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Bilaterali bis?

Svizzera e Unione europea hanno ancora posizioni distanti sui temi in discussione per i bilaterali bis Keystone

A pochi giorni dall'entrata in vigore dei primi accordi bilaterali tra Svizzera e Unione Europea, il Consiglio degli stati discute dei bilaterali bis. Un tema con molti punti interrogativi.

Il 1° giugno scorso, una fase importante nelle relazioni tra la Svizzera e l’Unione europea si è conclusa, con l’entrata in vigore dei sette accordi bilaterali, che riguardano la libera circolazione delle persone, i trasporti aerei e terrestri, la ricerca, l’agricoltura, gli appalti pubblici e il commercio.

La via dei negoziati bilaterali con l’Ue, imboccata dal governo svizzero dopo il rifiuto in votazione popolare dell’adesione allo Spazio economico europeo nel 1992, è così sfociata in una serie di trattati che amplia e rinnova l’Accordo europeo di libero scambio concluso tra Comunità europea e Svizzera nel 1972.

Sulla strada dei bilaterali bis

In teoria, la Svizzera è ancora un paese candidato all’adesione all’Unione. La domanda di adesione è stata consegnata a Bruxelles nel 1992, ma successivamente congelata. La prospettiva di una sua riattivazione in tempi brevi è assai improbabile, dopo il secco no popolare (77% di contrari) all’iniziativa “Sì all’Europa” del marzo 2001, che chiedeva l’avvio immediato di trattative per l’adesione.

Rimane aperta la strada di ulteriori negoziati bilaterali, una strada che il governo ha indicato come strategia a medio termine nel suo rapporto sulla politica estera 2000. Dopo una fase preparatoria iniziata nel luglio 2000, Svizzera e Unione europea hanno avviato il 5 luglio 2001 nuovi negoziati bilaterali su quattro dei dieci temi previsti: la lotta contro la frode doganale, i prodotti agricoli trasformati, l’ambiente e la statistica.

La discussione dovrebbe tuttavia estendersi ad altri sei temi: cooperazione in ambito giudiziario e di polizia e nella politica d’asilo (spazio Schengen e accordi di Dublino); educazione, formazione professionale e gioventù; media; servizi; pensioni e fiscalità dei redditi da risparmio.

Su alcuni temi mancano ancora i mandati negoziali dell’Unione europea, mandati che potrebbero essere approvati definitivamente il 17 giugno prossimo, durante la riunione dei ministri degli esteri dell’Ue.

I problemi sul tappeto

Su alcuni temi in discussione, le posizioni tra Svizzera ed Unione europea sono ancora molto distanti e le trattative procedono a rilento. L’Unione europea avrebbe voluto affrontare separatamente la questione della tassazione dei redditi da risparmio, in modo da giungere rapidamente a dei risultati concreti, in vista del varo di linee direttrici sulla questione all’inizio del 2003.

Per la Svizzera, non vi sono motivi di separare i dossier, anche perché questo equivarrebbe ad un indebolimento della propria posizione negoziale. Oltretutto, sul tema fiscale le divergenze sono enormi. Bruxelles punta a integrare la Svizzera nel sistema di scambio automatico di informazioni fra le autorità fiscali dei paesi Ue. Berna difende a spada tratta il proprio segreto bancario e propone come alternativa un sistema di tassazione alla fonte dei redditi da capitale. Il presidente della Confederazione Kaspar Villiger ha ribadito più volte che “sul segreto bancario non si tratta.”

Il segreto bancario è una delle pietre dello scandalo anche nell’ambito della lotta alla frode doganale. L’Unione europea ha un concetto di frode fiscale più ampio di quello della Svizzera e lamenta le difficoltà nell’ottenere assistenza giudiziaria e di accedere ad alcuni dati protetti dal segreto bancario. La Svizzera è dal canto suo pronta a fare concessioni, ma è contraria ad adottare l’intero “acquis communautaire” (legislazione dell’Ue) in materia di frode doganale, perché, in quanto non membro dell’Unione, perderebbe il controllo sull’evoluzione del diritto.

Lo stesso problema si presenta nell’ambito della cooperazione in materia di sicurezza interna (spazio Schengen) e di politica d’asilo (Convenzione di Dublino). Oltretutto l’Unione europea sta valutando la possibilità di una procedura multilaterale nei rapporti con i paesi non-Ue che aderiscono alle spazio di Schengen (per ora Islanda e Norvegia). Ciò comporterebbe per la Svizzera, nell’eventualità di un’associazione, una perdita di autonomia.

Nell’ambito delle trattative per la liberalizzazione dei servizi, l’Ue intende poi chiedere come contropartita una partecipazione finanziaria della Svizzera al fondo di compensazione per le regioni europee economicamente più deboli.

Come andare avanti?

Se pure negli altri sei dossier in discussione le divergenze appaiono meno gravi, la strada dei negoziati bilaterali si presenta molto difficoltosa. Tanto più che lo scetticismo su negoziati che rischiano di toccare l’istituto del segreto bancario è assai diffuso negli ambienti economici e finanziari svizzeri.

Neppure la commissione per la politica estera del Consiglio degli stati, sul cui rapporto dedicato all’integrazione europea la camera alta discute giovedì, nasconde le difficoltà. Sebbene continui a prediligere l’opzione dei bilaterali rispetto a un’adesione o a una riedizione dell’accordo sullo Spazio economico europeo, nel suo rapporto ammette che, se non vi sono alternative all’avvicinamento all’Europa, non esiste neppure una “via principale”.

Andrea Tognina

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