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«Senza compromessi non ci può essere integrazione»

Ginevra, 1962. Arrivo di lavoratori stagionali spagnoli alla stazione centrale. RDB

Le questioni riguardanti l’immigrazione e l’integrazione sono spesso al centro del dibattito pubblico e politico. Ciò va di pari passo con l’immagine negativa degli immigrati diffusa dai mass media, senza soffermarsi sulle cause di fondo e sul contesto storico del fenomeno. Le considerazioni dello scrittore ed esperto di migrazione Omar Ben Hamida.

Nato in Tunisia nel 1958, Omar Ben HamidaCollegamento esterno è arrivato in Svizzera all’età di 12 anni. Formatosi nei settori del commercio e dell’informatica, ha lavorato per IBM, la banca svizzera UBS e l’assicuratore Swiss Re, prima di intraprendere una carriera da indipendente come scrittore, editore e mediatore culturale.

swissinfo.ch: In generale la Svizzera e gli altri paesi europei come affrontano la questione degli immigrati e dei richiedenti l’asilo negli ultimi anni?

Omar Ben Hamida: La Svizzera e l’Europa in generale si sono comportate bene con gli immigrati, soprattutto con quelli provenienti dal mondo arabo e islamico, offrendo loro un trattamento che non avrebbero ottenuto nei paesi musulmani ricchi. In effetti, risulta ad esempio che l’Arabia Saudita non ospita alcun profugo yemenita, siriano o iracheno.

Considerandone la posizione, la superficie e il numero di abitanti, possiamo affermare che la Svizzera ha dimostrato uno spirito umanitario più elevato. Non dimentichiamo che oltre il 20% della popolazione svizzera è costituita da stranieri. Gli svizzeri hanno compiuto enormi sforzi a livello politico e umanitario dal 2011, anno in cui sono scoppiate le tensioni nel mondo arabo.

swissinfo.ch: Pochi mesi fa una parte dei politici svizzeri chiedeva la chiusura delle frontiere per bloccare il flusso di profughi. Come dobbiamo interpretare questo appello alla luce dei progressi della Svizzera in tema d’immigrazione nel corso degli ultimi decenni?

Omar Ben Hamida: Nel corso dei decenni sono cambiate molte cose. In primis, gli stranieri venuti in Svizzera negli anni Cinquanta e Sessanta erano tutti europei e avevano un denominatore comune nella fede cristiana. Anche in quel periodo, però, ogniqualvolta aumentava il numero di tedeschi, italiani o portoghesi, gli svizzeri reagivano, temendo conseguenze per le loro vite e i mezzi di sostentamento.

Arrivato da bambino in un villaggio di Appenzello Esterno, Omar Ben Hamida vive e lavora oggi a Zurigo. zvg

Poi, con l’avvento degli immigrati arabi, turchi e albanesi all’inizio degli anni Ottanta e Novanta, si è diffusa una nuova religione in Svizzera, quella islamica. Gli svizzeri hanno quindi assistito alla comparsa di nuove tradizioni e culture che ha cambiato la loro opinione degli stranieri. Naturalmente, la situazione internazionale, la proliferazione dei conflitti armati e i fenomeni di violenza e terrorismo hanno aggravato questa percezione negativa. Per gli svizzeri c’è differenza nel sentirsi dire ‘sono un lavoratore tedesco o italiano’ rispetto a ‘sono un rifugiato iracheno o tunisino’.

swissinfo.ch: È corretto affermare che gli stranieri gravano sulla società svizzera e sottraggono posti di lavoro e sostentamento alla popolazione autoctona?

Omar Ben Hamida: No, si tratta di un’immagine negativa diffusa dai media dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001. Questa visione è falsa. Se gli stranieri andassero via dalla Svizzera, le conseguenze sarebbero fatali: chi costruisce le città e chi le pulisce? Chi asfalta le strade e chi costruisce gallerie e ponti? Gli stranieri naturalmente.

