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"La Svizzera non è l'Iraq delle Alpi"

Jean Claude Juncker e Micheline Calmy-Rey hanno sottolineato i legami d'amicizia che legano i due paesi Keystone

La presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey ha ricevuto mercoledì l'appoggio del premier lussemburghese Jean-Claude Juncker per il conflitto fiscale che oppone la Svizzera all'UE.

Questo contenuto è stato pubblicato il 14 febbraio 2007 - 20:14

Il Granducato critica le minacce della Commissione Europea ma stima necessario avviare dei negoziati.

"Non è un caso che all'indomani della decisione della Commissione Europea io sia in Lussemburgo. Qui possiamo contare sull'appoggio di amici", ha dichiarato mercoledì la ministra degli esteri e presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey.

Un appoggio ribadito dal primo ministro Jean-Claude Juncker, secondo il quale l'Unione Europea non deve trattare la Svizzera come se fosse "l'Iraq delle Alpi", un'espressione che il premier lussemburghese aveva già utilizzato anni fa quando Bruxelles aveva alzato i toni nei confronti di Berna per la questione del segreto bancario.

Minacce fuori luogo

Il Lussemburgo comprende la posizione di Berna nella disputa con l'UE sul sistema fiscale elvetico che concede vantaggi a determinati tipi di imprese.

Le minacce di "misure di protezione" nei confronti della Svizzera espresse da Bruxelles sono fuori luogo, ha detto Juncker.

Micheline Calmy-Rey, dal canto suo, ha ribadito per l'ennesima volta la posizione della Svizzera: "Tra la Confederazione e l'UE non vi è nessun contratto che ci obbliga ad armonizzare il nostro sistema fiscale". Secondo la ministra degli esteri non vi è nessuna ragione di negoziare.

Un punto di vista non proprio condiviso però da Juncker: "Non siamo in guerra, ma stiamo portando avanti una discussione tra amici", ha dichiarato.

Avviare dei negoziati

E in questo senso è giusto – ha poi precisato – "che si parli anche di cose di cui non si vorrebbe discutere". Per questo Juncker sosterrà il mandato di negoziare richiesto dalla commissione.

Juncker ha affermato di non condividere tutti i particolarismi dei sistemi cantonali elvetici. Ciò non significa però che l'UE abbia il diritto di esercitare pressioni. Ora il Lussemburgo analizzerà nel dettaglio gli argomenti dell'esecutivo comunitario.

Il Granducato ha già alle spalle una certa esperienza con questo tipo di pressioni. Essendo uno Stato membro, il Lussemburgo alla fine ha dovuto capitolare e accettare la richiesta di Bruxelles di abolire i privilegi accordati alle holding presenti sul suo territorio.

Lo scorso mese di luglio, l'UE aveva infatti deliberato in questo senso, definendo, analogamente a quanto fatto con Berna, tali privilegi fiscali come aiuti statali contrari alla libera concorrenza.

swissinfo e agenzie

LA POSIZIONE SVIZZERA

La Svizzera è convinta che l'accordo bilaterale di libero scambio concluso nel 1972 con l'Ue non si applichi alle agevolazioni fiscali accordate a certe società da alcuni cantoni. Esso si applica soltanto al commercio di alcuni beni (prodotti industriali e prodotti agricoli trasformati).

Berna sostiene che al momento della firma dell'accordo la Svizzera e la Comunità europea non prevedevano di armonizzare le loro legislazioni. Inoltre, le regole di questo accordo non devono essere interpretate alla stessa stregua della regolamentazione interna dell'Ue in ambito di concorrenza, molto più dettagliata.

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LA POSIZIONE DELL'UE

La Commissione europea ha dichiarato martedì che alcuni regimi fiscali in vigore in certi cantoni elvetici in favore delle imprese costituiscono una forma di aiuto statale incompatibile con il buon funzionamento dell'accordo del 1972.

I privilegi fiscali in questione sono accordati a società che hanno sede in Svizzera, ma che realizzano i propri profitti all'estero.

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