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«L’obiettivo a Gaza è il cessate il fuoco»

Un giovane palestinese trasporta un sacco di farina distribuita dalle Nazioni Unite a Gaza City, giovedì 8 gennaio Keystone

Nonostante la violenta offensiva militare nel territorio palestinese, Israele non sta tentando di eliminare Hamas dalla Striscia di Gaza, sottolinea l'ambasciatore israeliano a Berna Ilan Elgar. Intervista.

L’obiettivo di Israele è un cessate il fuoco a lungo termine con la principale forza politica della Striscia di Gaza, afferma Ilan Elgar. Secondo l’ambasciatore, un’intesa potrà garantire una vita più pacifica agli israeliani che vivono nelle regioni meridionali dello Stato ebraico.

Mentre gli aerei da combattimento e i carri armati israeliani continuavano a martellare l’enclave palestinese, Israele ha deciso venerdì di ignorare la risoluzione delle Nazioni Unite che chiede la sospensione delle ostilità.

L’offensiva israeliana, che ha lasciato sul terreno centinaia di morti tra i civili, è stata criticata dal Comitato internazionale della Croce Rossa, basato a Ginevra, dalle agenzie dell’ONU e dai governi europei.

swissinfo: Le Nazioni Unite fanno pressione affinché si giunga a un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Israele è pronto ad accettare una proposta simile?

Ilan Elgar: Israele ha sempre tentato di giungere ad un cessate il fuoco, anche prima di questa operazione.

L’offensiva israeliana è il risultato della rottura della tregua durata sei mesi da parte di Hamas. Un cessate il fuoco è però come un tango: sono necessarie due persone. Hamas ha escluso ogni possibilità di cessate il fuoco e quindi non so quale sia attualmente la probabilità che le operazioni cessino.

swissinfo: L’offensiva a Gaza non comporterà la fine di Hamas. Perché allora questa dimostrazione di forza?

I. L.: L’obiettivo di questa operazione non è eliminazione di Hamas, peraltro ben radicata nella società palestinese e a Gaza. Non ci facciamo illusioni: Hamas non può essere eliminata.

Quello che stiamo tentando di fare è riportare un senso di sicurezza tra la popolazione del sud di Israele e prevenire le condizioni che hanno portato a questa situazione insostenibile. Il nostro obiettivo è un cessate il fuoco a lungo termine. Realisticamente, non credo che possiamo pretendere di più.

Dobbiamo far capire ad Hamas quali sono le condizioni di un cessate il fuoco ragionevole, per le quali Israele è disposto ad astenersi dal colpire la popolazione di Gaza e a migliorare la loro condizione.

Ciò significa che anche Hamas deve smetterla di turbare la vita quotidiana nel sud di Israele, in particolare ponendo fine al contrabbando di razzi a lunga gittata nella Striscia di Gaza.

Quando è stato decretato l’ultimo cessate il fuoco all’inizio del 2008, i razzi di Hamas potevano penetrare per 16 chilometri nel territorio israeliano. Alla fine della tregua la gittata era di 40 km. Hamas ha utilizzato il tempo per rifornirsi e riarmarsi.

swissinfo: Non si rischia ad ogni modo di assistere ad una radicalizzazione da parte palestinese, data l’intensità dell’offensiva israeliana?

I. L.: Francamente, si sono radicalizzati abbastanza. Basta ascoltare i discorsi di Hamas o guardare i loro atti per rendersi conto che una parte della popolazione palestinese si è radicalizzata oltre ogni immaginazione. Non possiamo permetterci che la situazione si inasprisca.

C’è un gruppo di persone che parla apertamente dell’eliminazione di Israele. È impossibile rendere questa gente ancor più estremista.

swissinfo: Il Comitato internazionale della Croce Rossa ha criticato l’operazione israeliana a Gaza, contrariamente alle sue abitudini. Secondo l’organizzazione, il diritto umanitario non è rispettato, in particolare per ciò che riguarda l’assistenza ai feriti civili, e Israele continua a bloccare ogni accesso…

I. L.: Non stiamo sicuramente agendo in questo modo. Non abbiamo alcun interesse a danneggiare la popolazione civile o a negare l’assistenza sanitaria. A volte, il soccorso ai feriti non è possibile a causa dei combattimenti. Non ci sono altre ragioni per ostacolare l’operato del CICR o di altre organizzazioni.

swissinfo: Le autorità israeliane hanno usato il termine «proporzionale» per descrivere le operazioni nella Striscia di Gaza. L’opinione pubblica occidentale è invece di avviso contrario. Come spiega questa divergenza?

