L’impronta di carbonio nascosta dell’industria farmaceutica svizzera

Il reale impatto ambientale dell'industria farmaceutica svizzera è in gran parte invisibile. Nonostante gli sforzi annunciati dai giganti del settore, dietro la produzione di farmaci si nascondono catene di approvvigionamento globali e inquinanti, come rivela un'analisi inedita di SRF DataCollegamento esterno.
Il gigante farmaceutico Roche pensa in grande. La sua torre di uffici “Edificio 2” a Basilea non è solo il grattacielo più alto della Svizzera, ma anche uno dei più sostenibili. Il sistema di riscaldamento si basa sul recupero di calore e il raffreddamento avviene tramite l’acqua di falda. La multinazionale si è posta l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.
Le torri di Roche sono una perfetta illustrazione dell’esercizio di equilibrismo in cui sono attualmente impegnate le aziende svizzere, in particolare i grandi gruppi farmaceutici: quello di conciliare i risultati economici con lo sviluppo sostenibile.
A prima vista, la situazione sembra andare nella giusta direzione. Nei suoi rapporti di sostenibilità, Roche dichiara di aver ridotto le sue emissioni di gas serra del 70% negli ultimi vent’anni.
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Ma c’è un elemento che complica assai le cose: le catene di approvvigionamento all’estero. Esse compromettono gli sforzi di Roche, di Novartis e di altre grandi aziende del settore, nonché il bilancio ambientale dell’industria farmaceutica, una delle più emblematiche e importanti della SvizzeraCollegamento esterno.
Circa un franco svizzero su dieci viene generato lungo la catena del valore. Nel 2023, il settore ha esportato prodotti per circa 145 miliardi di dollari in tutto il mondo. Secondo l’associazione di categoria Interpharma, l’industria farmaceutica è il “motore dell’economia svizzera”. E un punto di riferimento in materia di sostenibilità.
Tuttavia, una nuova analisi della prestigiosa società di consulenza britannica Small World Consulting, commissionata da SRF e dalla rivista online Republik, rivela una realtà meno scintillante: questo “motore” di crescita e profitti per l’economia svizzera genera la maggior parte delle sue emissioni all’estero. Sebbene l’industria farmaceutica stia riducendo la sua impronta di carbonio nella Confederazione, il suo impatto ambientale complessivo è in realtà cinque volte superiore.
La società di consulenza Small World Consulting, diretta dal professor Mike Berners-Lee e con sede all’Università di Lancaster, è specializzata nell’analisi dell’impatto climatico delle catene di approvvigionamento globali.
Per questa analisi, è stato utilizzato un modello MRIO (multiregional input-output), basato sui dati economici di 75 Paesi e 103 settori industriali. Le cifre ottenute sono stime modellate. Si riferiscono esclusivamente alle emissioni a monte nel 2023. Tutti i gas serra sono stati convertiti in equivalenti di CO₂.
Secondo queste stime, nel 2023 l’industria farmaceutica svizzera avrebbe emesso circa 27 milioni di tonnellate di CO₂ e di altri gas serra a livello mondiale. Ciò equivale a due terzi delle emissioni totali generate dalla popolazione e dalle imprese svizzere nello stesso anno.
Emissioni prodotte dalle aziende subappaltatrici
A essere chiamate in causa sono le emissioni Scope 3. Questa categoria include le emissioni non generate direttamente da un’azienda, ma dai suoi subappaltatori lungo la catena di approvvigionamento.
Quando Roche dichiara nel suo rapporto di voler raggiungere la neutralità carbonica, l’obiettivo sono soprattutto le emissioni Scope 1 e Scope 2. In altre parole, le emissioni direttamente legate all’azienda: i suoi uffici (come le torri Roche), i suoi veicoli, i suoi laboratori e il suo consumo diretto di energia. La maggior parte di queste emissioni è generata in Svizzera.
“Una parte significativa delle emissioni mondiali è attribuibile a un piccolo numero di grandi multinazionali.”
Matt Bond, Small World Consulting
Tuttavia, le attività di produzione e approvvigionamento esternalizzate all’estero sono in gran parte escluse dall’ambizione “zero emissioni entro il 2050”. Tra queste, le materie prime e i prodotti chimici, i trasporti e la logistica e la produzione di componenti per i farmaci, tutte attività che richiedono risorse ed energia. Sono proprio questi processi ad avere l’impatto più dannoso sull’ambiente.
Secondo il suo stesso rapporto di attività, le emissioni Scope 3 rappresentano il 95% delle emissioni totali generate da Roche. Quasi tutte sono prodotte al di fuori della Svizzera.
Questo schema di ripartizione delle emissioni è valido per l’intero settore.
Si sta delineando anche un’altra tendenza: più la catena di approvvigionamento è complessa e implica delle aziende subappaltatrici…
…. più le emissioni si spostano verso l’Asia.
Non sorprende che l’industria farmaceutica svizzera sia globalizzata e si rivolga ad aziende fornitrici di decine di Paesi. Questo settore altamente interconnesso si basa su una fitta rete di subappaltatori specializzati. Di conseguenza, anche la sua impronta ecologica è internazionale. Tanto che anche i più grandi gruppi farmaceutici spesso faticano ad avere un quadro completo di dove vengono generate le loro emissioni.