Questo paese non è in grado, né ora né in futuro, di mantenere l’attuale stato di benessere senza il supporto di ingegneri informatici indiani o di alti funzionari di banche e aziende provenienti dalla Germania o dall’America. Se i medici e gli infermieri venuti dal Medio Oriente e dall’Asia lasciassero la Svizzera metterebbero in enorme difficoltà il settore sanitario. Gli svizzeri a volte se ne dimenticano e i media, invece di far presente questa realtà, danno risalto solo agli aspetti negativi di questa parte della popolazione. L’esempio più lampante consiste nella cattiva immagine di cui sono oggetto in Svizzera i rifugiati provenienti dal Nord Africa.

swissinfo.ch: In Svizzera è diffusa l’idea che gli stranieri non facciano abbastanza per integrarsi nel loro nuovo ambiente. Il tema dell’integrazione, che si è posto per gli immigrati italiani, si ripropone anche per albanesi, arabi e turchi?

Omar Ben Hamida: In realtà non ci sono grandi cambiamenti a questo proposito. Personalmente ricordo che negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso gli italiani vivevano in una sorta di ghetto, lavoravano tutto il giorno e la sera tornavano dalle proprie famiglie o si riunivano tra di loro. Ho amici italiani residenti a Zurigo da più di 50 anni che non parlano il tedesco.

A mio avviso, l’integrazione inizia con la lingua: è il primo strumento per capire cosa accade intorno a noi. Inoltre, l’integrazione è un processo intrinsecamente complesso. In principio, lo Stato svizzero non ha incoraggiato l’immigrazione, ma col tempo le cose sono cambiate. In ogni cantone e città esiste un ufficio pubblico incaricato di aiutare gli stranieri a partecipare alla vita pubblica e di incoraggiarli a interessarsi delle questioni locali; inoltre vengono loro offerte molte opportunità di imparare le lingue nazionali.

Va ricordato che l’idea dell’immigrato italiano, portoghese o francese era la seguente: lavorare per cinque anni, costruirsi una casa nel proprio paese e poi lasciare la Svizzera, proprio come facevano gli immigrati magrebini in Francia dopo la Seconda Guerra Mondiale. Quindi, anche questi stranieri non volevano imparare le lingue del paese che li ospita o comprendere le peculiarità della società svizzera. Questo è un pensiero condiviso dagli immigrati nel corso dei decenni. Tuttavia, dopo i primi anni, quando i figli vanno a scuola, smettono di pensare a un ritorno in patria. Gli immigrati italiani sono rimasti in Svizzera fino al pensionamento e anche successivamente, poiché la realtà del loro paese era cambiata. È difficile integrarsi senza mantenere forti legami con i paesi di origine.

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swissinfo.ch: Ma perché quindi il tema dell’integrazione si presenta nuovamente e con forza? Dove risiede il problema: nei nuovi immigrati o nel concetto di integrazione come viene proposto oggi?

Omar Ben Hamida: A mio parere, il problema sta da entrambe le parti. Quando gli albanesi e i bosniaci giunsero in Svizzera alla fine degli anni Novanta e all’inizio del terzo millennio, la maggior parte degli svizzeri ignorava che questi provenissero da paesi a maggioranza musulmana. Sono stati accolti in primo luogo perché europei e in secondo luogo perché vittime di guerre e conflitti armati. Nei primi anni non ci sono stati problemi. Poi, con l’aumento degli arrivi dovuto alle sofferenze patite nei paesi d’origine, alcuni hanno iniziato a svolgere attività criminali. La parola ‘albanese’ è diventata sinonimo di tutto ciò che è negativo ed è stata associata a furti, saccheggi e violenze.

Per quanto riguarda gli immigrati arabi in Svizzera, la maggior parte di coloro che oggi richiedono l’asilo proviene da paesi afflitti da scontri, guerre e violenze. Prima ancora di giungere in Svizzera, i rifugiati scoprono che nella mentalità svizzera si è radicata un’immagine negativa di loro, alimentata dai mass media, e la parola ‘arabo’ è ormai sinonimo di terrorismo, omicidi, oppressione e vessazioni sulle donne.

D’altro canto, esiste un’errata percezione del concetto di integrazione in alcuni autoctoni che non considerano gli stranieri integrati se non assomigliano fisicamente a loro al 100%. Se potessero, farebbero loro tingere i capelli di biondo e cambiare il colore degli occhi. Questo però non è il vero significato dell’integrazione.

swissinfo.ch: Quindi qual è il vero significato dell’integrazione?

