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L’unione fa la forza, anche tra i computer

Per lottare contro la malaria servono reti reali e reti virtuali. Keystone

Un progetto congiunto tra l'Università di Ginevra, le Nazioni Unite e il CERN mette in comune le risorse informatiche al servizio della ricerca a scopi umanitari e medici.

Sfruttare le tecnologie già esistenti e le possibilità offerte dalla rete globale per sconfiggere le malattie, prevedere le catastrofi naturali, migliorare la qualità di vita della popolazione: sono alcuni tra gli obiettivi del cosiddetto “Volunteer computing”, che può essere tradotto come “volontariato informatico” o più precisamente “offerta di risorse computazionali”.

Il Volunteer computing si basa infatti sulla constatazione che i computer privati dispongono di risorse sottoutilizzate per la maggior parte del tempo; queste ultime potrebbero invece essere sfruttate per risolvere problemi scientifici o ingegneristici che richiedono importanti elaborazioni di dati, spiega Bastien Chopard, professore di informatica all’Università di Ginevra.

Il modello di cooperazione prevede che i volontari scarichino da Internet un apposito programma che si occuperà dei calcoli scientifici: quest’ultimo funziona solitamente come uno screensaver, il quale a scadenze regolari trasmette i risultati ottenuti a un server remoto e scarica nuovi dati da elaborare.

Tutti in rete per l’Africa

In quest’ottica, sottolinea Chopard, il Centro europeo per la ricerca nucleare (CERN) ha proposto all’ateneo ginevrino una collaborazione – denominata Africa@home – alla quale ha aderito anche l’Istituto tropicale svizzero di Basilea e alcuni atenei africani. Il server principale per questa iniziativa è stato installato proprio a Ginevra.

«Africa@home si è svolto dal 2005 al 2009. In particolare, è stata elaborata un’applicazione per studiare i meccanismi di propagazione della malaria», riassume Christian Pellegrini, direttore del Dipartimento d’informatica dell’Università di Ginevra nonché coordinatore del progetto. «Nel giro di un mese e mezzo, abbiamo registrato l’adesione di 30’000 volontari», aggiunge.

In altre parole: 30’000 persone che mettono a disposizione il loro computer, il quale resta connesso a Internet e continua a lavorare anche quando l’utente non la sta utilizzando. E l’utente in questione non deve fare assolutamente nulla, una volta accettato di partecipare all’iniziativa.

Esperienza da valorizzare

«Bisogna tenere presente che nel mondo vi è una grandissima potenza di calcolo a disposizione, sommando tutte le risorse informatiche private: unendo le forze, potremmo quindi contare su una capacità di molto superiore a quella del supercomputer più moderno», fa notare Chopard.

A titolo di esempio, nel quadro del progetto Africa@home «a partire dal mese di giugno del 2007 sono state eseguite l’equivalente delle operazioni che un computer compie in 15’000 anni. Gli specialisti dell’epidemiologia malarica hanno così potuto immagazzinare una quantità impressionante di dati, risparmiando moltissimo tempo», sottolinea Pellegrini.

Alla luce di questo successo, gli attori che vi hanno partecipato hanno deciso di creare un organo in grado di estendere l’esperienza ad altre applicazioni di tipo sociale: nel mese di luglio del 2009 è quindi nato il Centre citoyen de cyberscience (CCC). Ne fanno parte l’Università di Ginevra, il CERN e l’Istituto delle nazioni unite per la formazione e la ricerca.

Nuove sfide

Il CCC sta attualmente affinando due nuovi progetti: il primo – spiega Pellegrini – è un’applicazione chiamata Africa Map, il cui scopo è intervenire sulle immagini satellitari per segnalare la presenza di strade, campi, villaggi e altri elementi importanti. Obiettivo: migliorare la conoscenza del territorio, considerando che le mappe attuali sono sovente troppo poco precise.

Questa iniziativa – aggiunge il professore – è legata a una collaborazione con UNOSAT, l’agenzia delle Nazioni responsabile per la cartografia satellitare, che fornisce mappe utilizzate segnatamente in caso di catastrofi naturali o guerre.

La seconda applicazione, sviluppata con l’Università di Città del Capo, è analoga a quella per la malaria, ma riguarda l’epidemiologia dell’Aids.

Anche giocando

A livello internazionale, un’altra importante iniziativa di “volunteer computing” è Folding@home, lanciata dall’università di Stanford. Si tratta di un progetto di calcolo distribuito che utilizza i computer per simulare il complesso processo di avvolgimento delle proteine, contribuendo alla ricerca scientifica relativa a malattie quali morbo di Parkinson, quello di Alzheimer, la fibrosi cistica e varie tipologie di cancro.

Le simulazioni previste dal programma sono così complesse che un singolo PC potrebbe impiegare 30 anni per terminarne una; grazie alla condivisione del lavoro tra migliaia di computer e consolle da gioco connesse via Internet, questo tipo di ricerca risulta assai facilitato.

Andrea Clementi, swissinfo.ch

L’Istituto tropicale svizzero ha sviluppato un modello computazionale simulare la i percorsi di trasmissione della malaria in Africa.

Dal momento che la potenza di calcolo necessaria è molto elevata, è stata quindi creata la piattaforma MalariaControl.net.

Quest’ultima consente di sfruttare la disponibilità elaborativa volontaria di migliaia di persone in tutto il mondo, per aiutare a migliorare l’abilità dei ricercatori di prevedere – e quindi controllare – la diffusione della malattia.

Grazie alla partecipazione dei volontari, è stato possibile eseguire un volume di elaborazioni che normalmente richiederebbe 40 anni se si potesse contare unicamente sulla capacità computazionale a disposizione degli scienziati che hanno sviluppato l’applicazione.

I modelli matematici sono infatti importanti strumenti per il processo decisionale nel controllo delle malattie infettive: la malaria è stata una delle prime infezioni a cui sono stati applicati.

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