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“Il numero di siti e processi coinvolti nella produzione di prodotti finiti è semplicemente sbalorditivo”, afferma Bublu Thakur-Weigold, specialista di catene di approvvigionamento presso il Politecnico federale di Zurigo. A suo avviso, l’industria farmaceutica è un esempio perfetto della crescente complessità delle supply chain. “Le industrie nazionali non esistono più. Tutto è Made in the world (prodotto nel mondo)”, dice l’esperta.
Modelli come quello elaborato dalla società di consulenza Small World Consulting forniscono un quadro migliore di queste catene di approvvigionamento e della loro impronta di carbonio. Danno un’idea delle fonti di emissione e dei potenziali modi per ridurle.
Le emissioni delle catene di approvvigionamento dell’industria farmaceutica svizzera sono distribuite ai quattro angoli del pianeta. Nella mappa sottostante, più la linea è spessa, maggiore è il volume di emissioni generate nel Paese.
La principale voce di emissione legata all’industria farmaceutica svizzera è il trasporto. Questo rappresenta circa il 25% del totale (6,7 milioni di tonnellate di CO₂ in un anno) e comprende il trasporto di merci e personale via terra, mare o aerea. Sono compresi i trasferimenti di componenti e prodotti finiti e i viaggi di lavoro. Questo settore genera da solo tante emissioni quanto l’agricoltura svizzera.
Segue la produzione di energia elettrica, essenziale per fabbricare farmaci, imballaggi e per altre fasi del processo. I prodotti chimici sono la terza fonte di emissioni.

Le catene di approvvigionamento dell’industria farmaceutica svizzera generano la maggiore quantità di emissioni in Germania, Cina, Stati Uniti e India.

Ciò che accomuna questi Paesi è la presenza di un’industria specializzata nella produzione di componenti farmaceutici. Alcuni sono noti anche per i loro metodi di produzione particolarmente inquinanti. Negli Stati Uniti, il 57% dell’elettricità proviene da combustibili fossili, mentre in India e Cina il carbone domina ancora il mix energetico (rispettivamente 70% e 61%).
La Cina è uno dei Paesi in cui queste “emissioni nascoste” sono più elevate. Circa il 7,6% dell’impronta di carbonio dell’industria farmaceutica svizzera (2 milioni di tonnellate di CO₂ nel 2023) è attribuibile ai suoi subappaltatori cinesi. Questo equivale a un quarto delle emissioni generate da tutti i trasporti in Svizzera.
Un terzo (31%) delle emissioni dell’industria farmaceutica svizzera in Cina è legato all’energia utilizzata. La maggior parte dell’elettricità in Cina proviene ancora da centrali a carbone e il Paese ne sta costruendo di nuove.
Un altro quinto delle emissioni è dovuto ai prodotti chimici, principalmente agli stabilimenti che trasformano sostanze come l’ammoniaca o ai gas inquinanti emessi durante il processo di produzione.