I. L.: Non c’è una chiara definizione di proporzionalità. È più che altro una questione che dipende dal punto di vista e che non può trovare risposta in un libro.

Proporzionalità non significa che se Hamas ha lanciato 8’000 razzi Kassam contro la popolazione israeliana nel corso degli ultimi otto anni, allora Israele deve costruire la stessa quantità di missili e rispondere al fuoco. Quello che vogliamo è la fine di una situazione insopportabile.

Stiamo tentando di non arrecare danni alla popolazione che vive dall’altra parte. Ci sono però dei limiti. Sfortunatamente non ho mai sentito parlare di una guerra dove non ci fossero feriti tra i civili. Non esistono armi che colpiscono solamente i combattenti.

Le forze armate israeliane hanno sviluppato dei metodi per evitare vittime tra i civili. Non è nel nostro interesse morale, politico o strategico colpire le persone non coinvolte nei combattimenti. Ogni vittima palestinese è dannosa dal profilo politico e quindi vogliamo evitarle il più possibile.

swissinfo: Qualche giorno fa è stata colpita una scuola gestita dall’ONU. I morti sono stati decine. Per Israele, alcuni miliziani di Hamas si trovavano nelle sue vicinanze. Il fine giustifica sempre i mezzi?

I. L.: A quanto pare l’esercito ha colpito gli obiettivi stabiliti. Due persone uccise appartenevano alla milizia di Hamas. Inoltre, il diritto umanitario ci permette di attaccare un’istallazione civile se questa è usata a scopi militari. Non si possono fare eccezioni soltanto perché si tratta di una scuola gestita dall’ONU. Un drappello militare di Hamas si è servito di gente che si nascondeva nella scuola, con la speranza che Israele non avrebbe risposto al fuoco.

swissinfo: Considerato il contesto attuale e le critiche espresse dai governi stranieri, lei crede che il sentimento anti-israeliano si sia accentuato?

I. L.: Sicuramente. Questo conflitto e le vittime tra i civili generano controversia e fanno aumentare il livello della critica. Ci sembra però che le critiche e alcune prese di posizione siano alquanto unilaterali.

Noi dobbiamo tener conto che non saremo trattati in modo imparziale. A quanto pare, è normale che gli israeliani ricoprano il ruolo della vittima. Quando rispondono è invece diverso.

swissinfo, intervista di Scott Capper
(traduzione dall’inglese: Luigi Jorio)

25 gennaio 2006: Hamas vince le elezioni nei Territori palestinesi, conquistando 76 seggi contro 43 assegnati a al-Fatah, il partito del presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas).

8 febbraio 2007: Hamas e al-Fatah raggiungono un accordo per la formazione di un governo di unità nazionale.

14 giugno 2007: Abu Mazen destituisce il governo diretto da Ismail Haniyehl, leader di Hamas, e proclama lo stato d’emergenza nella Striscia di Gaza.

15 giugno 2007: le forze di Hamas sconfiggono i fedeli di Abu Mazen e assumono il controllo di tutte le istituzioni a Gaza.

28 ottobre 2007: dopo averla dichiarata «entità ostile», Israele impone sanzioni economiche contro la Striscia di Gaza .

27 novembre 2007: ad Annapolis, negli Stati Uniti, rappresentanti dello Stato ebraico e dell’Autorità palestinese si impegnano ad avviare trattative per risolvere il conflitto entro la fine del 2008. I negoziati si insabbiano nuovamente.

27 febbraio – 3 marzo 2008: oltre 120 palestinesi perdono la vita nel corso dell’operazione «Inverno caldo», condotta dalle forze armate israeliane a Gaza.

27 dicembre 2008: in seguito a nuovi lanci di razzi e colpi di mortaio sparati da militanti di Hamas verso Israele, l’esercito israeliano dà avvio ad un intenso bombardamento aereo nella Striscia di Gaza.

3 gennaio 2009: le forze armate dello Stato ebraico lanciano un’offensiva terrestre nel Territorio palestinese.

Dall’inizio dell’operazione «Piombo fuso», condotta da Israele, circa 800 di palestinesi sono rimasti uccisi e più di 3’000 sono stati feriti. 13 le vittime israeliane.

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