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Catastrofi naturali: servono più fondi

Il tratto ferroviario Briga - Visp allagato a causa delle incessanti piogge nell'ottobre del 2000 Keystone

La prevenzione è legata a costi enormi. Per questo, la Svizzera è lontana dall'aver realizzato le opere migliori per limitare i danni causati dalle catastrofi naturali.

Nel corso di una conferenza internazionale a Davos, gli esperti svizzeri hanno spiegato il cambio di paradigma della Confederazione: dalla mera difesa dai pericoli alla gestione dei rischi.

Negli corso degli ultimi 15 anni, la Svizzera è stata toccata da diverse catastrofi naturali con pesanti conseguenze. Il solo 2005 è costato al paese qualcosa come 2,5 miliardi di franchi.

Il canton Vallese è stato isolato dal resto della Confederazione per ben due volte, nel 1993 e nel 2000, quando il Rodano è uscito dagli argini provocando danni enormi.

Le autorità cantonali hanno deciso di allargare il letto del fiume perché, ha spiegato l’ingegnere Dominique Bérod, questo è il modo migliore per prevenire altre esondazioni.

Ma, ha aggiunto l’esperto vallesano nel corso della Conferenza internazionale di Davos sul contenimento delle catastrofi naturali, la «correzione» del Rodano non è senza prezzo: 1,24 miliardi di franchi e 30 anni di lavoro.

In attesa che i lavori vengano portati a termine, il Vallese si concentra sul miglioramento dei servizi di soccorso e sulla costruzione di sistemi di protezione mobili, come per esempio i ponti che possono essere sollevati o abbassati in poco tempo.

Le autorità cantonali hanno inoltre schizzato un piano per sfruttare le capacità in esubero dei bacini artificiali utilizzati per la produzione di elettricità. Sulle montagne, le dighe potrebbero aiutare a contenere gli eccessi di acqua dovuti a forti piogge.

La forza delle dighe

«Nel periodo delle piogge autunnali, il 5-10% della capacità dei bacini artificiali è ancora disponibile», dice a swissinfo Dominique Bérod. «Il 10% equivale a 200 milioni di metri cubi d’acqua, un quantitativo sufficiente a far straripare il Rodano».

Tuttavia, ammette Bérod, il cantone e le aziende elettriche non sono ancora giunti ad un accordo per quanto riguarda l’ammontare degli indennizzi destinati a compensare la perdita di produttività degli impianti.

Il canton Vallese sta collaborando con i politecnici federali e col servizio nazionale delle acque al fine di sviluppare un modello in grado di prevedere le alluvioni. Bérod racconta che i primi test saranno effettuati l’anno prossimo. Il sistema potrebbe diventare operativo nel 2008.

Finanziamenti

Stando a Laurent Vulliet del Politecnico federale di Losanna, uno dei problemi maggiori di chi lotta per contenere l’impatto delle catastrofi naturali è la difficoltà di raccogliere fondi a sufficienza. Per questo i tempi si allungano e non è ancora pronta una mappa dei rischi che copra tutta la Svizzera.

«Si pensava di finire cinque anni or sono, ma oggi c’è una mappa solo per metà della Svizzera», racconta Vulliet a swissinfo.

Vulliet, che è membro di Planat – la piattaforma nazionale destinata allo studio dei pericoli naturali – aggiunge che l’aumento della frequenza di eventi naturali fuori dalla norma ha spinto il tema della riduzione dei rischi in cima alle agende politiche. «Forse può sembrare un’affermazione cinica, ma più disastri ci sono più è facile per noi ottenere fondi per la ricerca e per le misure di prevenzione».

Il governo svizzero ha istituito Planat nel 1997. L’obiettivo principale è quello di promuovere un cambio di paradigma e di passare dalla semplice difesa dai pericoli naturali ad una gestione consapevole dei rischi.

Secondo Vulliet, la comunità scientifica deve concentrarsi di più sull’aspetto pratico della riduzione dei rischi. Negli ultimi anni si è fatto molto per migliorare le previsioni, ma sapere che ci sarà un’alluvione serve a poco se non sono state prese delle misure per arginarne le conseguenze o se questo pericolo non può essere gestito. In questi campi c’è ancora molto da fare.

Per l’esperto del Politecnico di Losanna, inoltre, l’opinione pubblica dovrebbe essere informata meglio sulla varietà e l’incidenza dei pericoli naturali. Un’opinione pubblica cosciente dei pericoli eserciterebbe una maggiore pressione sul governo e lo porterebbe a prendere delle misure efficaci.

«Se si domanda ad uno svizzero medio quale sia il pericolo naturale maggiore, risponderà le valanghe. Ma da un punto di vista economico le valanghe non sono un problema e non causano nemmeno molti morti», conclude Vulliet. «Stando alle valutazioni del governo, il rischio maggiore è rappresentato dai terremoti. Ma la realtà è che la gente non lo sa».

swissinfo, Dale Bechtel, Davos
(traduzione e adattamento, Doris Lucini)

La conferenza internazionale di Davos (27 agosto – 1 settembre) è stata organizzata congiuntamente dalle Nazioni unite (UN International Strategy for Disaster Reduction e UN Educational Scientific and Cultural Organization), dall’Alleanza mondiale per la riduzione dei pericoli naturali e dal Network mondiale d’informazione sui pericoli naturali.
Lo sponsor principale è la Direzione svizzera dello sviluppo e della cooperazione.

La Planat – Piattaforma nazionale «Pericoli naturali» – è stata istituita dal Consiglio federale (governo).

Si compone di 20 specialisti, provenienti da tutte le regioni del paese, nominati dal Consiglio federale per quattro anni. Accanto ai rappresentanti della Confederazione e dei cantoni, ci sono esponenti del mondo della ricerca, delle associazioni professionali, dell’economia e delle assicurazioni.

La Planat è attiva a livello strategico nel campo della prevenzione. Si occupa di sensibilizzare l’opinione pubblica e opera in favore di uno scambio di conoscenze a livello nazionale e internazionale.

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