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“In Svizzera una persona su undici è povera”

Fra le persone più colpite dal fenomeno della povertà figurano le donne con figli a carico Keystone Archive

Il fenomeno colpisce soprattutto le donne. In dieci anni la percentuale è passata dal 4,8 al 9,1%.

Nel 2000 le donne con un guadagno inferiore ai 3’000 franchi erano il 18 per cento mentre gli uomini erano il 5 per cento. È quanto risulta da un’inchiesta del Soccorso operaio Svizzero (SOS), che anche quest’anno lancia la campagna di sostegno ai suoi progetti con lo slogan “In Svizzera una persona su undici è povera”.

Il rischio di diventare poveri si è esteso, nell’ultimo decennio nella ricca Svizzera, da un quarto ad un terzo della popolazione. È una realtà che, per essere migliorata, richiederà molto tempo ed impegno politico per ottenere una nuova ripartizione dei redditi.

Per dimostrarlo, il SOS ha voluto per la prima volta rendere pubblici i risultati di uno studio sull’efficacia della sua azione, mirata a migliorare le condizioni sociali, economiche ed individuali dei partecipanti ai suoi progetti.

I più colpiti: donne e stranieri

Numerosi sono coloro che, disoccupati da lungo tempo, devono ricorrere all’assistenza sociale. E le statistiche più recenti mostrano che la maggior parte di queste persone sono donne, per cui la ricerca, condotta da Sidonja Jehli e Matthias Niklowiz, dell’Università di Zurigo, si è concentrata proprio su di esse.

La povertà presso le donne è aumentata negli ultimi dieci anni dal 4,8 al 9,1 per cento, e tra gli uomini è salita dal 5,4 al 6,2 per cento. Particolarmente colpite sono le persone con un basso livello di formazione professionale ed appartenenti alla popolazione straniera che vive nel Paese.

Per commentare e valutare questi dati e per individuare le possibili vie di fuga dalla povertà, la presentazione dell’inchiesta è stata affiancata da una tavola rotonda, alla quale hanno preso parte il presidente dell’Associazione padronale svizzera Peter Hasler, il segretario della Commissione federale degli stranieri Mario Gattiker, la presidente di SOS e consigliera nazionale socialista, Regine Aeppli e la direttrice di SOS, Brigitte Steimen.

Molteplici le cause del fenomeno

Hasler ha detto che “anche noi datori di lavoro siamo colpiti, poiché questa situazione danneggia l’immagine della Svizzera” nell’ambito della competitività internazionale. Citando un altro studio della propria organizzazione, Hasler ha poi sottolineato che la nuova povertà non è prodotta soltanto dai bassi salari, ma ha molteplici cause: se fosse monocausale sarebbe anche più facile affrontarla.

Regine Aeppli ha replicato che è vero, le cause sono molteplici, ma tra queste “la più importante è costituita dalle precarie condizioni di lavoro”. A dimostrarlo è proprio la crescita dei “working poor” durante la crisi degli anni Novanta. La signora Aeppli ha quindi fatto riferimento allo “scandalo dei bassi salari” versati in particolare alle donne ed ha ricordato l’annosa battaglia per la parità di diritti che ha trovato sostegno anche tra le donne del Partito liberal-radicale.

Per il segretario della Commissione federale degli stranieri, il problema maggiore risiede nella scarsa preparazione generale degli apprendisti stranieri, che non permette loro di ottenere una formazione professionale di buon livello e corrono così il rischio di essere espulsi dal mercato del lavoro e cadere nella povertà. Questa situazione è frutto anche del basso livello di formazione dei genitori, che in genere si ripercuote sui ragazzi.

Errori nella politica degli stranieri

Questo argomento offre però la possibilità di stabilire un diretto collegamento con la politica d’integrazione che pratica la Svizzera. “Gli studi non sono mai concordanti”, ha replicato Hasler, che ha citato altre cause, come il mancato riconoscimento dei diplomi e delle qualifiche ottenute dagli stranieri all’estero, cosa che invece sarebbe di grandissimo aiuto, per esempio negli ospedali. “Sono” – ha aggiunto il presidente dei datori di lavoro – “le conseguenze degli errori della politica svizzera sugli stranieri”.

A sua volta, la direttrice di SOS, Brigitte Steimen, ha posto la necessità di dare risposta a due domande: come possiamo valorizzare anche gli scarsi investimenti che i paesi poveri fanno nella formazione dei loro emigranti e come è possibile rimediare al fatto che in Svizzera le imprese medio-grandi danno importanza alla formazione del personale mentre quelle piccole non vi investono quasi nulla.

A conclusione, Gattiker s’è appellato alla necessità di fare una “specifica e reale politica d’integrazione” mirata a facilitare la formazione e quindi l’inserimento nel mercato del lavoro. Aeppli ha detto di augurarsi “che anche i datori di lavoro diano il loro contributo all’integrazione”.

E Hasler, richiamandosi agli alti costi finanziari ed umani ed all’importanza della conoscenza della lingua locale, ha replicato che i padroni non possono “essere l’officina di riparazione di qualsiasi problema sociale”.

Silvano De Pietro

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