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Contesi i milioni d’aiuto ai paesi dell’est

In Kirghisistan si miete il grano con l'aiuto svizzero Keystone Archive

Degli esperti indipendenti assegnano buone note all’aiuto svizzero allo sviluppo nei paesi dell’ex-blocco sovietico. Ma i finanziamenti sono contesi.

I futuri contributi al fondo di solidarietà europeo dell’Ue potrebbero far soffrire i paesi che non raggiungono Bruxelles.

Da 14 anni l’aiuto allo sviluppo svizzero sostiene una rete di progetti nei paesi dell’ex blocco socialista. Dalla Macedonia al Kirghisistan, la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), insieme al Segretariato dell’economia (seco), ha realizzato una serie di programmi per aiutare i paesi caduti in una difficile crisi sociale ed economica.

Progetti ramificati

Con circa 300 milioni di franchi annui, la Confederazione ha sostenuto la riorganizzazione dell’amministrazione pubblica, per esempio formando il personale delle banche nazionali, responsabile dei crediti raccolti sul mercato internazionale.

Contemporaneamente la Svizzera ha ottenuto condizioni migliori per i finanziamenti assegnati dal Club di Parigi a numerosi stati. Dai primi anni Novanta, la Svizzera rappresenta inoltre alcuni paesi dell’est, chiamati per questo «Helvetistan», nelle istituzioni finanziarie internazionali.

Sull’altro fronte – spesso con il contributo di organizzazioni non governative – si sono promossi dei progetti locali di recupero ambientale ed economico delle infrastrutture ormai logorate dal tempo. Si parte dalla produzione del cotone in Asia centrale per arrivare alla protezione del lago di Ocrida, fra Albania e Macedonia, patrimonio dell’umanità riconosciuto dall’Unesco.

L’analisi degli esperti

Una decina di esperti indipendenti ha valutato la qualità dei progetti in corso. Le note sono buone: gli interventi promossi a tutti i livelli hanno avuto successo. Certo, «il rapporto indica numerose possibilità di miglioramento», come conferma a swissinfo Thomas Jenatsch, portavoce della DSC, ma la Svizzera si è rivelata «un partner affidabile».

Inoltre l’economia svizzera approfitta direttamente del progresso dei nuovi paesi, potendo esportare il proprio «know-how» tecnologico. La Confederazione si impegna a favorire i prodotti svizzeri, aprendo nuovi mercati d’esportazione. «Per ogni franco investito nello sviluppo, c’è un ritorno per l’economia svizzera di 1,5 franchi», precisa Christian Hofer, portavoce del seco.

Negli ultimi 10 anni la Svizzera ha speso tre miliardi di franchi. «Un contributo che porta anche alla stabilizzazione di zone calde al limite del Medio Oriente; un traguardo che interessa anche la Svizzera», aggiunge ancora Thomas Jenatsch della DSC. Eppure le cose potrebbero cambiare.

La nuova Europa avanza

Con l’allargamento a est dell’Unione europea il quadro, delineatosi dopo il crollo del Muro di Berlino del 1989, cambia radicalmente. Una serie di paesi è riuscita a compiere la trasformazione, raggiungendo i criteri di convergenza.

Al contempo però la Svizzera cerca ancora un suo ruolo nell’Europa politica, attraverso gli accordi bilaterali. La settimana scorsa è stata siglata a Bruxelles la seconda tornata con nove dossier. Parte dell’accordo è anche un contributo di un miliardo di franchi, distribuito su cinque anni, al fondo di solidarietà europeo.

La lotta di principio

Ma vista la situazione difficile delle finanze federali, si teme che gran parte dei fondi disponibili vengano stornati a favore dei nuovi paesi dell’Unione, lasciando a secco i paesi più poveri, come quelli dell’Asia centrale. 200 milioni l’anno andranno in futuro agli otto paesi dell’est che dal 1° maggio fanno parte dell’Unione europea. Una cifra poco superiore va adesso a tutti i paesi dell’ex-blocco sovietico.

Il problema sta dunque nella distribuzione: il piano finanziario prescrive infatti che il fondo deve essere alimentato in maniera «neutrale» per le casse pubbliche. Non è previsto un innalzamento del bilancio per l’aiuto allo sviluppo.

«Sarà necessario bilanciare gli interessi – conferma diplomaticamente Thomas Jenatsch – trovando una chiave di ripartizione fra i paesi vicini e quelli più lontani, ma più poveri».

Ancora più chiaro è il presidente della Commissione esteri del Consiglio nazionale, Erwin Jutzet: «La cooperazione con i paesi dell’est funziona, come conferma il rapporto, ma il Consiglio federale vuole sottrarre da questo impegno i 200 milioni, limitandoli all’aiuto nei nuovi paesi dell’Unione».

Decide il parlamento

Il politico socialista spera di poter mantenere gli impegni in Caucaso, lì dove sono particolarmente necessari. Secondo lui infatti «nessuno è veramente contento» del progetto.

Ma il dibattito è aperto: «Sarà una lotta dall’esito incerto. La destra antieuropeista ribadirà che i pagamenti al fondo di solidarietà europeo sono ingiusti». La sinistra è nel dilemma fra aiutare i più poveri e seguire la sua linea di integrazione.

swissinfo

3 miliardi in 14 anni di aiuto svizzero al blocco ex-sovietico
1 miliardo in cinque anni il nuovo contributo al fondo di solidarietà europeo
Ogni franco investito in aiuto allo sviluppo riporta in Svizzera 1,5 franchi

Con la firma degli accordi bilaterali, la Svizzera si impegna a sostenere lo sviluppo dei nuovi membri dell’Unione europea con 200 milioni di franchi l’anno per cinque anni.

Attualmente la Confederazione impiega una cifra poco superiore per progetti in tutti i paesi dell’ex-blocco sovietico.

Il lavoro svolto è stato espressamente lodato da esperti indipendenti. Al centro dell’impegno sta l’amministrazione pubblica e l’ambiente.

Adesso la politica deve fare una scelta: o dirottare i soldi verso gli otto paesi che hanno raggiunto l’Europa o trovare una soluzione che contempli una continuazione dell’aiuto anche nei paesi più distanti e più bisognosi.

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