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Bilaterali: speranze e timori nelle regioni di frontiera

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Mentre Ginevra e Basilea attendono con fiducia l'entrata in vigore degli accordi bilaterali, nel canton Ticino prevale piuttosto la preoccupazione.

Le tre principali regioni di frontiera svizzere saranno probabilmente quelle che risentiranno più in fretta e in modo più sensibile le conseguenze dell’entrata in vigore, il 1° giugno, degli accordi bilaterali conclusi nel 1999 con l’Unione europea (UE).

L’accordo sulla libera circolazione delle persone – che apre gradualmente le porte in tutta la Svizzera alla manodopera proveniente dai 15 paesi dell’UE – rischia di far aumentare ulteriormente in queste regioni anche il numero dei frontalieri. Già attualmente sono oltre 100’000 i pendolari che ogni giorno attraversano la dogana per esercitare un’attività professionale nei cantoni di Ginevra, Basilea e Ticino.

Un aumento dei frontalieri potrebbe pesare non solo sul mercato del lavoro, ma anche su quello immobiliare. Nei prossimi anni, infatti, non dovranno più ritornare ogni sera al loro domicilio nei paesi vicini, ma soltanto una volta alla settimana. Inoltre avranno il diritto di acquistare molto più facilmente una residenza secondaria in Svizzera.

Anche altri cambiamenti contenuti negli accordi bilaterali potrebbero rafforzare le pressioni soprattutto sulle regioni di frontiera. La liberalizzazione nel settore degli appalti pubblici è destinata ad esempio ad accentuare la concorrenza in alcuni rami economici, come quello delle costruzioni.

Ticino scettico

L’entrata in vigore dei trattati conclusi con l’UE è accolta con sentimenti alquanto diversi nelle tre regioni di frontiera: tranquillità a Ginevra e Basilea, preoccupazione invece nel canton Ticino. Un quadro che rispecchia l’esito della votazione federale di due anni fa sugli accordi bilaterali: 79 % di “sì” a Ginevra, 72 % di “sì” a Basilea e 57 % di “no” in Ticino.

Nel cantone al sud delle Alpi, l’unico con Svitto ad aver respinto i bilaterali, prevalgono ancora oggi i timori. Da un lato, si denota da diversi anni uno scetticismo generale nei confronti di ogni apertura verso l’estero, dovuto anche a ragioni di natura geografica, culturale o politica: l’isolamento rispetto al resto della Svizzera, il rapporto storico con la vicina Italia o la forte presenza di un partito come la Lega dei ticinesi.

D’altro canto, come sottolinea Siegfried Alberton, responsabile dell’osservatorio ticinese del lavoro, “la situazione economica del canton Ticino non è paragonabile a quella di Basilea e Ginevra”. Le due città sul Reno e sul Rodano rappresentano i veri poli economici delle loro regioni limitrofe. Il Ticino invece, con i suoi 300’000 abitanti (in pratica un quartiere di Milano), costituisce una piccola entità rispetto alla vicina Lombardia, con oltre 9 milioni di persone”.

Disparità salariali

Molto diverse anche le disparità salariali che esistono nelle 3 più importanti zone transfrontaliere: a Ginevra e Basilea, in media, i salari non superano nemmeno del 10% quelli delle regioni francesi e tedesche circostanti, in Ticino invece oltrepassano del 20 % quelli delle vicine province italiane.

Questa differenza rischia chiaramente di attirare maggiormente i frontalieri italiani, pesando su un mercato del lavoro già piuttosto debole rispetto al resto della Svizzera. Negli anni novanta, il Ticino ha sofferto in modo più marcato di molti altri cantoni il lungo periodo di stagnazione economica, registrando regolarmente uno dei più alti tassi di disoccupazione.

Secondo Giancarlo Bosisio, responsabile dell’ufficio frontalieri del sindacato cristiano-sociale OCST, i timori maggiori riguardano soprattutto il pericolo di dumping che potrebbe far abbassare ulteriormente i salari, già inferiori del 20% alla media svizzera. I sindacati ticinesi si battono quindi soprattutto per l’introduzione di contratti collettivi in tutti i settori economici.

Da parte loro, le autorità cantonali hanno già aperto da mesi un osservatorio del lavoro, destinato a controllare l’evoluzione dei salari. Eventuali abusi saranno sottoposti all’esame di una commissione tripartita che comprende anche rappresentanti dei datori di lavoro e dei sindacati.

Basilea e Ginevra ottimiste

Situazione invece molto più tranquilla nelle altre principali regioni di frontiera. “Probabilmente l’aumento dei frontalieri sarà molto contenuto e verrà compensato da un incremento dei basilesi che lavoreranno nei due paesi vicini” – prevede ad esempio Hansjürg Dolder, direttore dell’ufficio dell’industria, del commercio e del lavoro di Basilea città (Kiga). “Le ricerche realizzate finora evidenziano piuttosto i vantaggi degli accordi bilaterali”.

La maggiore maggiore mobilità delle persone e la soppressione delle barriere doganali prevista dagli accordi anche in altri ambiti dovrebbero imprimere un nuovo slancio economico alla “regio basiliensis”. Ne approfitteranno innanzitutto settori come l’edilizia o il commercio, ma anche l’industria chimica, grazie all’entrata in vigore dell’accordo sulla ricerca.

Una dinamica economica positiva è attesa anche a Ginevra. “Secondo uno studio condotto nel 1999” – ricorda Sylvie Cohen, direttrice del dipartimento cantonale degli affari esteri – “i bilaterali dovrebbero portare ad una crescita economica pari allo 0,1 %”. Una piccola quota, ma che, sull’arco di alcuni anni, rappresenta pur sempre diverse decine di milioni di franchi.

“Paradossalmente sembrano piuttosto le regioni francesi limitrofe a nutrire delle preoccupazioni”. Da diversi anni subiscono infatti un’emorragia di personale qualificato che preferisce lavorare in Svizzera. I prezzi dei terreni, già molto più alti rispetto al resto della Francia, rischiano inoltre di aumentare ulteriormente in futuro: l’apertura delle frontiere è destinata a rafforzare il polo economico e magnetico di Ginevra.

Armando Mombelli

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