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Quali risposte dopo gli attentati di Parigi?

Domenica molti parigini si sono riuniti davanti alla cattedrale di Notre Dame per un momento di cordoglio. Reuters

Il terrorismo va combattuto con tutti i mezzi a disposizione. Da sola, la risposta militare non sarà però sufficiente per sradicarlo, constata lunedì la maggior parte della stampa svizzera.

La reazione francese non si è fatta attendere: 48 ore dopo gli attacchi di Parigi, 10 caccia hanno sganciato 20 bombe su Raqqa, la ‘capitale’ dell’Isis in Siria, colpendo un campo d’addestramento e un posto di comando, stando al ministero della Difesa francese.

«Colpire forte e duro i nidi di radicalizzazione sembra una misura indispensabile e urgente», rileva 24Heures. Tuttavia, bisogna mantenere il sangue freddo, come ha del resto sottolineato François Hollande, scrive Le Temps.

Escalation senza fine

«La Francia, prosegue il giornale romando, non è entrata in guerra venerdì. Lo era già in Afghanistan, in Siria, in Libia, in Mali. Queste guerre, che hanno come sfondo un ascesso mal cicatrizzato della decolonizzazione, fanno sì che il territorio francese – e soprattutto la sua capitale, simbolo di così tante lotte – resterà un bersaglio nei radar degli estremisti. Un’escalation dei raid aerei non basterà. Trovare il bandolo della matassa sarà difficile. La vittoria contro il terrorismo è una lotta di lungo corso. Non si può semplicemente decretarla».

Per l’Aargauer Zeitung, inviare truppe di terra per combattere l’Isis rischia di fare entrare in un circolo vizioso: «Colpendo militarmente, si dà ai terroristi islamici nuova linfa».

«’Siamo in guerra’, dice François Hollande. Ma con quali mezzi, quale strategia, quale obiettivo? L’Afghanistan, poi l’Iraq, poi la Libia, poi la Siria ci hanno mostrato – da 15 anni – che tutta la potenza militare del mondo, che tutte le bombe non producono nient’altro che un’escalation senza fine», sottolinea 24Heures.

«La retorica guerriera ha fallito», scrive dal canto suo il Tages-Anzeiger, ricordando che è proprio la guerra al terrore decretata da George Bush dopo l’11 settembre che ha creato il terreno fertile affinché un’organizzazione come l’Isis potesse proliferare.

Politica prima di tutto

Le risposte devono essere prima di tutto politiche, rilevano la maggior parte dei quotidiani svizzeri. La Liberté evidenzia che «solo una soluzione che condurrà alla partenza di Bachar el Assad […] permetterà di estirpare il male alla radice, almeno fino a quando questo non troverà una nuova piaga sanguinante da vampirizzare».

Per la Tribune de Genève, l’Occidente deve anche mettere sotto pressione i «regimi che impunemente finanziano le reti terroristiche – Arabia Saudita e Qatar, per non citarne che due». Un’opinione condivisa dal Corriere del Ticino, secondo cui «nei confronti del terrorismo islamico vengono combattuti conflitti paralleli con obiettivi diversi. L’impegno europeo, anche militare, è timido, flebile. Gli affari con paesi amici dei terroristi o condiscendenti sono sacri. Nessuno li discute».

La Tribune de Genève lancia anche un appello alle autorità musulmane affinché rompano i ponti senza indugi e senza ambiguità coi «pazzi di Dio». Non basta che si accontentino di condannare gli attentati: «devono prendere misure in seno alle loro comunità per scovare e denunciare i terroristi».

Colpire forte e duro, ma «cosa fare degli individui in causa? Rinchiuderli e così fabbricare delle bombe umane a scoppio ritardato?», si chiede 24Heures. «Per mobilitare migliaia di militari per controllare le strade di Parigi ci vogliono pochi giorni. Per recuperare il tempo perso nelle ‘banlieues’, educare, suscitare speranza, integrare, federare questi figli persi della Repubblica, ci vorrà invece una generazione di sforzi sostenuti e coerenti. Non è per nulla certo che l’agenda politica, nutrita di populismo e di soluzioni semplicistiche, lasci il tempo necessario».

Domande scomode

Nell’immediato, la politica non potrà esimersi dal porsi delle «domande scomode», rileva la Neue Zürcher Zeitung. «Chi come la Germania sacrifica i controlli alle frontiere, crea inevitabilmente nuovi rischi. Anche le conseguenze a lungo termine dell’immigrazione di massa sono da prendere in considerazione. Le società europee diventano più eterogenee e il pericolo di fratture sociali così cresce». Cercare di evitare simili discussioni e non considerare certe paure, «fa solo il gioco di demagoghi come Marine Le Pen», sottolinea il foglio zurighese.

La Basler Zeitung, giornale vicino alla destra conservatrice, ritiene dal canto suo che questi attacchi pongano fine «all’illusione dell’uomo buono» e della «cultura d’accoglienza ingenua» dei paesi europei. La questione della colpevolezza è ormai obsoleta e non è più il momento di dibattere, sottolinea il giornale basilese con toni marziali. «Siamo entrati in guerra e le vittime sono dei civili. È una guerra che l’Europa e gli Stati Uniti devono combattere se vogliamo che i nostri valori sopravvivano».

La Liberté invita però a non sbagliarsi di nemico, «poiché il nemico è l’Isis, i radicali islamici, e non l’Islam. Il fatto che potenziali terroristi cerchino di infiltrarsi nel flusso dei migranti siriani, non giustifica di rifiutare l’asilo a questi ultimi, come pensano di farlo alcuni paesi dell’Europa orientale».

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