Omar Ben Hamida: L’integrazione è una vita tra due mondi: il tuo primo mondo originario, che non puoi mai dimenticare, e il nuovo mondo. Integrarsi significa rispettarne le tradizioni e le leggi e parlarne la lingua. Il successo di questo processo passa attraverso la creazione di una condizione di armonia tra la propria cultura e quella del nuovo paese.

In realtà, la Svizzera non impedisce agli stranieri di conservare le proprie tradizioni e permette loro di professare la propria fede religiosa. Ad esempio, negli anni Sessanta c’erano tre moschee, mentre oggi ce ne sono centinaia. Inoltre, la legge svizzera consente la creazione di associazioni civili e religiose. Negli anni Settanta non si trovavano negozi di alimentari arabi o cibi halal, che oggi sono invece diffusi in quasi tutte le città. Lo Stato svizzero ha permesso agli stranieri di creare una copia del proprio mondo originario.

A mio parere, il successo dell’integrazione passa attraverso l’apprendimento della lingua del paese di residenza e lo sviluppo da parte degli stranieri di un concetto di vita basato sulla conservazione della propria cultura e sull’accettazione di quella nuova: è necessario rispettare le proprie origini e aprirsi alla nuova realtà.

swissinfo.ch: I simboli religiosi quali l’hijab e il niqab, così come i corsi di nuoto e il saluto musulmano a scuola, sono oggi fonte di tanti problemi. La scarsa conoscenza che i musulmani hanno della Svizzera fa sì che delle richieste vengano considerate legittime, anche quando queste sono ritenute illegittime dalle comunità locali?

Omar Ben Hamida: Sì, questo è il problema principale: qual è la collocazione della religione nella società? In Svizzera ci si pone questa domanda da 150 anni. Quando si partecipa a una discussione iniziata da 5 minuti, è difficile recuperare ciò che si è perso. Figuriamoci centocinquanta anni!

Ciò che noi musulmani non comprendiamo è questa separazione tra la religione, vista come questione personale dell‘individuo e al massimo della famiglia, e la legge e l’ordine pubblico. Gli svizzeri hanno trovato questo equilibrio a prezzo di lunghe guerre e milioni di morti giungendo alla seguente conclusione: la religione deve essere praticata nelle chiese e in casa propria mentre la legge deve rientrare nella sfera pubblica. Oggigiorno, la maggior parte delle tensioni tra gli immigrati musulmani e la comunità locale trova la sua origine profonda in questo problema.

Se prendiamo ad esempio la questione del nuoto per le ragazze a scuola, a causa del rifiuto della promiscuità tra i sessi le famiglie musulmane richiedono l’esonero mentre la legge svizzera e la società che ha promulgato quella legge ritengono che il nuoto sia una disciplina obbligatoria. Così come alcuni musulmani, pur non rappresentando la maggioranza della società, chiedono di bandire il crocifisso dalle aule scolastiche. Questo solleva un altro problema, ovvero che i musulmani si trovano per la prima volta in minoranza in società a maggioranza non musulmana e non riescono a sopportarlo.

Mi chiedo cosa accadrebbe se un cristiano in Arabia Saudita avanzasse le stesse richieste dei musulmani che vivono in Occidente. Se ciò accadesse, si assisterebbe a una reazione molto più violenta di quella svizzera.

swissinfo.ch: Quindi, qual è l’equazione magica che propone agli immigrati musulmani in Svizzera per realizzare l’integrazione?

Omar Ben Hamida: È un obiettivo difficile da raggiungere: tutti coloro che desiderano vivere in Svizzera devono saper trovare un giusto equilibrio tra le proprie tradizioni e il nuovo ambiente. Se l’immigrato non è disposto a trovare compromessi non si integrerà. Chiunque voglia vivere in Svizzera come se fosse ancora nel suo paese d’origine, farebbe bene a tornarvi, perché questa sarebbe forse la scelta migliore per lui e per i suoi figli.

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