottolineano unanimi Anne Lavanchy e Anu Sivaganesan. La difficoltà maggiore sta nella definizione stessa di matrimonio forzato e nella sottile linea che può separare un’unione imposta con la violenza da una arrangiata, ma consensuale. Come sapere se una giovane ha accettato di sua spontanea volontà di sposarsi? Come proteggere questi giovani senza però rinnegare le tradizioni di un paese, magari difficili da comprendere in una società come la nostra, ma pur sempre legali?

Dalla ricerca effettuata da Anne Lavanchy nel canton Vaud emerge infatti una certa difficoltà dei professionisti a distinguere i casi di matrimonio forzato da altri tipi di violenza, come quella coniugale o la tratta degli esseri umani.

«La nuova legge ha una valenza simbolica importante, ma affinché riesca nel suo obiettivo bisogna depoliticizzare il tema, che viene regolarmente banalizzato o associato a tradizioni “barbare”, sottolinea Anu Sivaganesan. Il problema dei matrimoni forzati deve essere affrontato per quello che è: una violazione dei diritti umani e non una nuova strategia per cacciare gli stranieri dalla Svizzera».

Il parlamento si chinerà nuovamente sul tema in ottobre, parallelamente alla revisione delle leggi sull’asilo e sugli stranieri. E allora dovrà probabilmente esprimersi anche sulla mozione inoltrata dall’esponente del Partito popolare democratico Alois Gmür, che chiede per l’appunto che il matrimonio forzato venga introdotto nel catalogo dei motivi di espulsione degli stranieri criminali. A riprova che le implicazioni di questa legge vanno ben oltre la protezione delle vittime di matrimoni forzati.

Il governo svizzero ha adottato il 23 febbraio 2011 un progetto di legge per lottare contro i matrimoni forzati. Il testo è attualmente al vaglio del parlamento.

Ecco alcune delle misure previste:

  • Il matrimonio forzato viene considerato un’infrazione al Codice penale svizzero;
  • Chiunque costringe una persona a sposarsi con la violenza o le minacce è punito con una pena detentiva sino a cinque anni o una pena pecuniaria;
  • Quando un matrimonio è concluso in violazione alla libertà di uno degli sposi, è dichiarato nullo;
  • I matrimoni conclusi all’estero con dei minorenni, secondo il diritto svizzero non saranno più riconosciuti;

(Fonte: Dipartimento federale di giustizia e polizia)

La maggior parte dei paesi ha fissato a 18 anni l’età minima necessaria per contrarre un matrimonio.

Ciononostante, secondo le previsioni delle Nazioni Unite, più di 100 milioni di ragazze potrebbero essere date in sposa nei prossimi dieci anni.

Negli ultimi trent’anni questa pratica è diminuita in modo sensibile, ma resta la norma nelle aree rurali e in quelle più povere.

Più della metà delle bambine in Bangladesh, Mali, Mozambico e Niger vengono sposate con la forza prima dei 18 anni. In questi stessi paesi, oltre il 75% delle persone vive con meno di due dollari al giorno.

Secondo una ricerca dell’International center for research on women, non c’è alcun nessuno tra una religione particolare e il matrimonio infantile.

L’Unicef enumera tre ragioni per le quali i genitori decidono di dare in sposa la loro bambina:

–  La loro presenza in casa rappresenta un fardello economico;

– Il matrimonio è visto come una forma di protezione contro i rischi di abusi sessuali;

– I genitori vogliono evitare il rischio di una gravidanza indesiderata che comprometterebbe un matrimonio futuro.

 

(Fonte: Nazioni Unite e International center for research on women)

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