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Come si costruisce una montagna?

Il maestoso Cervino EQ Images

Sull'origine geologica delle montagne esistono molteplici studi. Il geografo svizzero Gilles Rudaz è coautore di un recente libro che si interessa invece a come le società – nel corso dei secoli – hanno tentato di definire e sfruttare lo spazio montano.

«Se chiediamo a un bambino di disegnare una montagna, la risposta è un tratto eseguito d’istinto. Definire a parole la montagna è invece molto più difficile, anche per un adulto», spiega Gilles Rudaz, ricercatore all’Università di Ginevra.

Nel volume Les faiseurs de montagne (letteralmente: “coloro che fanno la montagna”), scritto in collaborazione con il professor Bernard Debarbieux, viene affrontata proprio questa tematica.

«Riassumendo, sappiamo che la montagna nasce dall’incontro tra due placche tettoniche. A noi interessava però un altro aspetto, ovvero capire come le società hanno cercato di caratterizzare le montagne che hanno di fronte e studiarne le conseguenze», afferma Rudaz.

Simbolo nazionalista

La montagna ha sempre avuto una forte connotazione simbolica. All’inizio del Ventesimo secolo, quando i nazionalismi prendono piede, si moltiplicano le tesi che ne fanno un emblema nazionale e ispirano campagne espansionistiche.

In Europa, per esempio, la nostalgia della Grande Ungheria ha dato origine a moltissime opere in cui veniva sottolineato il rimpianto per la cintura di frontiere naturali rappresentata dai Carpazi. Altrettanto fanno però parecchi scrittori rumeni, che considerano la catena montuosa parte del loro territorio nazionale.

Nel libro viene appunto ricordato che uno degli elementi centrali del nazionalismo consisteva proprio nel far combaciare il “corpo politico” della nazione con il “corpo fisico” in cui si situa. In quest’ottica, «il vantaggio delle montagne […] è quello di essere il risultato di tempi geologici che in certo senso rafforzano l’aspirazione delle nazioni a essere considerate delle costruzioni antiche», osservano gli autori.

Il mito del montanaro

Oltre a quella della montagna in sé, anche la definizione di chi la abita è densa di significato. In occasione dell’esposizione nazionale svizzera del 1896, tenutasi a Ginevra, viene per esempio ricreato un villaggio elvetico, con tanto di montagna artificiale, ricostruzione di feste alpine e un gregge di mucche che si sposta tra i padiglioni. Lo stile di vita alpino è glorificato e presentato come elemento di coesione.

«A partire dalla metà del XIX secolo la Confederazione fa del montanaro un vero e proprio emblema nazionale, associandogli miti letterari e romantici, in particolare quello di Guglielmo Tell», osservano Rudaz e Debarbieux.

E anche la politica di neutralità della Confederazione non manca di appoggiarsi su questo aspetto: «Focalizzare l’identità della nazione sull’immagine dei suoi montanari, relativamente isolati al centro dell’Europa, gelosi della loro indipendenza, forniva un argomento prezioso per giustificare scelte di politica internazionale».

Politiche di montagna

La montagna è un elemento importante anche per la sua dimensione giuridica. A questo proposito, Rudaz ricorda le numerosi leggi specifiche varate nel XX secolo in Europa per garantire i sussidi all’agricoltura di montagna. Di regola venivano scelti criteri di altitudine e di pendenza, visto che i pendii rendono più problematico l’utilizzo delle macchine agricole.

Nel contempo, in molte zone di montagna – per esempio nei Pirenei – sorgono centrali idroelettriche e piloni che modificano il paesaggio. In questo caso, le politiche energetiche e le loro conseguenze finanziarie «impongono una nuova immagine della montagna, più moderna e diversa dalle rappresentazioni tradizionali o arcaiche in voga per decenni», annotano gli autori.

Destinazione turistica

Fino alla fine del XIX secolo, «l’economia turistica di montagna – sostanzialmente modesta e limitata a poche località – è soprattutto il risultato di iniziative personali». La curiosità dei viaggiatori per località come le Alpi, i Pirenei, le Highlands, le Montagne Rocciose è inoltre il risultato «della nascita e della diffusione – nelle élite occidentali – del gusto per il paesaggio di montagna», fanno presente Rudaz e Debarbieux.

La situazione si è poi evoluta nel Ventesimo secolo con indirizzi molto differenti: paesi come la Svizzera e l’Austria hanno optato per uno sviluppo turistico assai decentralizzato, in cui i poteri pubblici hanno cercato soprattutto di promuovere l’iniziativa locale, facendo coesistere le attività agropastorali con il turismo.

Altrove, per esempio negli Stati Uniti, in Canada o in Francia, lo Stato è intervenuto decisamente con politiche di promozione turistica, ad esempio favorendo – in località ad alta quota, con garanzia d’innevamento – l’edificazione di impianti di risalita e alloggi per turisti.

La montagna che unisce

Il libro termina evidenziando come – da emblema nazionalista – la montagna è diventata negli ultimi anni un simbolo di unità tra i popoli e di cooperazione transfrontaliera, «sovente elemento di una retorica mondialista», a immagine delle strette di mano in vetta, delle varie Convenzioni alpine e di iniziative quale l’anno internazionale della montagna.

Questa evoluzione, conclude Gilles Rudaz, «è un’ulteriore dimostrazione di come la montagna costituisce un oggetto in continuo cambiamento e difficile da definire».

Dopo gli studi alle Università di Ginevra e Grenoble (conclusi con il dottorato in geografia nel 2005), Gilles Rudaz ha lavorato come ricercatore in Svizzera e negli Stati Uniti, occupandosi principalmente di tematiche legate alla montagna.

Dal 2007 al 2009 ha svolto attività scientifiche presso il Massachusetts Institute of Technology, occupandosi del progetto Mountains and Mountain People in Inter- and Transnational Discourses: the Renewed Claim of a Territorial Specificity.

Attualmente è ricercatore all’Università di Ginevra.

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