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Biocarburanti tra incognite e opportunità

Produzione di biogas a partire da scarti organici in una fattoria di Ittigen, nel canton Berna. Keystone

I biocarburanti e la mobilità elettrica potrebbero sostituire oltre il 40% del carburante fossile consumato in Svizzera nei prossimi 20 anni, rileva uno studio. Prima di mettere scarti vegetali e letame nel motore sono però necessarie strategie a lungo termine.

I carburanti di origine vegetale non sono una novità. Già nel lontano 1850 si era riuscito a far funzionare un motore a scoppio grazie al bioetanolo. Le speranze riposte in piante quali la colza, la canna da zucchero o il mais – considerate fino a pochi anni fa delle alternative “verdi” al petrolio – si sono col tempo dissolte e l’ottimismo iniziale ha lasciato il posto a dubbi e scetticismo.

Questi biocarburanti di “prima generazione” compromettono in effetti la sicurezza alimentare nei paesi più poveri, denunciano le organizzazioni di aiuto allo sviluppo. E anche il loro impatto ambientale non è trascurabile: producono sì meno CO2, ma necessitano di più acqua e più pesticidi.

Ora si punta così sul legname e gli scarti vegetali, i cosiddetti biocarburanti di “seconda generazione”, che seducono per il loro bilancio ambientale ed energetico.

Pregi e difetti di questi agrocarburanti, e della possibilità di produrli in Svizzera, sono stati analizzati da uno studio condotto dal Centro per la valutazione delle scelte tecnologiche (TA-SWISS). Le prime conclusioni sono promettenti: entro il 2030, i carburanti fossili utilizzati nei trasporti individuali in Svizzera potrebbero essere rimpiazzati in parte dai biocarburanti (nella misura del 15%) e dalla mobilità elettrica (26%).

Materiali non commestibili

«Più realistico è uno scenario in cui i biocarburanti sostituiscono al massimo il 10% dei carburanti fossili», puntualizza Rainer Zah, ricercatore dell’Empa, il laboratorio federale di prova dei materiali e di ricerca.

Tra i fattori limitanti vi è il fatto che la superficie coltivabile disponibile per accrescere la produzione di biomassa in Svizzera è limitata. Già nel 2006, l’area coltivata per abitante era del 27% superiore alla media mondiale.

Secondo Zah, coautore dello studio di TA-SWISS, il potenziale della Svizzera nella produzione di biocarburanti non è comunque da sottovalutare. «Sebbene la quota di biocarburanti indigeni rappresenti una percentuale modesta, corrisponde al consumo energetico di oltre un milione di abitazioni monofamiliari».

Sono diverse le materie prime che potrebbero essere utilizzate per produrre biocarburanti di seconda generazione: legname, scarti biologici, paglia e parti di piante ad alto tenore di cellulosa.

Il vantaggio di questi materiali di base, sottolinea lo studio, è che in quanto sottoprodotti dell’agricoltura o dell’allevamento non sono in competizione con le coltivazioni destinate all’alimentazione.

Il potenziale degli scarti

Tra i precursori più promettenti in Svizzera – un paese ancora legato alle sue tradizioni rurali – vi sono il liquame e il letame. La quantità di carburante “verde” prodotta a partire da questi scarti, rilevano gli autori dello studio, potrebbe aumentare di 200 volte.

Per TA-SWISS, anche gli scarti organici (scarti da giardino, bucce, resti dei pasti e carta) costituiscono una valida alternativa. Per il loro trattamento sono però necessari impianti specializzati, ciò che implica investimenti maggiori.

Non va poi dimenticato il legname. È infatti possibile produrre carburante a partire dai tronchi raccolti in natura, dagli scarti delle segherie e dal legno di demolizione, scrive TA-SWISS nel suo rapporto. Secondo i ricercatori, si potrebbe ad esempio aumentare di circa il 30% la quantità di legname raccolto senza per questo contravvenire ai principi dello sviluppo sostenibile.

Nella lista dei potenziali biocarburanti di TA-SWISS vi è pure una pianta esotica ricca di cellulosa: il miscanto. Originaria dell’Asia, questa specie di canna ha trovato in Svizzera buone condizioni climatiche e topografiche per una coltivazione conveniente.

Reagendo alla pubblicazione dello studio, il Partito ecologista ha accolto positivamente l’idea di sfruttare maggiormente gli scarti. I biocarburanti di seconda generazioni non sono tuttavia privi di incognite, avvertono i Verdi, che temono di assistere ad un aumento deliberato dei rifiuti nell’ottica di riempire i serbatoi delle automobili.

Veicoli più efficienti

Per ottenere i migliori risultati in termini di sviluppo sostenibile, annota TA-SWISS, non basta tuttavia concentrarsi sulle modalità di produzione dei biocarburanti. «Altrettanto importante è l’efficienza dei veicoli», rammenta il direttore del Centro, Sergio Bellucci.

Idealmente, il consumo medio dei veicoli dovrebbe scendere a 4 litri ogni 100 chilometri (attualmente è di poco inferiore ai 7 l/100 km, ciò che corrisponde a un’emissione di 167 grammi di CO2 al km).

Nel mese di giugno, la Camera del Popolo si è opposta all’idea di limitare entro il 2015 le emissioni dei veicoli nuovi a 130 g/km, pari a un consumo di 4 l/100 km, come invece chiedeva il Consiglio federale per allinearsi alle direttive dell’Unione europea. La parola spetta ora alla Camera dei Cantoni.

Per rendere la mobilità più conforme allo sviluppo sostenibile, conclude lo studio, ci vogliono strategie a lungo termine, capaci di creare un contesto favorevole agli investimenti. L’accento non va quindi posto soltanto sul bilancio di CO2, ma pure sugli aspetti sociali ed ecologici. In Svizzera come nei paesi emergenti.

Luigi Jorio, swissinfo.ch

Il Centro per la valutazione delle scelte tecnologiche (TA-SWISS) ha il mandato di elaborare studi che analizzano gli effetti delle nuove tecnologie su società ed economia.

TA-SWISS, fondato nel 1992, si occupa di nuove tecnologie particolarmente controverse (quali la biotecnologia o la nanotecnologia) che riguardano ampie fasce della popolazione e che potrebbero portare con sé la necessità di regole politiche.

I destinatari principali sono quindi il Parlamento, il Consiglio federale e le autorità.

Il 29 giugno 2010 ha presentato uno studio sulle prospettive future dei biocarburanti di seconda generazione, realizzato in collaborazione con l’Istituto Empa, l’Università di Zurigo e l’Istituto Wuppertal.

I biocarburanti di prima generazione sono ottenuti dalle biomasse quali la canna da zucchero (soprattutto in Brasile), l’olio di palma (Indonesia e Malesia), la bietola, il mais, il grano o la colza.

Vantaggi: la loro combustione è meno inquinante e comporta meno emissioni di CO2.

Svantaggi: la loro coltivazione può sottrarre terreni agricoli alla produzione alimentare; il bilancio energetico non è sempre favorevole.

Per evitare l’insorgenza di questi problemi, si stanno perfezionando le tecniche per sfruttare i biocarburanti di seconda generazione (legname, paglia e scarti vegetali).

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