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Banca cantonale vodese: denuncia penale

Un po' di luce sul modo di condurre gli affari della banca vodese Keystone

Il Consiglio di stato vodese ha deciso di presentare denuncia penale alla luce della perizia indipendente concernente la Banca cantonale.

Anche il consiglio d’amministrazione ha preso la stessa decisione e ha licenziato con effetto immediato tre dirigenti.

Le conclusioni dell’inchiesta condotta dall’ex procuratore ticinese Paolo Bernasconi indicano che nella Banca cantonale vodese (BCV) sono state commesse manipolazioni contabili nell’inventariare i rischi sui crediti e nello stabilire gli accantonamenti dal 1996 al 2000.

Esse rilevano le responsabilità di ex dirigenti dell’istituto, in particolare Gilbert Duchoud e Jacques Treyvaud, ai tempi rispettivamente presidente della direzione generale e del consiglio d’amministrazione.

I reati ipotizzati sono falsità in documenti, amministrazione infedele, false indicazioni su attività commerciali e infrazioni alla Legge federale sulle banche. Non ci sono tuttavia indizi di arricchimenti illeciti. La gestione improvvida ha avuto per conseguenza tre ricapitalizzazioni successive, nelle quali il Cantone ha dovuto iniettare oltre due miliardi di franchi.

Effetto bomba

L’annuncio ha avuto l’effetto di una bomba sulla banca. In una conferenza stampa l’attuale presidente del consiglio d’amministrazione Olivier Steimer si è detto «sorpreso, costernato e deluso». Il consiglio ha subito deciso di licenziare «con effetto immediato e per giusti motivi» i dirigenti che erano già ai comandi della banca nel periodo incriminato.

Si tratta dell’attuale vicepresidente Pierre Fischer, il direttore generale Ralph Ziegler e il capo del servizio giuridico ed ex direttore generale Bernard Kraehenbuhl. Il consiglio ha pure preso atto delle dimissioni di Jean-Pierre Launaz, segretario generale.

Da parte sua Jean-Marie Brandt, ex membro della direzione generale della BCV attuale capo dell’Amministrazione cantonale delle imposte, ha «offerto di lasciare l’incarico», ha indicato il Consiglio di Stato. Egli «auspica in questo modo di evitare qualsiasi rischio di interferenza tra le sue attività attuali e passate e di avere la possibilità di assicurare la propria difesa».

La perizia di Paolo Bernasconi

Intervistato dalla radio svizzera di lingua italiana, Paolo Bernasconi ha messo in evidenza che la Banca cantonale vodese, essendo la quarta banca svizzera, gestiva milioni di dati ed era molto difficile scoprire le responsabilità. Per questo ci sono voluti anni per arrivare alle conclusioni attuali.

Secondo il Consiglio di Stato dalla perizia di Paolo Bernasconi emerge che «manipolazioni contabili imputabili per lo meno all’esercizio 1996 sono all’origine dell’identificazione e della presentazione tardiva dei bisogni di fondi propri cui la BCV doveva far fronte». Inoltre, si legge nel comunicato, «dall’esercizio 1997 fino al 2000, il metodo di accantonamento è stato modificato al fine di mantenere costante i livelli degli accantonamenti al di qua dei bisogni reali».

Paolo Bernasconi ha potuto stabilire che queste manipolazioni contabili sono state autorizzate dal presidente della direzione generale, Gilbert Duchoud, da Raymond Pidoux, direttore della divisione commerciale e da Daniel Crausaz, capo del dipartimento degli affari speciali della banca.

Solo l’autorità giudiziaria potrà tuttavia stabilire quali membri del consiglio d’amministrazione e della direzione generale fossero veramente al corrente. Bernasconi ha pure messo in causa la società di revisione esterna dell’epoca, Atag, Ernst & Young.

Reazioni politiche

Il Partito socialista vodese (PSV) ha intanto chiesto al Consiglio di Stato e alla BCV di adottare immediatamente misure per «recuperare la scandalosa indennità di oltre 2 milioni» di franchi versata a Duchoud. Per il PSV è «evidente» che gli ex organi dirigenti della banca hanno beneficiato della «compiacenza dei responsabili politici che rappresentavano l’azionista maggioritario», ossia il Cantone.

Il partito vuole dunque sapere «perché l’ex consigliere di stato Charles Favre ha rifiutato di guardare la realtà in faccia quando aveva tutti i motivi per rimettere in causa l’analisi della situazione che gli presentavano gli organi della banca», in particolare Duchoud.


swissinfo e agenzie

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