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Afta: per le autorità federali non è ancora tempo di vaccini

Gli animali vaccinati non possono essere distinti da quelli ammalati e ciò comporterebbe dei problemi per le esportazioni Keystone

Cresce la preoccupazione per l'afta epizootica. Ma per le autorità federali, non è il caso di farsi prendere dal panico. Nonostante la richiesta avanzata da diversi allevatori svizzeri, l'Ufficio federale di veterinaria continua a rifiutare l'idea di vaccinare gli animali contro la malattia, perché la misura comporta dei rischi.

Secondo l’Ufficio federale di veterinaria (UFV) la misura non farebbe che creare confusione: le bestie vaccinate producono anticorpi che non permettono più di distinguerle da un animale malato o entrato in contatto con il virus.

«Sarebbe impossibile sorvegliare l’evoluzione dell’epidemia», ha indicato all’ats Michel Lehmann, portavoce dell’UFV. Inoltre il vaccino assicura un’immunità solo durante alcuni mesi, e la stessa immunità non è garantita al 100 per cento.

La decisione di introdurre la vaccinazione avrebbe inoltre gravi conseguenze economiche. Le autorità internazionali limitano infatti le esportazioni di carne e prodotti lattieri dei paesi che vaccinano. Le esportazioni elvetiche verso l’Unione europea sono di 500 milioni di franchi l’anno, rileva l’UFV. Finora inoltre nessun paese europeo intende lanciare una campagna di vaccinazione su vasta scala.

Secondo Lehmann anche in Svizzera vi è una situazione d’isteria. «Riceviamo telefonate di allevatori che non dormono più la notte, altri non osano più andare all’estero». Per far fronte al bisogno di informazione la Confederazione ha attivato un nuovo sito internet: www.epizooties.ch (pagine in tedesco e francese).

La vaccinazione – ha concluso Lehmann – entrerà in linea di conto solo in una vera situazione d’emergenza. L’UFV ha a disposizione uno stock di 300’000 dosi del vaccino che potrebbe essere impiegato in tempi molto brevi.

In Svizzera quest’anno sono stati segnalati tre casi sospetti di afta epizootica, risultati tutti negativi. Christian Griot, direttore dell’Istituto di virologia e d’immunoprofilassi (IVI) in seno all’UFV si è detto convinto che anche nell’immediato futuro non saranno registrati casi positivi. In media vi sono da 3 a 6 casi sospetti all’anno, nel 2000 sono stati 4. I paesi che non ne registrano hanno in realtà controlli scadenti, afferma Griot.

swissinfo e agenzie

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