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La Svizzera riflette sull’«open source»

Il pinguino Tux, creato nel 1996, è la mascotte ufficiale di Linux. internet

In un'interpellanza rivolta al governo, il parlamentare svizzero Walter Donzé chiede informazioni in merito alla strategia della Confederazione, per quanto concerne l'utilizzo di programmi informatici «open source».

Nel contempo, in diversi cantoni elvetici e all’estero, si moltiplicano le esperienze pratiche che alimentano il dibattito tra favorevoli al cambiamento e sostenitori dello statu quo.

In Svizzera, il 2008 è stato designato «anno dell’informatica». Anche per questo motivo, il parlamentare evangelico Walter Donzé ha deciso di porre una serie di domande all’esecutivo, relative all’equipaggiamento informatico dei posti di lavoro in seno all’apparato pubblico.

In particolare, il consigliere nazionale desidera sapere in che maniera il Consiglio federale intende limitare la dipendenza dell’amministrazione pubblica dai fornitori di programmi. Donzé chiede inoltre quale strategia persegue il governo per promuovere la diffusione di software «open source» – dunque modificabile a seconda delle esigenze e solitamente gratuito – nell’amministrazione federale.

Il parlamentare, come altri suoi colleghi in passato, fa poi riferimento alla prassi vigente in diversi cantoni svizzeri e paesi esteri, in cui l’orientamento verso questo tipo di soluzione sta prendendo sempre più piede: i risultati sembrano molto soddisfacenti e i costi minori.

L’esperienza altoatesina

Uno degli esperimenti più ambiziosi d’impiego dell’«open source» in ambito pubblico – indicato come modello anche dalla Commissione europea – è quello attuato in Italia dalla Provincia autonoma di Bolzano.

Concretamente – spiega Erwin Pfeifer, attivo presso il locale Ufficio dell’informatica –, durante gli ultimi anni è stato installato su tutti i computer dell’amministrazione il pacchetto OpenOffice (programmi di burotica), disponibile gratuitamente su Internet.

La gamma di applicazioni a pagamento Office, dell’azienda Microsoft, non viene tuttavia del tutto sostituita: «La nostra intenzione», precisa Pfeifer, «è quella di lasciare all’utente la scelta d’uso, evitando nel contempo eventuali problemi di compatibilità. In prospettiva futura, prevediamo comunque di fermarci alla versione attuale di Office, distribuendo nel prosieguo soltanto gli aggiornamenti di OpenOffice».

L’obiettivo è duplice: «Mediante questa operazione abbiamo potuto risparmiare, ma soprattutto evitare di costringere il cittadino, ditte o altri enti a dover utilizzare per forza un software a pagamento per scambiare documenti informatici con l’amministrazione provinciale».

Risparmio e versatilità

Un’azione riuscita, dunque, che ha interessato circa 4’500 pc e centinaia di server, ossia computer che forniscono servizi ad altri computer con cui sono collegati. In seno alla scuola italiana della provincia, nel quadro di un altro progetto, il passaggio a OpenOffice è stato completo. In un’intervista a Rai 3, Hellmuth Ladurner, direttore della «ripartizione informatica» presso la Provincia, ha indicato che i risparmi complessivi ammontano a circa un milione di euro l’anno.

Quello finanziario non è però l’unico vantaggio. Tra gli altri aspetti positivi citati, figura anche la maggiore sicurezza: dal momento che il codice sorgente del programma viene messo a disposizione, eventuali lacune possono essere corrette in tempi molto brevi. Possono inoltre essere escluse opzioni non desiderate e create nuove funzionalità, un vantaggio anche per le piccole e medie imprese che non sono così obbligate a dipendere da un fornitore.

L’unione fa la forza

La cooperazione tra gruppi di utenti e sviluppatori è molto apprezzata: ciò consente – assicurano i paladini del software libero – una risoluzione più rapida ed efficace dei problemi rispetto ai programmi con licenza, per i quali si deve sovente attendere (e pagare) la versione successiva del prodotto.

L’esperienza altoatesina non è però un unicum a livello internazionale: a titolo di esempio, il parlamento germanico, vari settori dell’amministrazione statale francese, il ministero finlandese della giustizia e la città di Monaco hanno imboccato la medesima strada.

In Svizzera, già diversi comuni e cantoni hanno deciso di convertire il proprio parco macchine. Tra questi figurano per esempio Vallese, Ginevra e Soletta. Quest’ultimo, per quanto concerne le licenze, ha annunciato un risparmio annuo di 150 franchi per ciascuno dei 2’000 computer dell’amministrazione.

C’è chi preferisce attendere

Ciononostante, altrove si preferisce optare per altre soluzioni. Il cantone di Basilea Campagna, per esempio, ritiene che le esperienze pratiche in materia di software libero non siano ancora sufficienti per giustificare un cambiamento.

Altre voci critiche concernono eventuali problemi di compatibilità, i costi legati alla formazione degli utenti, il supporto in caso di guasti o problemi e l’ammortizzamento delle licenze già acquisite.

Migrazione difficile

E l’amministrazione federale? «Seguiamo gli sviluppi ed eseguiamo verifiche periodiche», spiega il portavoce dell’Ufficio federale dell’informatica Martin Feller. «Utilizziamo soluzioni OpenSource laddove lo riteniamo opportuno, per esempio per quanto concerne i server».

A livello di applicazione burotiche, però, a breve termine non è previsto alcun cambiamento: «La nostra priorità è quella di uniformizzare il posto di lavoro informatico dei dipendenti, basato sui prodotti Microsoft. Per quanto concerne la Confederazione, al momento attuale, gli eventuali vantaggi risultanti dal passaggio a OpenOffice sarebbero vanificati dai costi di una migrazione che concernerebbe ben 34’000 computer, senza considerare le spese legate alla formazione», aggiunge Martin Feller.

Inoltre, conclude, «molti programmi specifici sono legati a Microsoft, ragion per cui un cambiamento risulterebbe oneroso e difficile».

swissinfo, Andrea Clementi

L’espressione «open source» (letteralmente «sorgente aperta») indica un programma informatico, generalmente gratuito, fornito con uno speciale tipo di licenza, in base alla quale il codice sorgente – cioé l’insieme dei comandi e delle istruzioni che lo compongono – è disponibile per gli sviluppatori. Essi sono quindi liberi di modificarlo a piacimento, migliorando e adattandolo alle proprie esigenze specifiche.

Linux – il cui nome deriva dall’informatico finlandese Linus Torvalds – è considerato il primo vero progetto «open source». La sua concezione risale all’inizio degli anni Novanta: si tratta di un sistema operativo, ossia il programma responsabile del controllo e della gestione delle componenti del computer.

Il termine «software proprietario» designa quei programmi informatici che hanno restrizioni precise in merito all’utilizzo, alla modifica, alla riproduzione o alla ridistribuzione. Queste limitazioni sono solitamente realizzate tramite mezzi tecnici o legali.

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