L’esempio dell’ibuprofene, uno degli antidolorifici più consumati al mondo, illustra bene il ruolo svolto da Paesi come la Cina e l’India per l’industria farmaceutica e, più in generale, per il clima. Aziende svizzere quali Sandoz e Mepha Pharma lo vendono sotto forma di farmaco generico, ma la maggior parte del principio attivo è prodotto in tre Paesi: Cina, India e Stati Uniti.
Un’analisi condotta nel 2022 dalla società di consulenza EcovaMed ha dimostrato che le emissioni generate per produrlo variano notevolmente a seconda del luogo e dei metodi di produzione utilizzati. Per produrre 1 kg di ibuprofene, gli stabilimenti in Cina e in India generano più del doppio delle emissioni rispetto a quelli negli Stati Uniti. I motivi principali sono i processi ad alta intensità energetica utilizzati nei due Paesi asiatici e la predominanza del carbone per la produzione di elettricità.
Nel 2000, circa due terzi dei principi attivi generici erano prodotti in Europa e un terzo in Asia. Secondo uno studio commissionato dall’associazione di categoria Pro Generika, questo rapporto si è da allora invertito. Nel 2020, due terzi dei principi attivi provenivano da Paesi quali la Cina e l’India, soprattutto per ragioni di costo.
Secondo le stime di un gruppo di esperti ed esperte della Commissione europea, i principi attivi provenienti dalla Cina sono fino al 40% più economici, grazie ai minori costi di produzione e di energia. Produrre in Cina o in India consente quindi di risparmiare in modo significativo, anche se a farne le spese è il clima.
La responsabilità di agire è soprattutto delle aziende
Per Matt Bond, consulente per la sostenibilità presso Small World Consulting, la responsabilità principale è delle imprese. “Una parte significativa delle emissioni mondiali è attribuibile a un piccolo numero di grandi multinazionali”, sottolinea.
Spesso si pone l’accento sul comportamento individuale dei consumatori e delle consumatrici, ma il loro potere reale è limitato, secondo Matt Bond. “Gran parte delle emissioni generate da un singolo individuo sono attribuibili alle aziende da cui acquista e alle quali spesso non ci sono alternative”, afferma.
Per Bond, “è quindi urgente che le grandi multinazionali agiscano e prendano in considerazione l’intera catena di approvvigionamento”.

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L’industria farmaceutica svizzera si dice pronta ad assumersi questa responsabilità. Secondo Anna Bozzi, responsabile del settore ambiente e sostenibilità dell’associazione di categoria ScienceIndustries, attualmente si sta investendo molto nella sensibilizzazione dei vari attori e nei processi innovativi per ridurre le emissioni.
“È essenziale un approccio globale e coordinato”, afferma l’esperta, aggiungendo che le grandi aziende farmaceutiche contano sulla loro influenza internazionale per incoraggiare pratiche più sostenibili all’interno delle loro catene di approvvigionamento. Le loro possibilità sono tuttavia limitate, poiché sono soggette a vincoli molto rigidi in termini di qualità e sicurezza dei prodotti farmaceutici, spiega Anna Bozzi.
Entro la fine dell’anno, Roche prevede di ridurre le proprie emissioni Scope 3 del 18%, privilegiando il trasporto marittimo rispetto a quello aereo, riciclando un maggior numero di materiali e ricorrendo maggiormente alle energie rinnovabili.
“Ridurre le emissioni non ha senso se non si riesce a far arrivare i farmaci ai pazienti.”
Bublu Thakur-Weigold, Politecnico federale di Zurigo
Contattato da SRF, il gruppo riconosce che “le emissioni Scope 3 rimarranno la componente principale della [sua] impronta di carbonio in futuro”. Roche dichiara che sta rivedendo i suoi obiettivi climatici per puntare a ulteriori “riduzioni molto significative” delle emissioni Scope 3 entro il 2045.
Per raggiungere questo obiettivo, l’azienda afferma di stare collaborando attivamente con i suoi subappaltatori, conducendo le proprie analisi ed esplorando nuovi modi per rendere le sue catene di approvvigionamento più sostenibili.
La multinazionale sottolinea tuttavia che vende i suoi prodotti su scala globale e che il trasporto aereo è talvolta essenziale per la loro consegna, in particolare nel caso di medicinali che richiedono una refrigerazione.
L’esperta di catene di approvvigionamento Bublu Thakur-Weigold concorda: “Ridurre le emissioni non ha senso se non si riesce a far arrivare i farmaci ai pazienti”. Le penurie di farmaci sono frequenti, anche in Svizzera. “L’aereo è talvolta il modo migliore per garantire la disponibilità dei farmaci”, afferma.
La strada verso la sostenibilità si preannuncia quindi complessa per l’industria farmaceutica. Finché dipenderà da catene di approvvigionamento inquinanti, c’è il rischio che i prodotti che curano le persone siano nocivi per il clima. Un effetto collaterale che non viene menzionato in nessuno dei foglietti illustrativi dei medicamenti.
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata il 21 marzo 2025 su SRFCollegamento esterno.
Tradotto con l’aiuto di DeepL/lj
Adattamento dei grafici interattivi a cura di Pauline Turuban, riproduzione dell’infografica a cura di Kai Reusser

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